Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21429 del 17/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 17/10/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 17/10/2011), n.21429

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5114-2007 proposto da:

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO

POMA 2, presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE, che

lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PULLI CLEMENTINA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 655/2006 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 12/10/2006 R.G.N. 1235/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE; udito l’Avvocato PULLI

CLEMENTINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro che ha concluso per accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 15/6 – 12/10/06 la Corte d’appello degli Abruzzi L’Aquila rigettò l’impugnazione proposta da V.G. avverso la sentenza del 18/5/05 del giudice del lavoro del Tribunale de L’Aquila, che gli aveva respinto la domanda diretta al conseguimento dell’assegno ordinario di invalidità, dopo aver rilevato che le patologie dalle quali era affetto l’appellante erano preesistenti al rapporto assicurativo, tanto da non avergli precluso lo svolgimento di determinate attività lavorative, e che nel suo complesso il quadro morboso non gli consentiva di raggiungere il grado di invalidità per l’accesso alla prestazione richiesta. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il V., il quale affida l’impugnazione ad un unico motivo di censura.

Resiste con controricorso l’Inps.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con un solo articolato motivo il V. denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 222 del 1984, artt. 1 e 2, degli artt. 112, 434 e 437 c.p.c., della L. n. 335 del 1995, art. 1, comma 43, nonchè il difetto di motivazione.

In particolare il ricorrente si duole della mancanza di qualsiasi motivazione, da parte della Corte territoriale, in ordine alla specifica censura d’appello che faceva leva sul danno oculare, incidente in misura determinante sul grado di invalidità necessario per il conseguimento della prestazione dell’assegno ordinario di invalidità, danno ben evidenziato dalle note medico-legali del dr. C.E. e già oggetto di rendita inail nella misura del 28%.

A conclusione del motivo il V. chiede di accertare se la Corte di merito era tenuta ad esaminare il motivo specifico sollevato nel ricorso d’appello sul danno oculare e se, ai sensi della L. n. 222 del 1984, artt. 1 e 2 il danno già valutato e liquidato con rendita Inail debba essere considerato al fine della determinazione della riduzione della capacità di guadagno.

Osserva, anzitutto, la Corte che è infondata l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa dell’Inps con riferimento alle modalità di formulazione dei quesiti di diritto. In particolare, l’ente previdenziale sostiene che tali quesiti avrebbero dovuto essere posti in forma di massima, anzichè di semplice domanda.

La ragione dell’infondatezza di tale eccezione risiede nel fatto che è sufficiente che l’enunciazione del quesito sia funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dieta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, indipendentemente dal modo della sua proposizione, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata, è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (in tal senso v. Cass. sez. lav. n. 4556 del 25/2/2009).

Orbene, nel caso in esame entrambi i quesiti rispondono ai suddetti requisiti, in quanto col primo è denunziata una specifica omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (mancata disamina di un danno patologico rilevante ai fini dell’accertamento dell’invalidità), mentre col secondo si chiede di accertare se il danno oculare già valutato e liquidato con rendita Inail possa essere considerato al fine della determinazione della prestazione dell’assegno ordinario di invalidità ex lege n. 222 del 1984.

Tra l’altro, la formula interrogativa che l’Inps contesta possa essere quella idonea per la proposizione del quesito di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c. è, al contrario, atta ad assolvere alla funzione di preordinazione all’enunciazione di un principio di diritto che attraverso la previsione dello stesso quesito la norma codicistica intende perseguire. Si è, infatti, statuito (Cass. sez. 5, n. 774 del 14/1/2011) che “il quesito di diritto, previsto dall’art. 366-bis cod. proc. civ. (vigente “ratione temporis” prima della sua abrogazione da parte della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47) risulta ritualmente formulato quando, pur non essendo esposto in forma interrogativa, consenta di far comprendere dalla sua sola lettura quale sia l’errore di diritto asseritamene compiuto dal giudice di merito e quale, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare”. Nemmeno coglie ne segno l’eccezione dell’Inps diretta a sostenere l’inammissibilità del secondo quesito sotto il profilo della novità della questione sollevata con riferimento alla incidenza del danno oculare, già oggetto di rendita inail, nella valutazione del grado di invalidità necessario per il conseguimento della prestazione assistenziale di cui trattasi:

invero, è agevole osservare che l’impugnazione è sostanzialmente incentrata sulla questione prioritaria della omessa motivazione su una censura specifica dell’atto d’appello, vale a dire quella basata sulle critiche alla relazione dei CTU nella parte in cui aveva escluso del tutto l’incidenza del danno oculare nella determinazione del grado di capacità lavorativa residua utile per la verifica della sussistenza del diritto all’assegno ordinario di invalidità.

Pertanto, da una parte, si registra la priorità della soluzione imprescindibile del primo quesito, che investe il problema dell’omessa motivazione sulla questione principale della esclusione di una determinata patologia dal calcolo dell’inabilità lavorativa, e, dall’altra, la consequenzialità della questione dell’incidenza della patologia non valutata, seppur oggetto di rendita inail, nella determinazione della riduzione della capacità lavorativa ai fini dell’accertamento delle condizioni per l’accesso all’assegno ordinario di invalidità. Nè può ritenersi sussistere una novità nel secondo quesito, dal momento che la formulazione dello stesso si imponeva proprio in ragione del fatto che il consulente d’ufficio di prime cure aveva escluso l’incidenza del danno oculare dalla determinazione del grado di riduzione della capacità lavorativa residua atta a giustificare l’erogazione dell’assegno ordinario di invalidità partendo proprio dal principio che un tale danno era già oggetto di rendita Inail.

Al riguardo appare anche opportuno ricordare che in un caso di prevalenza della questione del vizio motivazionale su quello della violazione di legge questa Corte (Cass. sez. lav. n. 9477 del 21/4/2009) ha avuto modo di affermare che in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione, ove la censura della parte, pur formalmente diretta a denunciare la violazione delle norme di diritto, sia intesa a contestare la motivazione della sentenza, valutata come carente per non aver tratto dalle risultanze istruttorie i significati ritenuti evidenti o comunque, desumibili, la formulazione del quesito di diritto – che si riduca alla mera istanza di una decisione in ordine all’esistenza di una regula iuris da applicare nel caso concreto – non si traduce nell’inammissibilità del motivo di ricorso per violazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. per mancata indicazione dell’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e correlata omessa prospettazione, da parte del ricorrente, della regola da applicare, appuntandosi la contestazione esclusivamente sui modi con i quali il giudice di merito ha proceduto alla valutazione del fatto e delle prove. (Nella specie, il ricorrente, con separati motivi, contestava il difetto di motivazione e la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 e 2087 cod. civ., adducendo l’inadeguata valutazione da parte del giudice di merito delle condotte del datore di lavoro, asseritamente integranti una ipotesi di mobbing; la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha ritenuto che le censure investissero, globalmente, il vizio di motivazione, escludendo, di conseguenza, che il quesito formulato per il secondo motivo dovesse rispondere, per tale aspetto, ai requisiti stabiliti dall’art. 366-bis cod. proc. civ.).

Così appurata l’ammissibilità del ricorso si rileva che lo stesso è fondato. Infatti, la sentenza impugnata trascura del tutto la disamina del motivo imperniato sulla mancata valutazione del danno oculare ai fini dell’accertamento della riduzione della capacità lavorativa nella misura rilevante per il conseguimento del diritto all’assegno ordinario di invalidità, danno la cui entità era stata evidenziata dall’appellante sulla scorta delle note medico-legali del dr. C.E., limitandosi, invece, alla condivisione del giudizio peritale avente ad oggetto le altre patologie che determinavano nel loro complesso una percentuale di invalidità del 40-45%.

Risulta, quindi, concretizzata, a mente dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la violazione di omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per cui la sentenza va cassata ed il procedimento rinviato alla Corte d’appello degli Abruzzi L’Aquila che, in diversa composizione, si pronunzierà in merito a tale questione, provvedendo, altresì, sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia il giudizio, anche per le spese, alla Corte d’appello degli Abruzzi L’Aquila in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2011

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