Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21425 del 17/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 17/10/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 17/10/2011), n.21425

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5833-2007 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PULLI CLEMENTINA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.G., nella qualità di nuovo tutore e legale

rappresentante dell’interdetto Sig. M.G.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TRIONFALE 5697, presso lo

studio dell’avvocato IOPPOLI CESARE, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DI LELLA VASCO, giusta delega a margine della

memoria;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 356/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/06/2006 R.G.N. 918/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA;

udito l’Avvocato FRANCESCO IOPPOLI per delega CESARE IOPPOLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro che ha concluso per ricorso fondato: accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.G., rappresentato dal tutore B.M., ha chiesto dichiararsi il proprio diritto alla pensione di riversibilità di entrambi i genitori (morti, rispettivamente, il padre nel 1987 e la madre nel 1993) in quanto totalmente inabile al momento della morte di essi.

Il Tribunale ha rigettato la domanda con sentenza che è stata riformata dalla Corte di Appello di Milano, che ha accolto la domanda condannando l’Inps alla corresponsione dei ratei arretrati a partire dal 27.9.1995 (e cioè nei limiti della prescrizione quinquennale). A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta ritenendo che il M. versasse in condizioni di inabilità totale al momento della morte della madre, essendo impiegato in un’attività svolta presso un laboratorio protetto, che si riduceva, in realtà, ad un simulacro di attività lavorativa, per essere del tutto priva di ogni riscontro di produttività, oltre che in perdita economica. Secondo la Corte territoriale, inoltre, poichè la madre del M. fruiva sia della pensione diretta che di quella di riversibilità del coniuge, “era sufficiente avere riguardo al momento del decesso della madre per stabilire il diritto a percepire a titolo di reversibilità entrambi i trattamenti pensionistici”.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’Inps affidandosi a tre motivi di ricorso cui resiste con controricorso M.G. (come sopra rappresentato).

Il controricorrente, rappresentato dal nuovo tutore, C. G., ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., chiedendo a questa Corte di stabilire “se una sentenza che riconosce il diritto alla pensione di reversibilità per un periodo più ampio di quello richiesto dall’interessato, con la domanda giudiziale, sia viziata da error in procedendo per violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sancito dall’art. 112 c.p.c.”.

2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 903 del 1965, art. 22 in relazione alla L. n. 222 del 1984, art. 8, comma 2, chiedendo a questa Corte di stabilire “se ai sensi della L. n. 903 del 1965, art. 22 in relazione alla L. n. 222 del 1984, art. 8 il diritto alla pensione di reversibilità spetta al figlio maggiorenne che al momento del decesso del titolare originario svolga attività di lavoro autonomo o subordinato in regola anche sotto il profilo contributivo”.

3.- Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 903 del 1965, art. 22 chiedendo a questa Corte di stabilire “se ai sensi della L. n. 903 del 1965, art. 22 alla morte del titolare della pensione di reversibilità, siffatta pensione possa essere trasmessa ai superstiti del titolare della medesima pensione di reversibilità”.

4.- Il primo motivo è fondato.

Con il ricorso in appello l’interessato aveva chiesto il riconoscimento del diritto alla pensione di riversibilità per la morte di entrambi i genitori, con la condanna dell’Inps alla corresponsione dei ratei arretrati a far tempo “dal triennio anteriore alla data di deposito della domanda in giudizio (19.11.2002)”, mentre la Corte territoriale ha riconosciuto tale diritto “a partire dal 27 settembre 1995”, così incorrendo nel vizio denunciato dall’Istituto ricorrente.

5.- Il secondo motivo è infondato. L’Inps in sostanza eccepisce che, alla data della morte della madre, il M. svolgeva un’attività di lavoro in regola anche sotto il profilo contributivo e pertanto mancavano i requisiti previsti dalla L. n. 903 del 1965, art. 22 ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di riversibilità.

L’assunto trascura di considerare che, secondo il costante orientamento di questa Corte, l’accertamento del requisito della “inabilità” (di cui alla L. n. 222 del 1984, art. 8) richiesto ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di riversibilità ai figli superstiti del lavoratore o del pensionato, deve essere operato secondo un criterio concreto, ossia avendo riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto, in modo da verificare, anche nel caso del mancato raggiungimento di una riduzione del cento per cento della astratta capacità di lavoro, la permanenza di una capacità dello stesso di svolgere attività idonee nel quadro dell’art. 36 Cost. e tali da procurare una fonte di guadagno non simbolico (cfr. ex plurimis Cass. n. 12765/2004). Nella specie, la Corte territoriale ha accertato, con una valutazione di fatto insindacabile in questa sede di legittimità, che le residue capacità lavorative del M. erano talmente esigue da consentire solo lo svolgimento di operazioni elementari, che dovevano comunque essere completate da un altro operatore, e si risolvevano, in buona sostanza, nello svolgimento di “un’attività del tutto priva di ogni riscontro di produttività, oltre che in perdita economica”, esercitata esclusivamente all’interno di strutture protette, con esclusione di una qualsiasi apprezzabile fonte di guadagno. La Corte di merito ha, dunque, verificato in concreto la permanenza o meno di una capacità del soggetto di svolgere un’attività tale da procurargli una fonte di guadagno che non fosse meramente simbolica e, nel ritenere che l’interessato fosse totalmente inabile al lavoro, si è correttamente attenuta ai principi che sono stati sopra enunciati. La sentenza impugnata, in definitiva, non è assoggettabile alle censure che le sono state mosse con il motivo in esame, che deve essere pertanto respinto.

6.- Il terzo motivo è fondato. Il quesito formulato da parte ricorrente deve trovare risposta nel principio già affermato da questa Corte (cfr. ex plurimis Cass. n. 11999/2002), ed al quale il Collegio intende dare continuità, secondo cui “in tema di pensione ai superstiti, a norma della L. n. 903 del 1965, art. 22 il diritto a pensione di riversibilità spetta, alla morte del pensionato o dell’assicurato, iure proprio, a ciascuno dei soggetti individuati dalla citata norma, in ragione dei rapporti con il defunto e in relazione alla situazione in cui si trova al momento del decesso di quest’ultimo; deve pertanto escludersi che sia prevista la trasmissibilità del diritto a pensione di riversibilità e, in particolare, deve escludersi che, alla morte del titolare di pensione di riversibilità, detta pensione venga ulteriormente attribuita ai superstiti di quest’ultimo”. Quanto alle considerazioni svolte sul punto dal controricorrente, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in caso di morte del titolare di pensione di invalidità, la pensione di riversibilità spetta al coniuge e ai figli minorenni, mentre ai figli superstiti maggiorenni spetta soltanto se essi siano riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di quest’ultimo;

l’inabilità al lavoro rappresenta pertanto un presupposto del diritto alla pensione di reversibilità del figlio maggiorenne e, quindi, un elemento costitutivo dell’azione diretta ad ottenerne il riconoscimento, con la conseguenza che la sussistenza di esso deve essere accertata anche d’ufficio dal giudice, a nulla rilevando che l’istituto previdenziale non abbia tempestivamente eccepito la carenza del suddetto presupposto (Cass. n. 1367/98, Cass. n. 2204/81). Sulla stessa linea, anche se in tema di invalidità civile, è stato affermato che nei giudizi volti al riconoscimento del diritto a pensione o ad assegno di invalidità civile, il requisito reddituale, al pari dei requisiti sanitari e di quello socio- economico (cd. incollocazione al lavoro), costituisce elemento costitutivo del diritto, la cui sussistenza va verificata anche d’ufficio ed è preclusa solo dalla relativa non contestazione, ove la situazione reddituale sia stata specificamente dedotta, nonchè dal giudicato, nel caso in cui non sia stato proposto sul punto specifico motivo di appello (cfr. Cass. n. 16395/2008). E’ stato altresì precisato che, in tema di pensione di reversibilità, il requisito della inabilità, prescritto ai fini della sussistenza del diritto alla pensione di reversibilità o indiretta in favore del figlio ultradiciottenne vivente a carico del genitore, pensionato o assicurato, al momento del decesso di quest’ultimo, deve esistere con riferimento a tale momento perchè possa ritenersi integrata la fattispecie costitutiva del diritto stesso, restando lo stato di inabilità irrilevante ove insorga successivamente a quel momento, attesa la inapplicabilità dell’art. 149 disp. att. c.p.c., riguardante soltanto la pensione diretta di invalidità (Cass. n. 15440/2004).

7.- La sentenza impugnata, che non si è attenuta i principi sopra indicati, va dunque cassata in relazione ai due motivi accolti, con rinvio della causa alla stessa Corte d’appello in diversa composizione, che terrà conto dei rilievi espressi sub 4) e si atterrà nella decisione ai principi enunciati sub 6).

8.- Il giudice del rinvio liquiderà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il terzo motivo, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa anche per le spese alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2011

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