Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21411 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/10/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 06/10/2020), n.21411

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– ricorrente –

contro

D.E. Srl, in persona del legale rappresentante pro

tempore, nonchè B.D.M., B.F.V.,

B.D. e B.I., tutti rappresentati e difesi, giusta procura

speciale stesa a margine del controricorso, dagli Avv.ti Giuseppe

Martino, del Foro di Chieti, e Domenico Martino, che hanno indicato

recapito PEC, ed elettivamente domiciliati presso il secondo

difensore, Studio Professionale Tartaglia, alla via Vittorio Veneto

n. 7 in Roma;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 98, pronunciata dalla Commissione tributaria

regionale di L’Aquila il 26.9.2013 e pubblicata il 19.11.2013;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Dott. Di Marzio Paolo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società D.E. Srl riceveva dall’Agenzia delle Entrate gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS), n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS), relativi a maggior reddito percepito negli anni 2005, 2006 e 2007, conseguendone maggiori imposte a titolo di Ires, Irap ed Iva. Avvisi di accertamento erano notificati, essendosi la società avvalsa del regime di tassazione per trasparenza (ricorso, p. 4), anche ai soci, B.D.M., B.F.V., B.D., per il maggior reddito conseguenziale percepito ai fini Irpef, nei medesimi anni d’imposta. L’accertamento trovava centrale fondamento nella documentazione raccolta dalla Guardia di Finanza presso la sede della società, mediante indagini svolte ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52. Era stata infatti rinvenuta documentazione relativa ad operazioni poste in essere con società considerate “cartiere”, perchè prive di strumenti (materiali, attrezzi) per poter concretamente operare, ed era stata quindi ritenuta accertata, tra l’altro, l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente ed oggettivamente inesistenti. In relazione a queste condotte era stato anche avviato un procedimento penale. Peraltro, la società non presentava la dichiarazione dei redditi proprio dall’anno 2005 (ric., p. 2).

La società ed i soci impugnavano gli avvisi di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale di L’Aquila che, riuniti i ricorsi, li accoglieva parzialmente, riducendo l’ammontare del maggior reddito imponibile percepito dalla società, ed in conseguenza dai soci.

2. La decisione assunta dalla CTP era gravata da appello dalla società e dai soci innanzi alla Commissione tributaria regionale di l’Aquila, domandando i ricorrenti l’annullamento totale degli atti impositivi. La CTR accoglieva i ricorsi ritenendo che la documentazione su cui gli avvisi di accertamento risultavano fondati fosse stata acquisita in violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 perchè, pur essendo stato l’accesso alla sede sociale dell’impresa autorizzato dal P.M., la società ed i soci non erano stati posti in condizione di verificare la legittimità del provvedimento, con particolare riferimento all’esistenza dei gravi indizi che avrebbero dovuto giustificarlo. In conseguenza annullava tutti gli avvisi di accertamento impugnati.

3. Avverso la decisione adottata dalla CTR dell’Abruzzo ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi a quattro motivi di gravame. Resistono mediante controricorso la società ed i soci. Ragioni della decisione

1. Con il suo primo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle Entrate contesta la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2, in cui è incorsa la CTR impugnata, per aver ritenuto che l’autorizzazione fornita dal P.M. all’accesso presso l’abitazione di B.D.M., adibita anche a sede sociale, potesse essere legittimamente concessa soltanto in presenza di gravi indizi di responsabilità, mentre gli stessi non erano necessari essendo la sede promiscua all’abitazione del rappresentante legale, anch’egli sottoposto ad accertamento.

2. Mediante il secondo ed il terzo motivo di impugnazione, proposti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’antecedente così come nell’attuale formulazione, l’Ente impositore censura la decisione adottata dalla CTR per non aver motivato sul fatto decisivo costituito dalle diverse questioni sottoposte dall’Ente impositore al suo esame, avendo ritenuto assorbente la affermata illegittimità dell’acquisizione documentale effettuata dalla Guardia di Finanza.

3. Con il suo quarto motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’Amministrazione finanziaria critica la decisione adottata dalla CTR per aver trascurato che l’autorizzazione concessa dal P.M. all’accesso presso la sede dell’impresa era comunque legittimamente fondata in conseguenza del rinvio operato ai rilievi proposti dalla GdF, e comunque per aver completamente omesso l’esame di numerose e valide presunzioni, proposte al fine di provare la commissione da parte della società di numerosi fatti di evasione.

4. Mediante i suoi motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente in considerazione della loro connessione e conseguenzialità, l’Agenzia delle Entrate censura la nullità della sentenza, la violazione di legge ed il vizio di motivazione, vizi in cui sarebbe incorsa la CTR per aver ritenuto illegittimo l’accesso all’abitazione del legale rappresentante ed alla sede sociale della D.E. Srl, applicando erroneamente il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2, mentre la norma che disciplina la specifica fattispecie risulta essere il comma 1, ultima parte, dello stesso articolo, con la conseguenza che l’autorizzazione del P.M. non richiedeva l’illustrazione della presenza di gravi indizi di responsabilità circa la commissione di fatti di evasione fiscale da parte della società, da illustrarsi analiticamente. In conseguenza la CTR, ritenuto di dover definire il giudizio in considerazione della pretesa irregolarità dell’agire dell’Amministrazione finanziaria, non ha neppure esaminato le numerose e rilevanti presunzioni di responsabilità fiscale raccolte nei confronti della società, allegate e provate dall’Ente impositore nell’accertamento tributario ed anche in giudizio.

4.1. Occorre preliminarmente osservare che i controricorrenti hanno contestato l’inammissibilità del rilievo proposto dall’Ente impositore in materia di applicabilità della disciplina di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1, ultima parte, anzichè del comma 2, per essere stata proposta la questione soltanto in sede di giudizio di legittimità. La tesi appare infondata perchè l’Agenzia delle Entrate propone rilievi in materia di corretta applicazione di norme di diritto, che deve comunque essere verificata anche d’ufficio dal giudice.

4.2. Tanto premesso, la CTR scrive che “la Commissione ritiene di dover pervenire alla declaratoria di annullamento degli avvisi di accertamento per illegittima acquisizione della documentazione. E ciò perchè il provvedimento con il quale il Procuratore della Repubblica ha autorizzato l’accesso alla Guardia di Finanza in locali diversi da quelli destinati ad ufficio, non contiene una adeguata motivazione in ordine alla sussistenza dei necessari presupposti. In particolare nel detto provvedimento, con il quale si autorizza l’accesso presso l’abitazione privata, si rinviene un semplice rinvio alla “richiesta della Guardia di Finanza di Avezzano con la quale si fa presente che ‘deve essere avviata una verifica fiscale per controllare il regolare assolvimento della normativa vigente in materia di IVA, delle Imposte sui redditi e degli altri tributì. Tale richiesta, peraltro, non risulta nemmeno allegata al provvedimento del Procuratore della Repubblica… Dal che si deve dedurre che al momento della richiesta per avviare la verifica la Guardia di Finanza non fosse a conoscenza di alcun indizio di violazione del decreto iva. Diversamente avrebbe dovuto esternarlo nella richiesta al Procuratore e questi avrebbe dovuto valutare la gravità e concordanza di tali indizi di violazione nel decreto” (sent. CTR, p. 7).

La motivazione resa dalla CTR evidenzia, pertanto, che la stessa ha ritenuto difettassero, nel caso di specie, gli estremi di una legittima autorizzazione all’accesso domiciliare da parte del P.M., perchè il Procuratore della Repubblica non avrebbe esposto i gravi indizi su cui la stessa risultava fondata.

Troppi sono, però, i profili che risultano trascurati in una simile motivazione. La CTR afferma che la documentazione sulla cui utilizzabilità si controverte sia stata acquisita in locali diversi dall’ufficio della società, ma non chiarisce su che cosa fondi l’assunto, in altri termini non spiega per quali ragioni ritiene che i documenti siano stati acquisiti presso l’abitazione del rappresentante legale della società, e non presso l’ufficio della stessa. Non si sofferma, invero, neppure sul se esistesse un ufficio e risultasse promiscuo all’abitazione. Non illustra se ritenga applicabile il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2, oppure il primo, e non espone perchè non sarebbero risultati integrati i presupposti di legge qualora ricorra la seconda ipotesi.

Merita allora di essere osservato che, come si legge nel verbale di perquisizione e sequestro del 12.2.2009, redatto dalla GdF (allegato in copia al controricorso), “l’abitazione di residenza” del legale rappresentante della società cui i Militari hanno avuto accesso, è “composta da soggiorno con angolo cottura, due bagni, due camere da letto, armadio a muro e garage al piano terra e pertinente mansarda adibita ad ufficio” (evidenza aggiunta). La CTR avrebbe dovuto pertanto valutare se non ricorresse un’ipotesi di promiscuità di tale ufficio con l’abitazione. Ne dipende, infatti, la diversa normativa applicabile, il primo o il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2, che recitano: “(I) Gli Uffici dell’imposta sul valore aggiunto possono disporre l’accesso d’impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio d’attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, nonchè in quelli utilizzati dagli enti non commerciali e da quelli che godono dei benefici di cui al codice del Terzo settore di cui alla L. 6 giugno 2016, n. 106, art. 1, comma 2, lett. b), per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni. Gli impiegati che eseguono l’accesso devono essere muniti d’apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono. Tuttavia per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione, è necessaria anche l’autorizzazione del procuratore della Repubblica. In ogni caso, l’accesso nei locali destinati all’esercizio di arti o professioni dovrà essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato.

(II) L’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito, previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni”.

Può pertanto enunciarsi il principio di diritto secondo cui “gli incaricati dell’accertamento tributario, per accedere con finalità ispettive a locali dell’impresa, è di regola sufficiente che siano provvisti dell’autorizzazione rilasciata dal capo dell’ufficio finanziario, come previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1, prima parte. Ai sensi del medesimo D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2, invece, qualora l’Amministrazione finanziaria intenda accedere “in locali diversi” dall’ufficio dell’impresa o dal luogo in cui si svolge l’attività produttiva, la disciplina legale richiede che gli incaricati dell’accertamento siano muniti dell’autorizzazione del P.M., la quale può essere concessa in forma legittima soltanto in presenza di gravi indizi di responsabilità del soggetto accertato. L’accesso a locali dell’impresa che siano utilizzati anche come abitazione, invece, è regolata dalla seconda parte del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1 richiedendosi in questo caso, oltre l’autorizzazione del capo dell’ufficio finanziario, anche l’autorizzazione all’accesso del P.M., ma non prevedendo la disciplina legale la necessaria ricorrenza, e tantomeno l’indicazione, dei gravi indizi di responsabilità dell’accertato”.

Questa Corte di legittimità ha avuto già modo di intervenire ripetutamente in materia, ed ha affermato un orientamento consolidato e condivisibile, al quale si intende pertanto assicurare continuità, secondo cui “in tema di accertamento, l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, prescritta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, commi 1 e 2, ai fini dell’accesso degli impiegati dell’Amministrazione finanziaria (o della Guardia di finanza, nell’esercizio dei compiti di collaborazione con gli uffici finanziari ad essa demandati) a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente ovvero esclusivamente ad abitazione, è subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni soltanto in quest’ultima ipotesi e non anche quando si tratti di locali ad uso promiscuo. Tale ultima destinazione ricorre non soltanto nel caso in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, ma ogni qual volta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi. (La S.C., in applicazione del principio, ha cassato la sentenza impugnata, che aveva annullato l’atto impositivo per carenza di motivazione circa la ricorrenza di “gravi indizi” del provvedimento del P.M. di autorizzazione all’accesso all’abitazione del contribuente, omettendo ogni valutazione sull’uso promiscuo dei locali, nonostante la presenza di un collegamento interno tra il locale destinato ad uso abitativo e la sottostante unità immobiliare adibita a ristorante – pizzeria)”, Cass. sez. VI-V, 28.3.2018, n. 7723 (conformi: Cass. sez. VI-V, 16.12.2013, n. 28068; e già Cass. sez. V, 5.2.2007, n. 2444).

5. Il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate deve essere pertanto accolto per quanto di ragione, con rinvio alla Commissione tributaria regionale di L’Aquila che, in diversa composizione, procederà a rinnovare il giudizio nel rispetto dei principi esposti, e provvederà pure a regolare le spese di lite del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie, per quanto di ragione, il ricorso introdotto dall’Agenzia delle Entrate, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo perchè, in diversa composizione, proceda a rinnovare il giudizio, provvedendo anche a disciplinare le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

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