Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21410 del 17/10/2011

Cassazione civile sez. I, 17/10/2011, (ud. 13/07/2011, dep. 17/10/2011), n.21410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6548/2005 proposto da:

PROCEDURA DI AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA DEL CONSORZIO IMPRESE

COSTRUZIONI ROMAGNOLI – LOMBARDI – IRCES (c.f. (OMISSIS)), in

persona dei Commissari pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA RONCIGLIONE 3, presso l’avvocato GULLOTTA Fabio, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MACRI’ GIULIO, giusta

procura speciale per Notaio Dott. LEONARDO SORESI di MILANO – Rep. n.

79106 del 25.2.2005;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 221/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/01/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

13/07/2011 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Il 14 novembre 1981 il Presidente della Regione Campania, quale Commissario straordinario del Governo, affidò in concessione al Consorzio Imprese Costruzioni Romagnoli – Lombardi – IRCES, a norma del Titolo 8^ della L. 14 maggio 1981, n. 219 e del D.L. 26 giugno 1981, n. 333, la realizzazione di un lotto di trecento quindici alloggi in (OMISSIS). Alla convenzione fecero seguito due atti aggiuntivi, in date 11 aprile 1985, nn. 35 e 36. Nuove scadenze dei lavori furono stabilite con gli atti di sottomissione 5 novembre 1985 e 29 dicembre 1986. Con questi stessi atti il consorzio concessionario rinunciò alla revisione dei prezzi, alle riserve iscritte e ad altre pretese. Un altro atto aggiuntivo fu stipulato il 9 marzo 1990 n. 1317 a modifica dell’atto 11 aprile 1985 n. 36. Con ordinanza 13 dicembre 1994, il C.I.P.E. dispose la decadenza del consorzio dalla concessione.

2. Nel successivo giudizio arbitrale instaurato dal consorzio, questo chiese accertarsi l’illegittimità della dichiarata decadenza dalla concessione, nonchè l’esclusiva responsabilità dell’amministrazione committente per i ritardi, e il pagamento degli importi richiesti con le riserve. Con il lodo 5 ottobre 2000, gli arbitri, per quel che può qui ancora rilevare, si dichiararono privi di giurisdizione sulla domanda di accertamento dell’illegittimità dell’ordinanza di decadenza, e respinsero la domanda di risoluzione del contratto proposte dal consorzio.

3. Il lodo fu impugnato davanti alla Corte d’appello di Napoli dall’amministrazione straordinaria nel frattempo subentrata al consorzio, e dal CIPE. Con sentenza 22 gennaio 2004, non definitiva, la corte annullò parzialmente il lodo. In particolare, e per quel che qui rileva, la corte:

– dichiarò la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla legittimità dell’ordinanza di decadenza;

– dichiarò inammissibile l’impugnazione del capo con cui gli arbitri avevano escluso la gravità dell’inadempimento dell’amministrazione concedente, nonchè di quello con cui gli arbitri avevano ritenuto validi gli atti aggiuntivi, stipulati da persona a tanto autorizzata dall’amministratore unico del consorzio;

– dichiarò inammissibile la censura circa l’illegittimità della ritenzione delle somme trattenute a titolo di cauzione in mancanza di quesito sottoposto sul punto agli arbitri;

– rimise la causa in istruttoria per la fase rescindente.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre l’amministrazione straordinaria per tre motivi, con atto notificato il 7 marzo 2005.

Resiste il ministero con controricorso.

La causa, rinviata a nuovo ruolo su istanza congiunta delle parti, torna all’esame del collegio.

4. Con il primo motivo si denuncia l’omessa pronuncia sul motivo d’impugnazione del lodo arbitrale, vertente sulla violazione o falsa applicazione dell’art. 1460 c.c.. La corte territoriale aveva bensì dichiarato inammissibile il motivo d’impugnazione del lodo per vizio di motivazione e per violazione o falsa applicazione degli artt. 1453 e 1371, ritenendo che il diniego della gravità dell’inadempimento dell’amministrazione concedente, dal quale è stata dedotta l’infondatezza della domanda di risoluzione del contratto per colpa della parte concedente, integrasse una questione di merito, non sindacabile in sede d’impugnazione del lodo; tuttavia, prosegue la ricorrente, l’exceptio inadimplenti non est adimplendum era stata formulata in modo autonomo, e, se presa in esame dalla corte territoriale, avrebbe giustificato l’inadempimento che al consorzio concessionario era stato addebitato, nel giudizio sulla legittimità dell’ordinanza della decadenza dalla concessione.

4.1. Il motivo non ha fondamento. Sul punto in questione gli arbitri non si erano pronunciati, per essersi dichiarati privi di giurisdizione, nè si è poi pronunciata la stessa corte perchè, dopo aver dichiarato in via rescindente che l’affermazione degli arbitri di difetto di giurisdizione era giuridicamente errata, ha riservato l’esame della questione alla fase rescissoria. In quella fase, soltanto, potrà essere esaminata la questione di merito se l’ordinanza di decadenza sia viziata dall’omessa considerazione dell’inadempimento imputabile alla stessa concedente.

5. Con il secondo motivo si denuncia l’omessa pronuncia sulla censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 1966 c.c., nella decisione arbitrale di ritenere legittimi gli atti di sottomissione in date 5 novembre 1985 e 29 dicembre 1986, e l’atto aggiunto 9 marzo 1990.

5.1. Il motivo è infondato. La stessa ricorrente riporta l’affermazione della sentenza impugnata, con la quale la corte territoriale ha respinto il motivo d’impugnazione del lodo, che gli arbitri “hanno enunciato le ragioni per le quali hanno ritenuto che la procura speciale del 19.2.1985, rilasciata dal Dott. S. amministratore unico del consorzio al Tamani, avendo autorizzato questi alla sottoscrizione dell’atto aggiuntivo, gli avesse conferito il potere di perfezionare tale convenzione”. La ricorrente ritiene questo giudizio errato in diritto, perchè l’autorizzazione non avrebbe potuto avere ad oggetto la rinuncia a diritti al tempo della procura non ancora sortì, e perchè l’amministratore unico del consorzio non avrebbe avuto i poteri per sottoscrivere gli atti in questione nè di delegarli. Ma l’accertamento del contenuto di una procura e dei poteri statutari dell’amministratore unico sono questioni di fatto e non possono essere esaminate sotto l’angolatura dell’art. 1966 c.c., che, richiedendo per la transazione la disponibilità dei diritti, nulla stabilisce circa il modo in cui il potere di disposizione debba essere conferito dallo statuto o dalla procura. Pertanto non solo non sussiste l’omessa pronuncia denunciata con il mezzo in esame, ma il giudizio critico espresso nell’impugnata sentenza, secondo cui anche in tal caso si fa questione di motivazione, è corretto e da condividere.

6. Con il terzo motivo si censura l’omessa pronuncia sul punto dell’illegittimità, lamentata dal consorzio, della ritenzione delle somme trattenute a titolo di cauzione.

6.1. Il motivo è inammissibile. Nella sentenza si legge che il consorzio lamentava a questo proposito una violazione della L. n. 471 del 1981, art. 5, avendo gli arbitri da un lato giustificato la ritenzione della cauzione con la mancanza del collaudo definitivo, e dall’altro accertato che i termini per il collaudo definitivo erano scaduti. Ciò premesso, la corte non solo ha osservato che dal testo della decisione arbitrale non risultava essere stato mai formulato un quesito sul punto della legittimità della ritenzione, ma ha anche aggiunto che il consorzio non aveva neppure indicato con quale comparsa e in quale occasione sarebbe stato formulato tale quesito.

La corte ha anche precisato che la pronuncia arbitrale sulla scadenza del termine per il collaudo definitivo era stata emessa solo in relazione al rigetto dell’eccezione della convenuta, d’improcedibilita dell’arbitrato.

In questa sede la ricorrente non contesta in modo puntuale queste osservazioni, perchè non dice dove e come avrebbe indicato alla corte territoriale l’atto e l’occasione in cui il quesito sarebbe stato sottoposto agli arbitri, ma ritiene di poter indicare tali elementi direttamente a questa corte di legittimità, che tuttavia non è giudice dell’impugnazione del lodo ma solo della sentenza della corte d’appello; perchè, inoltre, neppure in questa sede riferisce delle circostanze della formulazione del quesito, ma si limita a sostenere che in una memoria del 2000 – posteriore dunque di cinque anni all’instaurazione del procedimento arbitrale avrebbe “specificato” le proprie censure in ordine all’illegittima ritenzione delle somme trattenute in garanzia, domandando la condanna dell’amministrazione alla restituzione; perchè infine l’indicazione che il collegio avrebbe deciso sul punto alle pagine “39 e seguenti del lodo”, e soprattutto che le richieste sul punto sarebbero state precisate dal consorzio “ai quesiti 46, 47 e 48 riassunti alla pagina 57 dell’atto di citazione in appello” è insufficiente, non permettendo alla corte di conoscere dalla lettura del ricorso il contenuto di tali quesiti, e neppure soltanto di argomentare da quanto riferito la loro completezza e conseguentemente l’erroneità dei rilievi che hanno indotto la corte territoriale ad escluderne la pertinenza.

In conclusione il ricorso deve essere respinto. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 10.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte Suprema di Cassazione, il 13 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2011

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