Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21419 del 21/10/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 21419 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso 16698-2009 proposto da:
FOOT LOCKER ITALY S.R.L. C.F. 10322270157, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZALE DELLE MEDAGLIE D’ORO,
7, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO DE
STEFANIS, che la rappresenta e difende unitamente
2015
3098

agli avvocati CLAUDIO COCUZZA e MAURO TREVISSON
giusta delega in atti;
– ricorrente –

or

nonchè contro

FRAU GIUSEPPE;

Data pubblicazione: 21/10/2015

- intimato

avverso la sentenza n. 753/2008 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 15/07/2008 R.G. N. 774/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/07/2015 dal Consigliere Dott. FABRIZIO

udito l’Avvocato MAURO TREVISSON;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

AMENDOLA;

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione Lavoro
Svolgimento del processo

1. – La Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 15 luglio 2008, in
accoglimento dell’appello proposto da Giuseppe Frau nei confronti della Foot
Locker Italy Srl, in relazione ad un rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le
parti tra il 25.2.2003 e 1’8.7.2004, ha condannato la società al pagamento di euro
6.883,66, a titolo di differenze retributive per lavoro straordinario, oltre le spese

La Corte territoriale, assunte in grado d’appello le prove testimoniali la cui
richiesta era stata disattesa dal primo giudice, ha ritenuto, valutando il materiale
probatorio così acquisito, che il Livoti avesse svolto lavoro straordinario “nella
misura minima di due ore al giorno”, quantificando il dovuto.
Con ricorso del 2 luglio 2009 la Foot Locker Italy Srl ha domandato la
cassazione della sentenza per quattro motivi. Non ha svolto attività difensiva
l’intimato.

Motivi della decisione

2. —

Con il primo mezzo di gravame si denuncia violazione e falsa

applicazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 420,
421, 116 e 117 c.p.c. in merito alla valenza probatoria dell’interrogatorio libero e
dei poteri istruttori del giudice; si censura la sentenza impugnata per aver
ritenuto “non condivisibili” le conclusioni cui era giunto il primo giudice sulla base
dell’interrogatorio libero del Frau, dando così ingresso alle prove non espletate in
primo grado.
Il motivo non merita accoglimento.
Secondo questa Corte la pretesa invalidità di un atto di acquisizione
probatoria non comporta automaticamente la nullità (derivata) della sentenza,
atteso che i rapporti tra atto di acquisizione probatoria nullo e sentenza non
possono definirsi in termini di eventuale nullità derivata di quest’ultima, quanto,
piuttosto, in termini di giustificatezza o meno delle statuizioni in fatto della
sentenza stessa, la quale, cioè, in quanto fondata sulla prova nulla, è priva di
(valida) motivazione, non già nulla a sua volta: infatti l’atto di acquisizione
probatoria, puramente eventuale, non fa parte della indefettibile serie
procedimentale che conduce alla sentenza e il cui vizio determina la nullità, ma
incide soltanto sul merito delle valutazioni in fatto compiute dal giudice, le quali,
peraltro, possono essere sindacate in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di

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di entrambi i gradi.

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motivazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 17247 del 2006;
conforme: Cass. n. 19072 del 2004).
Nella specie l’istante si limita a denunciare la pretesa violazione della legge
processuale con diffuso riguardo alle ragioni che avevano spinto il giudice di
primo grado a rigettare il ricorso sulla base dell’interrogatorio libero del Frau, ma
nel motivo non censura in concreto e specificamente l’accertamento in fatto
eseguito dalla Corte territoriale sulla base delle deposizioni assunte in grado di

l’illustrazione del motivo con una pluralità di quesiti di diritto e non con un
momento finale di sintesi o di riepilogo in cui venisse chiaramente enunciato il
fatto controverso come imponeva l’art. 366 bis c.p.c. pro tempore vigente per i
vizi di motivazione.

3.— Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli
artt. 100, 105, 116 e 246 c.p.c. in relazione all’incapacità a testimoniare del teste
Livoti, avendo quest’ultimo pendente procedimento con la stessa società avente
“medesimo petitum e causa petendi”.
La censura è priva di fondamento.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte l’interesse che determina
l’incapacità a testimoniare, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., è solo quello giuridico,
personale, concreto ed attuale, che comporta o una legittimazione principale a
proporre l’azione ovvero una legittimazione secondaria ad intervenire in un
giudizio già proposto da altri cointeressati. Tale interesse non si identifica con
l’interesse di mero fatto, che un testimone può avere a che venga decisa in un
certo modo la controversia in cui esso sia stato chiamato a deporre, pendente fra
altre parti, ma identica a quella vedente tra lui ed un altro soggetto ed anche se
quest’ultimo sia, a sua volta, parte del giudizio in cui la deposizione deve essere
resa. Neanche l’eventuale riunione delle cause connesse (per identità di
questioni) può fare insorgere l’incapacità delle rispettive parti a rendersi reciproca
testimonianza, potendo tale situazione soltanto incidere sulla attendibilità delle
relative deposizioni (tra le altre: Cass. n. 11034 del 2006; Cass. n. 9650 del
2003; Cass. n. 2618 del 1999; Cass. n. 32 del 1994; Cass. n. 6932 del 1987).
Inoltre la nullità della testimonianza resa da persona incapace deve essere
eccepita subito dopo l’espletamento della prova, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., co.
2, (salvo il caso in cui il procuratore della parte interessata non sia stato presente
all’assunzione del mezzo istruttorio, nella quale ipotesi la nullità può essere
eccepita nell’udienza successiva), sicché, in mancanza di tale tempestiva
eccezione, la nullità deve intendersi sanata (in tal senso, tra le tante, Cass. n.

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Presidente MAcioce Relatore Amendola

appello (neanche ritrascritte nel corpo del motivo), peraltro corredando

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16116 del 2003; Cass. n. 6555 del 2005; Cass. n. 403 del 2006), senza che la
preventiva eccezione d’incapacità a testimoniare, proposta a norma dell’art. 246
c.p.c., possa ritenersi comprensiva dell’eccezione di nullità delle testimonianze
comunque ammesse ed assunte nonostante quella previa opposizione (Cass. n.
9553 del 2002 e Cass. n. 15308 del 2004). Alla stregua di tale principio, parte
ricorrente avrebbe dovuto dedurre e dimostrare di avere eccepito la nullità delle
contrastate deposizioni testimoniali all’atto stesso della loro assunzione (o

del 2013), senza limitarsi ad invocare la peraltro inesistente violazione dell’art.
246 c.p.c..

4.— Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 116
c.p.c. in relazione all’attendibilità del teste Livoti, chiedendo alla Corte, con una
pluralità di quesiti, se la stessa debba essere esclusa dai giudici di appello
allorquando il testimone abbia un interesse che potrebbe legittimare la propria
partecipazione al giudizio, sia attore in un medesimo procedimento con identico
petitum e causa petendi contro una delle parti del procedimento, abbia un
interesse a vedere provati i medesimi fatti oggetto della testimonianza in altro
giudizio dallo stesso incardinato e non ancora deciso con sentenza passata in
giudicato.
Il motivo non può trovare accoglimento.
E’ consolidato principio di legittimità quello per il quale “il giudizio
sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la
scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a
sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice
del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di
prova, con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le
ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo
elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi
implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati
specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (ex
plurimis Cass. n. 17097 del 2010 e giurisprudenza ivi citata: Cass. nn.
13910/2001; 11933/2003; 1554/2004; 12362/2006; 27464/2006).

5.— Con l’ultimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.
.. 2697 c.c. e degli artt. 116 e 432 c.p.c. sostenendo che la prova dello
straordinario che il lavoratore deve fornire deve essere seria e rigorosa, in modo
che l’espletamento di attività supplementare risulti in termini concreti e realistici

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immediatamente dopo) (Cass. n. 8358 del 2007; più di recente: Cass. n. 17713

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..

e, conseguentemente, il giudice non può supplire la mancanza di tale prova con
una valutazione equitativa, chiedendo alla Corte se “la sentenza per cui si ricorre
ha violato dette norme”.
Anche questa doglianza non può essere condivisa.
Premesso che una violazione di legge ex art. 2697 c.c. è ipotizzabile solo nel
caso in cui il giudice ponga indebitamente a carico di una parte un onere
probatorio insussistente (il che non è certo accaduto nella specie laddove la Corte

dedotto), nella specie piuttosto ci si duole della valutazione del materiale
probatorio effettuata dai giudici di appello, con una richiesta, nella sostanza, di
rivisitazione del giudizio di merito estranea al sindacato di legittimità.
Lo stesso riferimento all’art. 116 c.p.c. ed alla sua violazione appare erroneo:
poiché l’art. 116 cod. proc. civ. prescrive come regola di valutazione delle prove
quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a
meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la
deduzione in sede di ricorso per cassazione è concepibile solo: a) se il giudice di
merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per
la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso
dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso
valore oppure che il legislatore prevede per una diversa risultanza probatoria
(come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di
valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad
altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso
(oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della
prova di cui trattasi) (in termini, da ultimo, Cass. n. 13960 del 2014).
La circostanza che il giudice, invece, abbia male esercitato il prudente
apprezzamento della prova è censurabile solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., co. 1,
n. 5 (per tutte: Cass. n. 26965 del 2007).
Poiché la censura è stata prospettata sotto il profilo della violazione di legge
ed il quesito posto si sostanzia in una generica istanza di decisione sull’esistenza
della violazione di legge denunziata nel motivo, esso deve ritenersi inammissibile
(cfr., Cass. SS. UU., n. 21672 del 2013).

6.— Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con l’osservazione che
non possono costituire precedenti influenti sulla presente decisione quelli

rappresentati da Cass. nn. 4773 e 5706 del 2015 in cui è stato rigettato il ricorso
di altri lavoratori nei confronti della medesima Foot Locker, atteso che si tratta di

A,

pronunce rese appunto su ricorso dei lavoratori – e non come nel caso che ci

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territoriale ha ritenuto comunque che il Livoti avesse provato lo straordinario

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occupa della società – ovviamente con diversa formulazioni dei motivi ed avverso
diverse sentenze.
Occorre dunque ribadire che l’oggetto del giudizio di questa Corte – come noto
– non è (o nontimmediatamente) il rapporto sostanziale intorno al quale le parti
litigano, bensì unicamente la sentenza di merito che su quel rapporto ha deciso,
di cui occorre verificare la legittimità negli stretti limiti delle critiche vincolate
dall’art. 360 c.p.c. e così come prospettate dalla parte ricorrente (conformi: Cass.

deriva che contigue vicende possono dare luogo a diversi esiti processuali in
Cassazione (v. Cass. n. 22688 del 2014).
Nulla per le spese del giudizio di legittimità non avendo svolto
difensiva l’intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Roma, così deciso nella camera di consiglio del 3 luglio 2015

Il relatore est.

Il Pres ente

attività

n. 10868 del 2014; Cass. n. 10925 del 2014; Cass. n. 10926 del 2014): ne

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