Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21410 del 14/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 14/08/2019, (ud. 21/11/2018, dep. 14/08/2019), n.21410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13056-2013 proposto da:

CPN S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MAGLIANO SABINA 24,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI PETTINARI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ALESSANDRO LUCCHETTI;

– ricorrente –

contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. società di cartolarizzazione

dei crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentati e difesi dagli avvocati EMANUELE DE ROSE, ANTONINO

SGROI, LELIO MARITATO e CARLA D’ALOISIO;

– controricorrenti –

e contro

EQUITALIA CENTRO S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 132/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 15/02/2013, R.G.N. 577/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/11/2018 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato GIANLUCA CONTI per delega verbale ALESSANDRO

LUCCHETTI;

udito l’Avvocato LELIO MARITATO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. c.p.N. s.r.l. ha proposto opposizione avverso la cartella esattoriale con la quale l’I.N.P.S. aveva preteso il pagamento di somme per recuperi contributivi a vario titolo tra cui quello, che qui ancora interessa, riguardante la sottoposizione a contribuzione degli importi erogati al personale per trasferte ad Ancona, ove in realtà era da ritenersi collocata, secondo l’I.N.P.S., la sede della compagine, in luogo di quella dichiarata di (OMISSIS).

Accolta l’opposizione in primo grado, sul presupposto che la sede di (OMISSIS) fosse sede effettiva e che, comunque, non essendo stati prodotti i contratti di lavoro, non poteva essere noto quale fosse la sede di assunzione dei singoli lavoratori interessati, tale pronuncia veniva parzialmente riformata in grado di appello.

La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza n. 132/2013, affermava non essere rilevante quale fosse la sede effettiva dell’impresa, in quanto si doveva ritenere che i lavoratori in questione svolgessero attività in luoghi sempre variabili e diversi, sicchè quanto corrisposto a titolo di trasferta risultava avere, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 6, (c.d. t.u.i.r.), natura retributiva per la metà, quota in ragione della quale la contribuzione era da ritenere dovuta.

2, Avverso la sentenza c.p.N. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, poi illustrati da memoria e resistiti dall’I.N.P.S. con controricorso, mentre Equitalia Centro s.p.a. è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo c.p.N. lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale posto a fondamento della decisione fatti mai allegati, sostituendo officiosamente la causa petendi quale impostata dall’I.N.P.S.

Il secondo motivo afferma invece la violazione degli artt. 329,345 e 112 c.p.c. per avere il giudice di appello dato corso ad una qualificazione della domanda diversa da quella effettuata dal giudice di primo grado, senza la formulazione di uno specifico motivo di censura in tal senso da parte dell’I.N.P.S.

2. I motivi, tra loro strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.

La causa petendi della pretesa I.N.P.S. ha per fatto costitutivo la circostanza in sè dell’erogazione di somme ai lavoratori in relazione al contratto di lavoro in essere tra le parti.

La deduzione di ragioni idonee a sottrarre a contribuzione, in tutto o in parte, tali erogazioni, in ragione del regime del lavoro fuori sede, è invece oggetto di eccezione, sollecitabile dalla parte datoriale, ma rilevabile anche d’ufficio, non sussistendo previsioni limitative in tal senso, nè appartenendo la relativa iniziativa a facoltà che risultino nella sola disponibilità della parte.

In tale prospettiva è chiaro che la Corte d’Appello, riconoscendo che le erogazioni oggetto di causa riguardavano, per quanto da essa ritenuto, rapporti di lavoro con c.d. trasfertisti, ha semplicemente utilizzato i poteri qualificatori che sono propri dell’autorità giudiziaria, valorizzando gli elementi fattuali che essa ha ritenuto di ravvisare come rilevanti e decisivi.

D’altra parte è consolidato il principio per cui “il potere-dovere del giudice di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del petitum e della causa petendi, sostanziandosi nel divieto d’introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicchè il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori” (Cass. 11 aprile 2018, n. 9002; Cass. 24 settembre 2015, n. 18868; Cass. 11 gennaio 2011, n. 455).

Venendo più da vicino al secondo motivo di ricorso, si osserva poi che la sentenza di primo grado, per come riepilogata dalla ricorrente, non contiene una qualificazione della domanda o delle eccezioni.

Essa, a quanto è dato desumere dagli stralci riportati, si basa su una valutazione di effettività della sede legale di (OMISSIS), da cui è fatta conseguire la legittimità del trattamento come trasferta di quanto a tale titolo erogato allorquando il lavoro si svolgeva ad Ancona.

L’appello dell’I.N.P.S., soccombente in primo grado, si muove poi sulla falsariga di tale argomentazione, sostenendo che (OMISSIS) non poteva considerarsi sede effettiva della società.

Si deve però considerare che la controversia riguarda rapporti di lavoro, rispetto ai quali quello che conta non è la sede societaria, ma il luogo ove sia pattuito o dove debbano svolgersi le prestazioni o il luogo ove esse siano state svolte in concreto e, rispetto ad essi, le variazioni che derivano dal mutamento di quello o quei luoghi.

In tale prospettiva non si vede come le valutazioni svolte in primo grado, nei termini di cui sopra, potessero essere preclusive per la Corte d’Appello, una volta da essa rilevata l’inconsistenza del tema riguardante l’individuazione della sede legale dell’impresa, rispetto alla qualificazione dell’assetto lavoristico, con riferimento alla sede di lavoro o ai luoghi ove si erano svolte le prestazioni.

3. Con il terzo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere fatto indebita utilizzazione dei poteri istruttori officiosi, in violazione degli artt. 421,437,112 e 115 c.p.c., nonchè dell’art. 2697 c.c., allorquando essa ha ordinato a c.p.N. di produrre tutta la documentazione attestante le modalità con cui venivano effettuate le trasferte, per poi concludere, sulla base di tale documentazione, che si trattava di rapporti di lavoro soggetti al regime del c.d. trasfertismo.

Anche tale motivo va disatteso.

Esso viola infatti i canoni di specificità, che devono essere osservati anche nell’addurre vizi in procedendo (Cass., S.U., 22 maggio 2012, n. 8077; Cass. 17 gennaio 2014, n, 896), in quanto la sua formulazione non si accompagna alla trascrizione dell’ordinanza con cui è stato impartito l’ordine istruttorio, sicchè risulta impossibile valutare quali presupposti abbiano indotto la Corte territoriale a provvedere in tal senso e dunque ad apprezzare la legittimità processuale o meno dell’iniziativa.

Sol osservandosi che, non potendosi presumere un’iniziativa giudiziale finalizzata a verificare fatti diversi da quelli addotti dalle parti, si deve ritenere che l’apprezzamento del giudice d’appello in ordine al trattarsi di rapporti di trasfertismo sia semplicemente l’esito della presenza di una più ampia documentazione istruttoria, laddove poi il c.d. principio di acquisizione consente certamente al giudice di formare il proprio convincimento sulla base dell’intero materiale ritualmente acquisito al processo.

In altre parole, se l’iniziativa istruttoria officiosa deve avere il fine di colmare una semipiena probatio dei fatti addotti dalle parti e decisivi per la definizione della lite, ciò non toglie che, una volta acquisito in tali termini, i materiale istruttorio supplementare possa servire di fondamento anche ad un ricostruzione fattuale autonoma del giudice del merito che qualifichi le circostanze di causa in modo diverso da quanto hinc et inde allegato, ma pur sempre nel rispetto, su cui già si è detto, del principio della domanda.

4. Il quarto motivo è invece dedicato alla qualificazione dei rapporti operata dalla Corte d’Appello che la ricorrente assume essere errata ed in violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51 (t.u.i.r.) e dell’art. 26 CCNL 7 maggio 2003 per gli addetti all’industria metalmeccanica privata.

4.1 Da un primo punto di vista c.p.N. sostiene che la Corte territoriale, affermando che il lavoro si svolgesse “con frequenza e regolarità” presso cantieri dislocati in tutta Italia, avrebbe fatto riferimento ad un parametro diverso da quello dei “luoghi sempre variabili e diversi” contenuto nell’art. 51, comma 6, al fine di individuare la figura del c.d. trasfertista.

Sostiene in particolare la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe accertato che quel lavoro sarebbe stato svolto con la predetta “frequenza e regolarità” in luoghi “diversi da quelli di assunzione” (così il ricorso, pag. 23, secondo periodo).

Tale ultima lettura della sentenza impugnata non è però corretta, in quanto la Corte territoriale non afferma che il lavoro sarebbe stato svolto presso luoghi diversi da quello di assunzione, ma semplicemente che esso sarebbe stato svolto presso cantieri situati in tutta Italia.

Ciò è reso evidente dal fatto che, poco dopo, la stessa Corte afferma che “non risulta documentato che i lavoratori venissero assunti o trasferiti per sedi determinate”.

Sicchè non può ritenersi che la Corte abbia affermato che vi fosse esecuzione del lavoro in luoghi diversi da quello di assunzione, quanto piuttosto che il frequente e regolare mutamento del luogo di lavoro, nei diversi cantieri come anche presso lo stabilimento di (OMISSIS) o in (OMISSIS) significasse l’assenza di una sede di lavoro fissa, in quanto appunto, il luogo di lavoro era costantemente variabile.

4.2 Da altro punto di vista, c.p.N. sostiene che sarebbe stato violato il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51 in quanto, per individuare la figura del trasfertista, avrebbe dovuto risultare che l’indennità fosse pagata per tutti i giorni retribuiti, senza distinguere se il dipendente si è recato in trasferta e dove questa si è svolta.

In parte qua il motivo è fondato.

4.2.1 Il citato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51 al comma 5, prevede che le indennità corrisposte dal datore di lavoro costituiscano reddito imponibile e siano quindi assoggettate a contribuzione solo se eccedenti un determinato valore giornaliero, calcolato al netto dei costi di viaggio.

Il successivo comma 6 prevede, invece, che gli importi corrisposti ai “trasfertisti” – ossia ai lavoratori che la norma definisce “tenuti per contratto all’espletamento dell’attività lavorativa in luoghi sempre diversi e variabili” concorrono a formare reddito imponibile e dunque assoggettabile a contribuzione previdenziale nella misura del 50% del relativo ammontare, anche qualora corrisposti con carattere di continuità.

Quest’ultimo comma è stato oggetto di interpretazione autentica da parte del D.L. n. 193 del 2016, art. 7-quinquiesintrodotto dalla Legge di conversione n. 225 del 2016.

Tale norma prevede che “1. l’art. 51, comma 6 testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, si interpreta nel senso che i lavoratori rientranti nella disciplina ivi stabilita sono quelli per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni: a) la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro; b) lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente; c) la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta. – 2. Ai lavoratori ai quali, a seguito della mancata contestuale esistenza delle condizioni di cui al comma 1, non è applicabile la disposizione di cui all’art. 51, comma 6 del testo unico di cui al citato D.P.R. n. 917 del 1986 è riconosciuto il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui al medesimo art. 51, comma 5”.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno ritenuto che il predetto art. 7-quinquies abbia effettiva natura di norma di interpretazione autentica e quindi trovi applicazione anche ai casi, come quello di specie, le cui fattispecie siano maturate anteriormente all’entrata in vigore della norma interpretativa (Cass., S.U., 15 novembre 2017, n. 27093).

4.2.2 Ciò posto, quanto regolato dai complesso della predetta normativa individua dunque una fattispecie generale, sottoposta al regime di cui all’art. 51, comma 5, con contribuzione dovuta nei limiti e secondo i parametri ivi stabiliti ed una fattispecie speciale, che sorge al ricorrere dei presupposti meglio indicati nel citato art. 7-quinquies, che delinea in sostanza una forma tipizzata, quanto alla sede di lavoro ed alla remunerazione, di lavoro subordinato.

Se dunque gli accertamenti della Corte territoriale in ordine all’assenza di documentazione rispetto al fatto che i lavoratori venissero assunti per sedi determinate ed al fatto che essi lavorassero con frequenza e regolarità presso cantieri dislocati in tutta Italia integrano i presupposti tipici di cui alle lettere a) e b) di cui all’art. 7-quinqueies cit. e se è parimenti corretto che la Corte abbia affermato l’irrilevanza, in sè solo, del luogo ove era collocata la sede effettiva dell’impresa (in quanto ciò che rileva – arg. ex art. 2103 c.c. – è il luogo ove deve essere svolta la prestazione), l’accertamento risulta tuttavia incompleto nella parte, fatta oggetto della censura qui in esame, in cui non è stato verificato se ricorresse il pagamento in misura fissa di cui al medesimo art. 7-quinquies, lett. c.

Come del resto statuito in plurimi precedenti di questa Corte su fattispecie analoghe ed in relazione al medesimo complesso normativo qui in esame (tra le molte, v. Cass. 22 giugno 2018, n. 16579).

La decisione va dunque cassata e la causa rinviata al fine di completare l’accertamento sul predetto punto, anch’esso decisivo al fine di far rientrare o meno l’ipotesi nell’ambito della disciplina dell’art. 51 cit., comma 6 e non in quella, altrimenti da applicarsi, del comma 5, per quanto erogato a titolo di lavoro in trasferta.

4.2.3 Aggiungendosi però che il predetto accertamento, non potendo giungere la normativa fino al punto di rimettere alla sola volontà dei contraenti individuali l’assetto contributivo della vicenda lavoristica (sul tema, seppure con riferimento al requisito di cui all’art. 7-quinquies, lett a, cit., v. la stessa Cass. S.U. 27093/2017, punto 29), non potrà riguardare solo il concreto andamento dei pagamenti quali attuati o pattuiti dalle parti, ma anche, nei limiti in cui le regole sulle preclusioni istruttorie lo consentano in questo giudizio, la conformazione degli obblighi di remunerazione quali delineati dalla contrattazione collettiva rispetto ad una situazione, quale accertata dalla Corte del merito, di lavoro in luoghi sempre variabili e diversi.

Essendo evidente come l’esistenza di un obbligo di fonte collettiva che prevedesse pagamenti nei termini di cui alla citata lett. c) non permetterebbe, in contrasto con le regole di fondo che regolano il sistema previdenziale (D.L. n. 338 del 1989, art. 1, comma 1, conv. L. n. 389 del 1989), di esonerare da contribuzione importi che i contraenti individuali, per le più varie ragioni, ritengano di regolare tra loro in modo diverso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio il 21 novembre 2018 e a seguito di riconvocazione, il 17 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2019

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