Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21424 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. I, 06/10/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 06/10/2020), n.21424

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 450/2019 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in Roma Viale Angelico,

n. 38, presso lo studio dell’Avv. Roberto Maiorana, che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso per cassazione.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di ROMA, proc. n. 66556/2017,

pubblicato in data 19 novembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/09/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, S.A., nato in (OMISSIS), ha impugnato dinanzi al Tribunale di Roma, il provvedimento con cui la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria

2. Il richiedente ha dichiarato di avere timore di rientrare in patria perchè le Autorità lo stavano cercando per un furto di carburante di centomila litri (e non tremila come in precedenza dichiarato); che egli era stato ingiustamente accusato del furto (mentre in precedenza aveva dichiarato che aveva rubato la benzina per mantenere la sua famiglia) e che non aveva fatto valere la sua innocenza perchè il padre lavorava per il partito (OMISSIS), all’epoca dell’opposizione (mentre in precedenza aveva riferito che era un autista di camion); che temeva di rientrare in patria anche perchè ritenuto responsabile dal padre, appartenente alle forze armate e uomo molto pericoloso, di una ragazza da cui aspettava un figlio, della morte di quest’ultima, causata invece dai farmaci abortivi che le aveva dato la madre.

3. Il Tribunale ha respinto la domanda, con decreto del 7 novembre 2018, pubblicato il 19 novembre 2018, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione internazionale, anche umanitaria.

4. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso S.A., con atto notificato il 19 dicembre 2018, svolgendo quattro motivi.

5. L’Amministrazione intimata ha presentato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo S.A. lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’errato esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto della discussione tra le parti, ovvero la condizione di pericolosità e la situazione di violenza generalizzata esistenti in Gambia.

2. Con il secondo motivo S.A. lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’omesso ed errato esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente.

3. Con il terzo motivo S.A. lamenta la mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni socio politiche del paese di origine, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’omesso esame delle fonti informative e la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007m, art. 14.

3.1. Premesso che il Tribunale ha esaminato e respinto la domanda di riconoscimento di protezione internazionale, avuto specifico riguardo alla protezione sussidiaria e alle dichiarazioni del richiedente, sicchè il lamentato “omesso esame” è palesemente destituito di fondamento, le riportate doglianze non meritano accoglimento.

Il Tribunale ha correttamente escluso la sussistenza del “danno grave” per debito scrutinio della fattispecie in relazione alle previsioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. a) e b), nella estraneità della situazione di conflitto privato dedotto al potere costituito, correttamente individuato quale necessario esito dell’esercizio dei poteri dell’apparato amministrativo-giudiziario, e quindi in una pena capitale o comunque destinata a tramutarsi, nella sua espiazione, in un trattamento inumano o degradante.

In ciò valutando proprio il racconto del richiedente e ritenendo che la vicenda esposta dal ricorrente non presentava i caratteri della persecuzione, poichè in nessun passaggio delle audizioni era emerso che lo stesso fosse stato vittima di comportamenti vessatori per motivi politici, etnici o religiosi, e che non era emersa prova di rischi specifici ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Il Tribunale ha rilevato, inoltre, specifici profili di contraddittorietà delle dichiarazioni rese dal richiedente, a pagina 3 del provvedimento impugnato, dubitando nel complesso della attendibilità del racconto ed evidenziando che, quando anche il racconto fosse stato veritiero, non sussistevano motivi per affermare il rischio, in caso di rimpatrio, di andare incontro ad una punizione sproporzionata o crudele per un fatto che appariva di lieve entità.

3.2 Ed invero, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) e tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente, o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass., 5 febbraio 2019, 2019, n. 3340; Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

3.3 Il Tribunale ha, altresì, provveduto ad escludere la sussistenza di situazioni di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (art. 14, lett. c) D.Lgs. cit.) valorizzando il mutato assetto politico-istituzionale del Gambia.

Il ricorrente, in verità, nel denunciare dell’impugnata sentenza la violazione della normativa protezione sussidiaria, muove dalla descrizione di una situazione politico-sociale del proprio Stato di provenienza, il Gambia, riferita al passato dittatoriale del Paese, non attualizzato al suo nuovo corso politico e, come tale, manca di confrontarsi con l’impugnata decisione.

Il Tribunale valorizza, infatti, in contrario segno, richiamando specifiche fonti a pagina 3 del provvedimento impugnato, l’insediamento del nuovo presidente, dopo la celebrazione di elezioni democratiche, e la conseguente revoca dello stato di emergenza a cui era seguito, ancora, secondo concludente motivazione, il venir meno dell’incertezza che contrassegnava il precedente periodo e l’avvio di una pacificazione della situazione del Paese, nell’intervenuto annuncio del nuovo Presidente di riforme democratiche e della liberazione dei detenuti senza titolo o per le loro opinioni, con la conseguenza che non era possibile considerare attuale il rischio di subire trattamenti inumani o degradanti dedotto da persone vissute come oppositori dal vecchio regime, atteso che il nuovo regime si poneva in antitesi rispetto a quello precedente.

L’apprezzamento di fatto, concludente, e sottratto al sindacato di legittimità, ha condotto il Tribunale ad escludere la sussistenza di una situazione di grave danno in capo al ricorrente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, anche per il profilo di cui alla lett. c).

3.4 Il motivo, quindi, anche per quanto concerne l’ulteriore profilo di censura, è infondato perchè la motivazione esiste ed è basata su risultanze di causa specificamente richiamate e valutate dal collegio giudicante e quindi sorretta da un contenuto non inferiore al “minimo costituzionale”, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte, così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa e alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale” delineata come violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053).

4. Con il quarto motivo S.A. lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo errato il Tribunale a non applicare al ricorrente la protezione ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè del D.Lgs. n. 296 del 1998, art. 19, che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese d’origine o che ivi possa correre gravi rischi.

4.1 Già si è detto della infondatezza della dedotta violazione dell’art. 10 Cost..

4.2 Del pari infondato è il motivo che insiste sulla situazione di vulnerabilità del ricorrente, richiedente la protezione umanitaria, mediante l’allegazione delle critiche e rischiose condizioni di vita esistenti in Gambia, oltre che il richiamo alla tutela dei diritti inviolabili dell’uomo e tra questi il dritto alla salute e all’alimentazione, trattandosi di circostanze inidonee ad integrare, quantomeno in ragione della loro astrattezza, i presupposti della misura invocata e, comunque, dedotte in difetto di correlazione con la specifica ratio decidendi sottesa alla statuizione sul punto che ha affermato la mancata allegazione da parte del richiedente di specifiche ragioni di vulnerabilità.

In proposito, questa Corte, dopo avere precisato che “la protezione umanitaria, nel regime vigente “ratione temporis”, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute – da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente” ha evidenziato che “non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di ” estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass., 7 febbraio 2019, n. 3681).

4.3 E’ infondata anche la censura che richiama il principio di non refoulement previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, oltre che dalla direttiva 2008/115/CE.

Senza prescindere dalla genericità della deduzione che manca di ogni puntuale riferimento al caso in esame e manca di confronto con la decisione impugnata, va precisato che l’istituto del divieto di espulsione o di respingimento previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, in cui si declina il più generale principio di non refoulement, resta in ogni caso inserito nel diverso contesto dell’opposizione alla misura espulsiva, che impone al richiedente di prospettare il concreto pericolo di essere sottoposto a persecuzione o a trattamenti inumani e/o degradanti in caso di rimpatrio nel paese di origine, mentre la disciplina della protezione internazionale introduce una misura umanitaria, che conferisce al beneficiario il diritto a non vedersi nuovamente immesso in un contesto di elevato rischio personale, qualora tale condizione venga positivamente accertata dal giudice (Cass., 8 aprile 2019, n. 9762; Cass., 17 febbraio 2011 n. 3898).

5. Il ricorso va, conclusivamente, rigettato.

Nulla sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

 

 

 

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