Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21423 del 19/09/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 21423 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

SENTENZA

sentenza con motivazione semplificata

sul ricorso proposto da:
FERRIOLO Giovambattista, CORRADO Edda, FINI Pio, SCLAFANI Accursia, DE COLA Felice, PUORTO Brigida, elettivamente domiciliati in Roma, lungotevere Michelangelo n. 9, presso lo studio
dell’Avv. Ferdinando Emilio Abbate, dal quale sono rappresentati e difesi per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è
domiciliato per legge;
– resistente –

Data pubblicazione: 19/09/2013

avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia n. 614/12,
depositato in data 10 maggio 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16 luglio 2013 dal Consigliere relatore Dott. Alberto

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Ranieri Roda con delega;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Maurizio Velardi, il quale ha chiesto raccoglimento
del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l. – Con ricorso depositato il 9 marzo 2011 presso la Corte
d’appello di Perugia, GiovaMbattista Ferriolo, Edda Corrado,
Pio Fini, Accursia Sclafani, Felice De Cola e Brigida Puorto
hanno proposto, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale sofferto
a causa della non ragionevole durata del giudizio di equa riparazione introdotto dinanzi alla Corte d’appello di Roma con
ricorso depositato nel mese di aprile 2006, parzialmente accolto con decreto depositato nel mese di febbraio 2008, cui ha
fatto seguito, dopo la presentazione del ricorso per cassazione notificato nel marzo 2009, la sentenza di cassazione del
settembre 2010.
L’adita Corte d’appello ha dichiarato la domanda inammissibile, ritenendo non esperibile il rimedio di cui alla legge n.

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Giusti;

89 del 2001 in relazione a procedimenti relativi alla denunciata violazione della durata ragionevole dei giudizi di equa
riparazione, non discendendo tale proponibilità dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed essendo l’eventuale riex lege n. 89 del

2001 compensabile dal giudice del procedimento.
2. – Per la cassazione di questo decreto Giovambattista
Ferriolo e gli altri istanti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso sulla base di un unico motivo.
L’intimata Amministrazione non ha resistito con controricorso, ma ha depositato una memoria di costituzione al fine
dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Il collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza.
2. – Con l’unico motivo i ricorrenti denunciano violazione
e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e
degli artt. 6, 13 e 41 della CEDU, nonché dell’art. 111 Cost.,
rilevando che la legge n. 89 del 2001 non consente in alcun
modo di distinguere i procedimenti di equa riparazione da
quelli ai quali la medesima legge si applica e di sottrarli
quindi al regime di ragionevole durata, che discende diretta-•
mente dalla Convenzione europea e dalla Costituzione italiana.
3. – Il ricorso è fondato.

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tardo nella definizione dei procedimenti

Questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi più volte in ordine alla applicabilità del procedimento disciplinato dalla
legge n. 89 del 2001 ai procedimenti introdotti sulla base
della legge stessa, per i quali deve ritenersi predicabile

guente regime indennitario in caso di sua violazione.
Come affermato di recente (Case. n. 5924 del 2012 e altre
conformi), il giudizio di equa riparazione, che si svolge
presso le Corti d’appello ed eventualmente, in sede di impugnazione, dinnanzi a questa Corte, è un ordinario processo di
cognizione, soggetto, in quanto tale, alla esigenza di una definizione in tempi ragionevoli, esigenza, questa, tanto più
pressante per tale tipologia di giudizi, in quanto finalizzati
proprio all’accertamento della violazione di un diritto fondamentale nel giudizio presupposto, la cui lesione genera di per
sé una condizione di sofferenza e un patema d’animo che sarebbe eccentrico non riconoscere anche per i procedimenti

ex lege

n. 89 del 2001. Né appare condivisibile l’assunto che il giudizio dinnanzi alla Corte d’appello e l’eventuale giudizio di
impugnazione costituiscano una fase necessaria di un unico
procedimento destinato a concludersi dinanzi alla Corte europea, nel caso in cui nell’ordinamento interno la parte interessata non ottenga una efficace tutela all’indicato diritto
fondamentale, atteso che il procedimento interno rappresenta
una forma di tutela adeguata ed efficace, sempre che, ovvia-

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l’operatività del termine ragionevole di durata e del conse-

mente, si svolga esso stesso nell’ambito di una ragionevole
durata.
Quanto alla determinazione della ragionevole durata di un
procedimento di equa riparazione, nelle numerose sentenze e-

Corte ha ritenuto che ove, come nel caso di specie, venga in
rilievo un giudizio “Pinto” svoltosi anche dinanzi alla Corte
di cassazione, la durata complessiva debba essere ritenuta ragionevole ove non ecceda il termine di due anni.
4. – Il ricorso deve quindi essere accolto, essendo erronea
la decisione della Corte territoriale che ha ritenuto inammissibile il procedimento di equa riparazione per la irragionevole durata di un procedimento di equa riparazione relativamente
a giudizio presupposto di altra natura.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la
causa può essere decisa nel merito.
Nel caso di specie, infatti, dallo stesso provvedimento impugnato emerge che la durata complessiva del procedimento di
equa riparazione è stata di circa quattro anni e cinque mesi.
Detratto il termine ragionevole, stimato in due anni, nonché
il termine di undici mesi intercorso tra il deposito del decreto e la proposizione dell’impugnazione, ulteriore rispetto
al termine breve previsto per il ricorso per cassazione, la
durata non ragionevole risulta essere stata di circa un anno e
mezzo.

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messe nel 2012 (vedi, segnatamente, la n. 5924, cit.), questa

Alla luce dell’accertata irragionevole durata del giudizio,
a ciascun ricorrente spetta un indennizzo che va liquidato
sulla base di euro 750 per anno, e quindi in complessivi euro
1.125, oltre interessi legali dalla data della domanda al sal-

Ai ricorrenti compete altresì il rimborso delle spese
dell’intero giudizio, liquidate complessivamente nella misura
indicata in dispositivo.
Le spese devono essere distratte in favore dei difensori
dei ricorrenti, dichiaratisi antistatario.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e,
decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia al
pagamento, in favore di ciascun ricorrente, della somma di euro 1.125, oltre interessi legali dalla data della domanda al
saldo;

condanna

il Ministero alla rifusione delle spese

dell’intero giudizio, che liquida, per il giudizio di merito,
in euro 806, di cui euro 50 per esborsi, 311 per diritti e 445
per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di
legge, e, per il giudizio di legittimità, in euro 606,25, di
cui euro 506,25 per compensi ed euro 100 per esborsi, oltre
agli accessori di legge.

Dispone la distrazione delle spese

del giudizio di merito in favore dei difensori dei ricorrenti,
Avvocati Ferdinando Emilio Abbate e Salvatore Ferriolo, dichiaratisi antistatari, e quelle di legittimità in favore del

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do.

difensore dei ricorrenti, Avvocato Ferdinando Emilio Abbate,
dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2
Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 16 luglio

2013.

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