Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21426 del 17/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 17/10/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 17/10/2011), n.21426

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6242-2007 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, BIONDI GIOVANNA, VALENTE NICOLA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.N.;

– intimata –

e sul ricorso 10919-2007 proposto da:

V.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUNIGIANA 6,

presso lo studio dell’avvocato D’AGOSTINO GREGORIO, rappresentata e

difesa dall’avvocato INTILISANO PIETRO, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, BIONDI GIOVANNA, VALENTE NICOLA, PULLI CLEMENTINA, giusta

delega in calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 123/2006 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 23/02/2006 R.G.N. 13/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro che ha concluso per: accoglimento del ricorso

principale, rigetto dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città, con la quale era stato riconosciuto il diritto di V.N. alla corresponsione dell’assegno di invalidità con decorrenza dal mese di giugno 2002, respingendo sia l’appello dell’Istituto che quello incidentale dell’assicurata, che chiedeva il riconoscimento del diritto alla prestazione a decorrere dalla data di presentazione della domanda amministrativa (24.7.1997).

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’Inps affidandosi ad un unico motivo di ricorso cui resiste con controricorso l’assicurata, che ha proposto anche ricorso incidentale fondato su un unico motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, deve essere disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ex art. 335 c.p.c., trattandosi di ricorsi proposti contro la stessa sentenza.

1.- Con l’unico motivo l’Inps denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 1, in relazione al R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 45, R.D.L. n. 636 del 1939, art. 2 e L. n. 153 del 1969, art. 22 nonchè difetto assoluto di motivazione per omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, lamentando che la Corte territoriale, nel riconoscere il diritto dell’assicurata all’assegno di invalidità con decorrenza al mese di giugno 2002, non avrebbe esaminato l’eccezione proposta dall’Inps, secondo cui la V. era già titolare di pensione di vecchiaia con decorrenza dal gennaio 2002, così che la domanda di assegno di invalidità avrebbe dovuto essere rigettata, non essendo cumulabili le due prestazioni.

2.- Con il ricorso incidentale si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla statuizione con la quale è stata stabilita l’epoca dello stato invalidante, assumendo che il diritto all’assegno di invalidità doveva essere riconosciuto a decorrere dalla data della domanda amministrativa, poichè già a quella data l’assicurata era stata costretta a sottoporsi a terapia insulinica, circostanza, questa, alla quale la Corte d’appello aveva conferito rilievo decisivo ai fini del riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale.

3.- Il ricorso principale è fondato. Deve osservarsi al riguardo che questa Corte ha già affermato che nel sistema previdenziale le pensioni di vecchiaia e di anzianità (quest’ultima destinata a scomparire, almeno nella denominazione, per il lavoratori i cui trattamenti pensionistici saranno liquidati esclusivamente con il sistema contributivo, della L. n. 335 del 1995, ex art. 1, comma 19) e l’assegno di invalidità o la pensione di inabilità (L. n. 222 del 1984) costituiscono prestazioni tra loro non cumulabili, in quanto tutte riconducibili alla tutela di una situazione di bisogno, effettiva o presunta, sancita dall’art. 38 Cost.. Il verificarsi di uno stato di invalidità del lavoratore che sia già titolare di pensione di vecchiaia o di anzianità non comporta, di conseguenza, l’insorgenza del diritto a fruire dell’assegno di invalidità (o della pensione di inabilità); al contrario, la L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 10, dispone che, al compimento dell’età stabilita per il diritto a pensione di vecchiaia, l’assegno di invalidità si trasforma, in presenza dei requisiti di assicurazione e contribuzione, in pensione di vecchiaia (Cass. n. 4669/2006). In base la principio di in cumulabilità della pensione di vecchiaia e dell’assegno di invalidità va, quindi, rigettata, la domanda diretta al conseguimento dell’assegno di invalidità, se il relativo requisito sanitario si è perfezionato in data successiva alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia (Cass. n. 7486/97).

In base ai suesposti principi, il giudice d’appello, verificato che l’assicurata era titolare di pensione di vecchiaia a decorrere dal gennaio 2002, come documentato dall’Inps, avrebbe quindi dovuto respingere la domanda, poichè il diritto all’assegno di invalidità era stato riconosciuto con decorrenza dal giugno 2002, e quindi successiva a quella della pensione di vecchiaia.

4.- La resistente ha eccepito che il vizio di omessa pronuncia, fatto valere dal ricorrente, avrebbe dovuto essere dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, e non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, trattandosi di un difetto di attività del giudice che si traduce nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

L’eccezione deve essere respinta giacchè, se è vero che il vizio di omessa pronuncia deve essere fatto valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. ex multis Cass. n. 12952/2007, Cass. n. 11844/2006), è pur vero che, sulla base del principio della idoneità al raggiungimento dello scopo, deve escludersi un automatismo per cui alla mancata o alla erronea rubricazione del motivo si possa attribuire sic et simpliciter il significato di una mancanza del motivo medesimo, ove dalla stessa rubrica o dalla successiva illustrazione emerga chiaramente la riferibilità dell’esposizione ad una determinata ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c.. E’ stato affermato, al riguardo, che, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, non costituisce condizione necessaria l’esatta indicazione delle disposizioni di legge delle quali viene lamentata l’inosservanza, nè la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, purchè si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia, con la conseguenza che va ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione che lamenti l’omessa pronuncia da parte del giudice del merito ai sensi dell’art. 112 c.p.c., ancorchè la censura sia stata prospettata sotto il profilo della violazione di norma sostanziale, anzichè sotto il profilo dell’error in procedendo (Cass. n. 6671/2006).

Nella specie, il ricorrente ha lamentato nella rubrica il “difetto assoluto di motivazione per omessa pronuncia su un punto decisivo”, illustrandone ampiamente le ragioni nella successiva esposizione del motivo; e dunque la censura è chiara nel suo tenore, dovendo escludersi che ricorra l’ipotesi di una inammissibilità del ricorso.

5.- Il ricorso incidentale è infondato. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio in materia di invalidità il vizio, denunciatale in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali secondo le predette nozioni non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico, non attinente a vizi del processo logico formale, che si traduce in una inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche in relazione alla data di decorrenza della prestazione (cfr. ex multis Cass. n. 569 del 2011 ;

n. 9988 del 2009). Questa Corte ha altresì precisato che non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca “per relationem” le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito; pertanto, per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale motivazione, è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice “a quo”, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (cfr. ex multis Cass. n. 10222/2009).

6.- Nel caso in esame, le censure di parte ricorrente si risolvono in un mero dissenso in relazione alla diagnosi operata dal c.t.u., cui il giudice del merito ha prestato adesione, non essendo state evidenziate ipotesi di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica o di omissione di accertamenti strumentali indispensabili ai fini della formulazione di una corretta diagnosi, ed essendosi la ricorrente limitata piuttosto a rimarcare l’esistenza di una supposta contraddizione tra le premesse e le conclusioni della relazione di consulenza tecnica d’ufficio, per quanto riguarda in particolare la determinazione della data dell’inizio della terapia insulinica, senza indicare tuttavia con autosufficienza gli elementi in base ai quali tale circostanza dovrebbe assumere, nell’economia della decisione, una rilevanza processuale tale da invalidare, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze probatorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito – che si fonda, in realtà, sull’accertata evoluzione peggiorativa del complessivo quadro patologico riscontrato a carico dell’assicurata – consentendo così di giungere ad una diversa decisione; anche perchè la ricorrente non ha riportato interamente in ricorso il contenuto della relazione di consulenza tecnica (con violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione), nè ha precisato il contenuto specifico delle critiche mosse alla (seconda) consulenza tecnica, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare siffatte critiche (con ulteriore violazione del suddetto principio).

7.- In conclusione, il ricorso principale deve essere accolto sulla base dei principi espressi sub 3).

Il ricorso incidentale deve essere respinto.

8.- La sentenza impugnata va quindi cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito (art. 384 c.p.c., comma 2) con il rigetto della domanda proposta dall’assicurata.

9.- Non deve provvedersi sulla spese dell’intero processo, in applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo vigente anteriormente alla modifica introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, non applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il principale, rigetta l’incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di cui al ricorso introduttivo; nulla per le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2011

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