Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21417 del 17/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 17/10/2011, (ud. 23/06/2011, dep. 17/10/2011), n.21417

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28859-2007 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, BIONDI GIOVANNA, VALENTE NICOLA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.S.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 693/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 28/05/2007 R.G.N. 98/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2011 dal Consigliere Dott. FILIPPO CURCURUTO;

udito l’Avvocato CALIULO LUIGI per delega RICCIO ALESSANDRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

P.S. ha proposto contro l’INPS una domanda diretta ad ottenere l’integrazione piena al trattamento minimo della pensione VO dal gennaio 1995, anzichè dal 1 gennaio 2000 e nella misura del 70%, come riconosciutole dall’INPS. A sostegno della domanda ha dedotto di aver perfezionato il diritto alla pensione entro il 31 dicembre 1994, riscuotendo la prima rata nel gennaio 1995 e di avere un reddito, cumulato con quello del proprio coniuge, non superiore a cinque volte il trattamento minimo, così rientrando nell’ambito di applicazione della L. 14 dicembre 1993, n. 537, che, all’art. 11, comma 38, aveva previsto la riferita elevazione del limite reddituale per i lavoratori andati in pensione successivamente al dicembre 1993 e fino al 31 dicembre 1994.

La domanda, rigettata in primo grado, è stata accolta parzialmente dalla Corte di Appello di Torino, che tenendo conto della decadenza per i ratei maturati sino al 26 maggio 2002, ha condannato l’INPS a corrispondere l’integrazione da tale data.

In estrema sintesi e per ciò che ancora rileva la Corte territoriale ha ritenuto che la disposizione di cui al richiamato della L. n. 537 del 1993, art. 11 riguardi anche coloro che entro il 31 dicembre abbiano maturato il diritto alla pensione indipendentemente dalla circostanza che abbiano ottenuto la prestazione successivamente.

L’INPS chiede a cassazione della sentenza con ricorso per un motivo.

L’intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con l’unico motivo di ricorso si addebita alla sentenza impugnata di avere, in violazione o falsa applicazione del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 6, comma 1, conv. nella L. 11 novembre 1983, n. 638 così come sostituito dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 4 modificato dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 11, comma 38, nonchè dalla L. 14 dicembre 2000, n. 385, art. 1 riconosciuto il diritto all’integrazione senza considerare che in base al tenore del cit. D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 4 come sopra modificato il limite di reddito di cinque volte il trattamento minimo riguarda i lavoratori “andati in pensione” fra il 31 dicembre 1993 e il 31 dicembre 1994, come testualmente previsto in tale disposizione, e perciò i lavoratori che in detto intervallo hanno già percepito il primo rateo di pensione e non invece quelli che hanno solo perfezionato il diritto ad ottenerla, situazione nella quale si trovava la P. che aveva presentato domanda di pensione nel dicembre 1994, ottenendo la prestazione nel gennaio 1995.

Il motivo è infondato.

L’Istituto ricorrente sottolinea che nel più volte cit. D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 4 che fissa i nuovi requisiti reddituali per il trattamento minimo il comma 2 mantiene la più favorevole disciplina previgente per i “pensionati in essere” al 31 dicembre 1993, espressione costantemente interpretata da questa Corte nel senso che essa denota coloro che entro tale data hanno perfezionato il diritto a pensione ed hanno presentato la relativa domanda anche se sono entrati nel godimento del primo rateo dal gennaio 1994 (Cass. 132/2000; 15154/2001; 4427/2002; 6498/2002 e numerose altre).

Tale esatta osservazione non giustifica però la conclusione che laddove il cit. art. nel modificare il D.L. n. 463 del 1983, comma 1 conv. nella L. n. 638 del 1983, assegnando, fra l’altro rilievo preclusivo del diritto all’integrazione ad un reddito cumulato con quello del coniuge superiore a tre volte il trattamento minimo, ha previsto un più favorevole limite (di cinque volte il trattamento minimo) per il lavoratori “andati in pensione” fra il 31 dicembre 1993 e il 31 dicembre 1994, esso abbia voluto tener conto non della maturazione del diritto in tale intervallo di tempo ma della circostanza dell’effettivo godimento, nello stesso detto intervallo, del trattamento pensionistico. La diversità semantica delle due espressioni considerate ben può esser dovuta infatti ad una certa approssimazione del redattore del testo legislativo, tanto più ove si consideri che l’espressione ” pensionati in essere” appartiene chiaramente al gergo specializzato previdenziale mentre l’espressione” andati in pensione” si avvicina al linguaggio naturale, sicchè non sembra che il confronto di due modalità linguistiche disomogenee possa condurre ad apprezzabili risultati ermeneutici. Inoltre, far dipendere la fruizione di un beneficio non da una circostanza verificabile a priori quale la sussistenza di tutte le condizioni per il sorgere del diritto a pensione ma da fatti casuali quali la maggior o minore tempestività degli uffici dell’ente previdenziale nel fornire la prestazione, introduce nell’interpretazione del testo un coefficiente di incertezza del quale non è dato cogliere la ratio.

In conclusione, il motivo è infondato e il ricorso non può trovare accoglimento. Non si deve pronunziare sulle spese stante la mancata attività difensiva della parte intimata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2011

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