Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21415 del 10/10/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 21415 Anno 2014
Presidente: AMATUCCI ALFONSO
Relatore: D’AMICO PAOLO

SENTENZA

sul ricorso 8307-2011 proposto da:
TAMBURRINI

MARIO

VINCENZO

TMBMVN51L19D508G,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SANTIAGO
DEL CILE 7, presso lo studio dell’avvocato FRANCO
MATERA, rappresentato e difeso dall’avvocato
CARLINO CARRIERI giusta procura a margine del
2014

ricorso;
– ricorrente –

1685
contro

LATARTARA ANGELA LTRNGL66A58D508V, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA GOLAMETTO 4, presso lo

1

Data pubblicazione: 10/10/2014

studio dell’avvocato LORENZO GIUA, rappresentata e
difesa dall’avvocato DOMENICO ITALO TANZARELLA
giusta procura in calce al controricorso;
controricorrente –

avverso la sentenza n. 158/2010 della CORTE
D’APPELLO di LECCE, depositata il 18/03/2010 R.G.N.

4/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 27/06/2014 dal Consigliere
Dott. PAOLO D’AMICO;
udito l’Avvocato CARLINO CARRIERI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per il
rigetto.

2

T-L

Svolgimento del processo

1.- Angela Latartara convenne in giudizio Mario Vincenzo
Tamburrini chiedendo il risarcimento dei danni che asserì di
aver subito a seguito di un trattamento di emorroidi con
laserterapia effettuato dal convenuto.

che non era stato provato che il medico avesse effettuato il
trattamento con laserterapia e ritenendo che le successive
complicanze non fossero dipese da imperizia professionale.
La Corte d’appello di Lecce, ritenuto provato

2.-

l’aggravamento del quadro patologico dopo l’intervento che il
medico non aveva provato essere di particolare difficoltà, ha
accolto l’appello di Angela Latartara ed ha condannato il
Tamburrini a pagarle E 14.413,24, oltre accessori.
Propone ricorso per cassazione Mario Vincenzo

3.-

Tamburrini con tre motivi.
Resiste con controricorso Angela Latartara.
Motivi della decisione
1.-

Con il primo motivo è denunciata «art. 360 n.

5

c.p.c.. Contraddittoria motivazione circa il fatto controverso
e decisivo per il giudizio dell’inadempimento
dell’obbligazione sanitaria gravante sul professionista;
erronea valutazione delle risultanze probatorie acquisite in
giudizio.»

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Il Tribunale di Brindisi rigettò la domanda, osservando

Ad avviso del ricorrente la sentenza impugnata non
consente di identificare quale sia il procedimento logicogiuridico posto a base della decisione, poiché le
argomentazioni utilizzate si rivelano fra loro incompatibili
al punto tale da elidersi a vicenda, inficiando la

ratio

Il motivo é infondato.
La Corte leccese, con un’ampia motivazione, ha ravvisato
il nesso causale fra il comportamento del medico e il danno ed
ha ritenuto che, nonostante il ricorso all’opera del
professionista, il quadro clinico della paziente, non solo non
era migliorato ma era anzi peggiorato.
In particolare la Corte ha condiviso l’affermazione del
C.t.u. secondo cui esiste un nesso causale o concausale tra la
condotta del medico, che si assunse l’onere di trattare la
patologia anale della paziente, e il mancato risultato
migliorativo conseguente a tale trattamento. Afferma detta
Corte che il quadro probatorio complessivo non consente di
stabilire se il sanitario abbia praticato una sola seduta di
laserterapia, né se nelle prime due sedute abbia provveduto a
trattare le emorroidi con legatura elastica. Tale prova doveva
essere fornita dallo stesso medico.
In conclusione, l’impugnata sentenza non presenta nessun
vizio motivazionale né alcuna erronea valutazione delle
risultanze probatorie, mentre il professionista non ha fornito

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decidendi che sorregge la pronuncia.

la prova liberatoria, gravante su di lui, circa la non
imputabilità del danno ad un suo errore nell’esecuzione della
legatura e laserterapia. Né ha dimostrato che i danni fossero
conseguenza di rischi insiti nell’esecuzione della procedura
de qua.

360 n. 3 c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697
cod. civ., in relazione all’art. 116 c.p.c. e degli artt..
1176, coma secondo, 2230, 2236, 1218, 1223, 1226, 1227 e
2056, cod. civ.», Sostiene che la prestazione sanitaria era
stata resa in esecuzione di un contratto concluso tra il
medico e la paziente e quindi regolato dalle norme che
disciplinano la corrispondente attività del medico nell’ambito
del contratto di prestazione d’opera professionale, con la
conseguenza che quest’ultimo risponde dei danni derivati al
paziente da trattamenti sanitari praticatigli con colpa, alla
stregua delle norme di cui agli artt. 1176, coma 2 0 e 2236
c.c.
Nel caso in esame, prosegue Tamburrini, il c.t.u. ha
escluso la ricorrenza di imprudenza ed imperizia nella
esecuzione della prestazione sanitaria ed è quindi evidente
l’errore in cui è incorsa la Corte leccese nell’applicare le
norme regolanti la fattispecie, laddove ha riconosciuto la
sussistenza di colpa, esclusa invece dalle risultanze
probatorie.

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2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia «art.

Il motivo è infondato.
Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti,
ai fini del riparto dell’onere probatorio, l’attore, paziente
danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del
contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o

debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato,
rimanendo a carico del debitore della prestazione sanitaria
l’onere di dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato,
ovvero che, pur esistendo, esso si è verificato per causa a
lui non imputabile.
Ne deriva che è corretto e condivisibile il criterio di
riparto dell’onere probatorio adottato dal giudice a

quo in

relazione alla fattispecie dedotta in giudizio, con
conseguente insussistenza delle violazioni di legge denunciate
al riguardo dal ricorrente.
La Corte d’appello ha ritenuto accertata la relazione
causale fra il trattamento del sanitario e l’aggravamento del
quadro clinico ed ha considerato che il c.t.u. aveva valutato
come inadeguato e inappropriato il trattamento delle emorroidi
interne di quarto grado con laserterapia. Il sanitario avrebbe
allora dovuto dare egli stesso la prova del trattamento
effettivamente praticato nelle prime due sedute, non ricadendo
certo sul paziente – quasi sempre privo di nozioni mediche e,
comunque, della documentazione che è onere del medico

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l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del

compilare e detenere – l’onere di dimostrare lo specifico tipo
di intervento subito.
Il Tamburrini neppure ha provato che la prestazione
praticata fosse di particolare difficoltà e che fosse adeguata
la scelta di trattare ambulatoriamente la paziente, pur senza

senza neppure l’assistenza di una infermiera professionale.
Non ha dunque dimostrato che l’inadempimento non sia
imputabile a sua colpa, così superando la presunzione posta a
suo carico. In altri termini, non ha dimostrato che nessun
rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia potesse essergli
mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento,
questo non avesse avuto alcuna incidenza sulla produzione del
danno.
3.-

Con il terzo motivo si denuncia «art. 360 n. 3)

c.p.c.. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2059 cod.
civ. e 185 c.p.»
Ritiene il ricorrente che la Corte leccese abbia errato
nel ritenere sussistente, al di fuori di ipotesi di reato, un
danno morale risarcibile in conseguenza della lesione del bene
della salute.
Il motivo è infondato.
Sulla

base

dell’interpretazione

orientata dell’art. 2059 c.c. (cfr.,

costituzionalmente

ex multis, n. 26972/2008)

il danno non patrimoniale è risarcibile, anche quando non

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l’ausilio di attrezzature proprie di un ambiente ospedaliero e

sussista un fatto-reato né ricorra alcuna delle altre ipotesi
in cui la legge consente espressamente il ristoro dei
pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni:

(a) che l’interesse leso

e non il pregiudizio

sofferto – abbia rilevanza costituzionale;

che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in
quanto il dovere di solidarietà, di cui all’art. 2 Cost.,
impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella
propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla
convivenza);
– (c) che il danno non sia futile, vale a dire che non
consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di
diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della
vita od alla felicità,
A tali criteri l’impugnata sentenza si è attenuta,
adeguatamente motivando in relazione al caso in esame circa la
sofferenza patita dalla paziente affetta da vivi dolori nel
compimento di comuni atti fisiologici,

tiggl,

numerosi ricoveri

ospedalieri, Wl’incidenza negativa della patologia sulla
vita familiare e sulle relazioni sociali.
4.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con

condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di
cassazione i che si liquidano come in dispositivo.

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– (b) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente
alle spese del giudizio di cassazione che liquida in C
6.200,00 di cui E 200,00 per esborsi, oltre alle spese
generali ed agli accessori di legge.

Roma, 27 giugno 2014

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