Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21429 del 16/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 16/08/2019, (ud. 17/04/2019, dep. 16/08/2019), n.21429

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20852/2016 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 190, (AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE),

presso lo studio dell’Avvocato ROBERTA AIAZZI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ALESSANDRO DENTAMARO;

– ricorrente –

contro

D.A.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BUCCARI,

11, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO TALLADIRA, rappresentato

e difeso dall’avvocato ANTONIO ROSARIO BONGARZONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 712/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/02/2016 R.G.N. 7676/2012.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

D.A.P. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma con cui era stata respinta, per intervenuta risoluzione del rapporto per mutuo consenso, la sua domanda di accertamento della illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato con Poste Italiane s.p.a. dal 3.7.02 al 30.9.02, D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1, e motivato da “esigenze tecniche, organizzative e produttive, anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli Accordi del 17,18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002”.

Radicatosi il contraddittorio, con sentenza depositata il 26.2.16, la Corte d’appello di Roma escluse essersi verificata la risoluzione del rapporto per mutuo consenso, dichiarando la nullità del contratto per difetto di prova del nesso causale tra la ragione assuntiva indicata in contratto e le mansioni cui il D. venne adibito.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso Poste, affidato a due motivi, cui resiste il lavoratore con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1.- Con primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., ed in sostanza la insufficienza della motivazione in ordine alla ravvisata risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

Il motivo è inammissibile in quanto diretto a censurare l’iter logico seguito dalla corte di merito sul punto, in contrasto coll’art. 360 c.p.c., comma 1, novellato n. 5.

Al riguardo è necessario rimarcare che questa Corte, dopo talune divergenze in materia, ha recentemente affermato che in tema di contratti a tempo determinato, l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici, giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità, secondo le rigorose regole sui motivi che possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5, tempo per tempo vigente (Cass. n. 29781/17).

Nella specie è applicabile il testo novellato del detto art. 360 c.p.c., n. 5, che riduce al minimo costituzionale il sindacato sulla motivazione (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053), sicchè la censura (peraltro significativamente fondata sul vecchio testo del ridetto n. 5: omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio) si appalesa inammissibile.

La sentenza impugnata peraltro ha ritenuto correttamente irrilevante il mero decorso del tempo ed ha evidenziato che il lasso temporale intercorso dalla cessazione del rapporto derivava dalla opportunità di attendere la definizione di altra controversia giudiziaria in essere con Poste, accertando altresì l’assenza di altre significative circostanze indicative di una volontà risolutiva del rapporto, tra cui non potevano considerarsi altre diverse e saltuarie occupazioni, in conformità della giurisprudenza di questa Corte.

2.- Con secondo motivo Poste denuncia l’omessa ed insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, dolendosi in particolare che la Corte capitolina aveva escluso erroneamente l’esistenza del nesso causale tra la ragione assuntiva indicata in contratto e le mansioni svolte dal D..

Il motivo è inammissibile, posto che veicola una ipotetica violazione di legge (D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1), attraverso un vizio motivo, per giunta adottando la vecchia formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, oggi novellato e limitato all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

La società, inoltre, si limita a richiamare la disciplina legale, il contenuto della clausola assuntiva, taluni degli accordi ivi indicati, senza svolgere alcuna specifica censura in ordine al nesso causale escluso dalla sentenza impugnata, peraltro confondendo anche il nome di controparte indicata a pag.14 del ricorso in Q.A..

3.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e, liquidate come da dispositivo, debbono distrarsi in favore del difensore del controricorrente, dichiaratosi antecipante

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del15%, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore dell’avv. A.R. Bongarzone. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 agosto 2019

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