Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21419 del 17/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 17/10/2011, (ud. 19/09/2011, dep. 17/10/2011), n.21419

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18521-2007 proposto da:

COMUNE DI PESCARA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE GORIZIA 14 (STUDIO LEGALE

SINAGRA-SABATINI-

SANCI), presso lo studio dell’avvocato SABATINI FRANCO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.P., + ALTRI OMESSI

domiciliati in ROMA, VIA S.

TOMMASO D’AQUINO 105, presso lo studio dell’avvocato ABBINA STEFANIA

(STUDIO MAGNONI FABIO), rappresentati e difesi dall’avvocato DI

SILVESTRE UGO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

CA.PA., M.S., D.C.I.,

S.A., D.L., D.R.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 414/2007 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 12/04/2007 r.g.n. 336/06 + altre;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/09/2011 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato CAROSELLI ATTILIO per delega FRANCO SABATINI;

udito l’Avvocato VAGNOZZI DANIELE per delega DI SILVESTRE UGO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Pescara rigettava le domande proposte da A. S. e da altri dipendenti del Comune di Pescara intese a conseguire il pagamento da parte dell’ente dei compensi loro dovuti per l’esecuzione, nel periodo ottobre 2000 – dicembre 2001, di un orario di lavoro superiore a quello contrattualmente dovuto.

Con sentenza n. 414/07, in riforma della decisione di prime cure, la Corte d’appello dell’Aquila condannava l’amministrazione appellata a pagare ai suddetti dipendenti, dal 20.9.2000 al 31.12.2001, la trentaseiesima ora prestata settimanalmente.

La Corte territoriale, premesso che la controversia coinvolgeva l’interpretazione dell’art. 22 del CCNL del 1999 del comparto regioni ed autonomie locali e dell’art. 11 del contratto collettivo decentrato, osservava che la prima di tali disposizioni stabiliva che “al personale adibito a regimi di orario articolato in più turni o secondo una programmazione plurisettimanale (…) è applicata, a decorrere dall’entrata in vigore del contratto collettivo decentrato integrativo, una riduzione di orario fino a raggiungere le 35 ore settimanali”. Tale disposizione rimetteva alla contrattazione decentrata le modalità di attuazione della riduzione di orario, nel senso che essa poteva dettare i criteri per realizzare gradualmente tale risultato, ferma restando una prima riduzione di orario già al momento dell’entrata in vigore del contratto decentrato. Detta delega, stante il tenore del richiamato art. 22, non escludeva che la riduzione di orario potesse essere disposta in un unico momento all’entrata in vigore del contratto.

A sua volta l’art. 11 del contratto decentrato, con il prevedere che “l’orario di lavoro va ridotto a 35 ore settimanali”, non necessariamente esprimeva una mera dichiarazione di intenti, prestandosi anche ad una diversa lettura, nel senso cioè che l’orario di lavoro era ridotto a 35 ore settimanali fin dal momento dell’entrata in vigore del contratto. In tal senso militava l’assenza di pattuizioni da cui evincere che tale risultato si dovesse raggiungere gradualmente, come la contrattazione nazionale avrebbe consentito. Del resto le altre norme contenute nell’art. 11 si riferivano a situazioni susseguenti all’applicazione della riduzione d’orario. Anche la norma dell’u.c., secondo cui deve essere considerato lavoro straordinario solo quello prestato oltre la 36^ ora, doveva ritenersi come una misura, destinata ad operare dall’entrata in vigore del contratto integrativo e per tutta la sua vigenza, diretta ad evitare aggravi di bilancio, nella fase di prima applicazione della clausola sulla riduzione dell’orario. Doveva anche considerarsi – sempre ad avviso dei giudici d’appello – che il Comune di Pescara aveva adottato il nuovo orario in un’unica soluzione (dal 1.1.2002), senza che risultassero le ragioni organizzative che avevano giustificato lo slittamento dell’entrata in vigore del nuovo orario e senza che vi fossero ostacoli economici all’immediata riduzione, poichè gli organismi interni di controllo avevano espresso un giudizio di compatibilità dei costi dell’operazione con i vincoli di bilancio.

Il Comune di Pescara ricorre per cassazione con quattro motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

Gli intimati resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Con il primo motivo il Comune ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 22 del CCNL regioni ed autonomie locali 1.4.1999, lamenta che sia stata trascurata, nell’interpretazione del citato art. 22, la lettera della disposizione concernente la riduzione di orario, “a decorrere” dall’entrata in vigore del contratto collettivo decentrato, “fino a raggiungere le 35 ore settimanali”, che implica chiaramente una gradualità della riduzione, mentre l’art. 4, attribuendo alla fonte contrattuale sotto ordinata il compito di determinare “le modalità e le verifiche per l’attuazione della riduzione di orario di cui all’art. 22”, delimita la competenza in materia della medesima al rispetto di tali criteri.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia contraddittorietà della motivazione su un fatto controverso e decisivo, osservando che l’interpretazione accolta dalla Corte territoriale presenta un contrasto tra la premessa – secondo cui la contrattazione decentrata poteva dettare criteri per la riduzione graduale – e l’affermazione successiva, secondo la quale la riduzione dell’orario poteva essere immediata e in unica soluzione.

Con il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 1362 e segg. c.c. nell’interpretazione del contratto collettivo decentrato, atteso che, una volta constatata l’ambiguità dell’elemento letterale, si sarebbe dovuto valorizzare il criterio dell’interpretazione complessiva delle clausole (ex art. 1363 c.c.):

in particolare, si duole l’amministrazione ricorrente dell’essere stato recepito un significato incompatibile con l’art. 22 del CCNL, mentre l’adozione di un’interpretazione contraria al criterio della gradualità avrebbe comportato la nullità e l’inefficacia della disposizione del D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 40.

Il quarto motivo denuncia contraddittoria e omessa motivazione su più fatti decisivi, nel senso che l’avere il Comune ridotto l’orario in un’unica soluzione a distanza di tre mesi dalla stipula dell’accordo decentrato e a oltre due anni e mezzo dalla stipula del contratto nazionale non significa che la riduzione stessa sia stata prevista dal contatto decentrato con effetto immediato. Infine, il richiamo alla relazione del dirigente del servizio finanziario non può considerarsi significativo, non figurandovi menzione alcuna dell’art. 11 del contratto decentrato.

2- Il primo motivo è fondato nei termini qui di seguito chiariti.

Recita l’art. 22, comma 1 CCNL regioni ed autonomie locali 1.4.1999:

“Al personale adibito a regimi di orario articolato in più turni o secondo una programmazione plurisettimanale, ai sensi dell’art. 17, comma 4, lett., b) e c), del CCNL del 6.7.1995, finalizzati al miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia delle attività istituzionali ed in particolare all’ampliamento dei servizi all’utenza, è applicata, a decorrere dalla data di entrata in vigore del contratto collettivo decentrato integrativo, una riduzione di orario fino a raggiungere le 35 ore medie settimanali, I maggiori oneri derivanti dall’applicazione del presente articolo devono essere fronteggiati con proporzionali riduzioni del lavoro straordinario, oppure con stabili modifiche degli assetti organizzativi”.

A sua volta, il precedente art. 4 stesso CCNL, al comma 2 lett. i) attribuisce alla contrattazione collettiva decentrata integrativa “le modalità e le verifiche per l’attuazione della riduzione d’orario di cui all’art. 22”.

Orbene, esclusa la possibilità di interpretare il contratto nazionale attraverso quello decentrato (diverse essendone le parti collettive, con conseguente inapplicabilità del criterio, ex art. 1363 cpv. c.c., del comportamento complessivo delle parti successivo alla stipula), deve evidenziarsi che il tenore testuale dell’art. 22 cit., con la locuzione “… fino a raggiungere …”, può anche lasciare aperta la strada alla possibilità, sostenuta dai controricorrenti, di una riduzione immediata e uno actu, ma sicuramente non ne vieta una progressiva o comunque non coincidente con l’entrata in vigore del contratto decentrato.

Infatti, il riferimento alla decorrenza dalla data di entrata in vigore del contratto collettivo decentrato integrativo segnala solo il momento a partire dal quale è consentito (non imposto) ridurre o cominciare a ridurre l’orario medio settimanale fino a passare dalle 36 ore previste dal previgente contratto alle 35 stabilite dal nuovo assetto.

Ad ogni modo tale riduzione – che dovesse necessariamente essere graduale o che potesse attuarsi anche immediatamente e uno actu – comunque “doveva” essere fronteggiata, proprio per i maggiori oneri che di per sè comportava, con proporzionali riduzioni del lavoro straordinario oppure con stabili modifiche degli assetti organizzativi.

A tale riguardo il dato letterale dell’ultimo periodo del cit. art. 22 non lascia adito a dubbi di sorta.

In altre parole, senza l’uno o l’altro meccanismo compensativo, la riduzione di orario non avrebbe potuto realizzarsi, per difetto di copertura finanziaria.

Ma mentre le proporzionali riduzioni del lavoro straordinario possono costituire appannaggio della contrattazione collettiva (nazionale o decentrata), non altrettanto è a dirsi delle stabili modifiche degli assetti organizzativi (degli uffici della pubblica amministrazione), trattandosi di materia espressamente espunta dalle competenze dell’autonomia collettiva ai sensi del D.Lgs. del 1993, art. 4, n. 29 conformemente alla L. n. 421 del 1992, art. 2, comma 1, lett. c) e, ora, del D.Lgs. n. 165 del 2001, 40, comma 1.

Dunque, pure “le modalità e le verifiche per l’attuazione della riduzione d’orario di cui all’art. 22” non possono che riferirsi a proporzionali riduzioni del lavoro straordinario e non anche a stabili modifiche degli assetti organizzativi, ostandovi le citate contrarie disposizioni di legge.

Nè valga il rilievo, valorizzato dai giudici d’appello, della mancata esplicitazione delle ragioni organizzative che avevano giustificato lo slittamento dell’entrata in vigore del nuovo orario, esplicitazione non prevista da alcuna clausola contrattuale.

Ne consegue che, in assenza di proporzionali riduzioni del lavoro straordinario – le cui eventuali modalità erano rimesse alla contrattazione collettiva decentrata integrativa ai sensi del cit.

art. 4, comma 2, lett. i) -, la contrattazione nazionale aveva previsto come alternativo meccanismo compensativo della riduzione d’orario quello di nuovi assetti organizzativi, per legge necessariamente rimessi alla sola amministrazione, in ciò vincolata nell’an – cioè nell’essere obbligata a raggiungere pur sempre le 35 ore medie settimanali – ma non anche nel quomodo e nel quando.

E’ quanto accaduto nel caso di specie, atteso che nessuna delle parti ha allegato la successiva pattuizione di proporzionali decrementi del lavoro straordinario.

Ciò vuoi dire che la riduzione a 35 ore non poteva che accompagnarsi a stabili modifiche degli assetti organizzativi, in quanto tali demandate per volontà legislativa – v. D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 4, L. n. 421 del 1992, art. 2, comma 1, lett. c) e, oggi, D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 1 – alla discrezionalità (parzialmente vincolata nei termini anzidetti) del Comune di Pescara, che vi ha provveduto tre mesi dopo l’entrata in vigore del cit. contratto collettivo decentrato integrativo.

L’obiezione dei controricorrenti, secondo cui tale esegesi avrebbe, alla stregua di una condizione meramente potestativa, illegittimamente lasciato all’arbitrio dell’amministrazione le modalità e la tempistica dell’adempimento, non ha pregio quanto alle prime perchè (in difetto del ricorso negoziale a proporzionali riduzioni del lavoro straordinario) è la legge stessa che riserva all’amministrazione gli assetti organizzativi degli uffici e, quanto alla seconda, perchè trascura l’insegnamento giurisprudenziale di questa S.C. che ammette la legittimità di una clausola “cum voluerit” o “cum potuerit” cui è applicabile la disciplina dell’art. 1183 cpv. c.c. (cfr. Cass. Sez. 2 n. 11774 del 21.5.2007).

Tale elemento accidentale si distingue da una condizione meramente potestativa (nulla ex art. 1355 c.c.), caratterizzata da una sostanziale negazione di ogni vincolo obbligatorio (cfr., ex aliis, Cass. Sez. 1 n. 20290 del 10.10.2005; Cass. Sez. 2 n. 8390 del 20.6.2000); nel caso di specie – al contrario – già il rinvio al successivo livello negoziale e a fattori estrinseci come le compatibilità organizzative dell’amministrazione, testimonia del comune intento di escluderne il mero arbitrio.

Proprio l’applicabilità dell’art. 1183 cpv. c.c. alla clausola “cum voluerif o “cum potuerit”, fa sì che, in ipotesi di protratta inerzia del debitore nell’adempiere (nel caso di specie, di soli tre mesi rispetto alla decorrenza del contratto decentrato integrativo), il creditore possa attivarsi per la fissazione del termine (il che non risulta sia avvenuto nel caso di specie), ma prima di allora il debitore non è inadempiente, non essendo ancora esigibile la prestazione.

Ne discende che correttamente il Comune di Pescara ha fatto decorrere dal 1.1.02 la riduzione di orario; per l’effetto, non è accoglibile la pretesa dei controricorrenti di farla retroagire sin dalla data del 20.9.00 (come erroneamente stabilito dall’impugnata sentenza).

2- Le considerazioni che precedono assorbono la disamina delle restanti doglianze avanzate dall’amministrazione ricorrente e di ogni altra difesa svolta dalle parti.

3 – In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata; decidendo nel merito, questa S.C. rigetta la domanda dei lavoratori, sia pure con integrale compensazione fra le parti delle spese dell’intero giudizio, considerata la problematicità della questione controversa e l’esistenza di difformi soluzioni adottate in primo e secondo grado.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda dei lavoratori. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2011

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