Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21410 del 10/10/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 21410 Anno 2014
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: D’AMICO PAOLO

SENTENZA

sul ricorso 25109-2008 proposto da:
DE MARCO CLAUDIO, considerato domiciliato ex lege in
ROMA,

presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE

CASSAZIONE, rappresentato

DI

e difeso dagli avvocati

VINCENZO PESCE, ANTONIO COMELLA giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrente –

2014
contro

1669

COOPERATIVA PARVA DOMUS SOCIETA’ EDILIZIA ARL ;
– intimata –

Nonché da:

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Data pubblicazione: 10/10/2014

COOPERATIVA PARVA DOMUS SOCIETA’ EDILIZIA ARL IN
LIQUID. 01641550619, in persona del legale
rappresentante p.t. e liquidatore, ing. AURELIO
MASTRANTUONO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
M. MERCATI 51, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO

GIOVANNI GIORDANO, SALVATORE SORICE giusta procura a
margine del controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente incidentale contro

DE MARCO CLAUDIO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 2730/2007 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 04/09/2007 R.G.N.
3921/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/06/2014 dal Consigliere Dott. PAOLO
D’AMICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto di entrambi i ricorsi.

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CARNEVALI, rappresentata e difesa dagli avvocati

Svolgimento del processo

La Cooperativa Parva Domus convenne in giudizio Claudio De
Marco esponendo: che questi, quale socio della medesima e
prenotatario di un immobile aveva ricevuto la consegna dello
stesso impegnandosi a versare – avendo già versato £ 31.374.000-

lottizzazione e accollo mutuo per £. 75.000.000; che il
convenuto aveva provveduto solo in minima parte al pagamento
delle rate di mutuo, esponendo la Cooperativa stessa ad una
azione esecutiva, mentre non aveva affatto pagato la somma
residua dovuta, per cui in data 17.11.1995 la Cooperativa aveva
deliberato la sua espulsione per morosità; che ciò nonostante il
De Marco non aveva restituito l’immobile occupato sine titulo.
Tanto premesso l’attrice chiese dichiararsi l’illegittima
occupazione dell’immobile e condannarsi il De Marco al rilascio
dello stesso nonché la sua condanna al risarcimento dei danni
subiti per l’occupazione

sine titulo

e per l’esecuzione

intrapresa in danno di essa Cooperativa.
Si costituì Claudio De Marco che spiegò domanda
riconvenzionale affermando di essersi sempre dichiarato disposto
a rilasciare l’immobile a condizione che gli venissero
restituite le somme versate per la costruzione dell’alloggio e
connessi oneri, quantificati in £ 84.473.000, unitamente agli
esborsi sopportati per il completamento e rifiniture dello
stesso.

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l’ulteriore somma di £ 32.129.485 oltre spese notarili, oneri di

Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, sulla domanda
attrice, pronunciò che l’immobile

de quo

era detenuto

sine

titulo dal De Marco e lo condannò al rilascio ed al risarcimento

dei danni dovuti alla mancata disponibilità del bene che liquidò
in via equitativa in C 60.000,00 rivalutati all’attualità e

alle obbligazioni sociali anche nella parte relativa al
pagamento delle rate di mutuo oggetto di accollo e lo condannò
al risarcimento dei danni patiti dalla Cooperativa per la
procedura esecutiva contro di lei iniziata, liquidati
equitativamente in C 15.000,00.
Sulla domanda riconvenzionale, il Tribunale dichiarò che
Claudio De Marco aveva versato alla cooperativa la somma di E
84.473.300 e condannò quest’ultima alla restituzione
dell’equivalente in euro.
Avverso la sentenza propose appello Claudio De Marco.
La Corte d’appello di Napoli ha condannato Claudio De Marco
al pagamento del risarcimento danni in favore della Cooperativa
Parva Domus in ragione della sola somma di e 60.000,00, come già
liquidata dal Tribunale, rigettando l’ulteriore domanda
risarcitoria proposta dalla medesima Cooperativa; ha accolto la
domanda riconvenzionale proposta in primo grado dal De Marco ai
sensi dell’art. 2041 c.c. e per l’effetto ha condannato
l’attrice al pagamento, in favore del De Marco, della somma di e
10.000,00, oltre accessori. In parziale accoglimento

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comprensivi degli interessi; dichiarò il De Marco inadempiente

dell’appello incidentale ha condannato la cooperativa Parva
Domus al pagamento, in favore di Claudio De Marco, della minor
somma di E 16.203,32, oltre accessori.
Propone ricorso per cassazione Claudio De Marco con tre
motivi.

cooperativa Parva Domus.
Motivi della decisione

I ricorsi sono riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
Con il primo motivo parte ricorrente denuncia « 1)
violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto in quanto
i giudici della Corte d’appello ritengono valido il ragionamento
formulato dal giudice del Tribunale in ordine alla
quantificazione equitativa delle somme dovute, senza eseguire
una debita istruttoria in ordine al valore effettivo
dell’immobile e delle migliorie in esso eseguite da De Marco. 2)
Apoditticamente, senza che nella sentenza del Tribunale sia
indicato il criterio ispiratore, il giudice di appello considera
giusta ed equa la valutazione dei danni e delle pretese
risarcitorie delle parti affermando che ben poteva il giudice
del Tribunale applicare l’art. 1226 c.c., essendo provato
nell’an il danno, mentre la misura del danno era di difficile
prova occorrendo necessariamente fare ricorso ai criteri
equitativi.»
Il motivo è inammissibile.

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Resiste con controricorso e propone ricorso incidentale la

La Corte d’appello ha ritenuto che quand’anche il De Marco
vantasse il diritto alla restituzione delle somme anticipate per
la costruzione dell’immobile, non per questo egli aveva un
diritto di ritenzione del bene, essendo venuto meno, con
l’espulsione, il titolo legittimante l’occupazione dell’immobile

risarcimento dei danni subiti dalla cooperativa, per il fatto di
non aver avuto la disponibilità dell’immobile, dopo la sua
esclusione.
Ciò posto, restava esclusivamente la questione della misura
della liquidazione di tali danni, in relazione alla quale è
attribuita al giudice la facoltà di scegliere fra i vari mezzi
di prova ed i criteri stabiliti dalla legge quelli ritenuti più
idonei a consentire la determinazione, ivi compresa la
liquidazione equitativa prevista dall’art. 1226 c.c., allorché
il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare,
secondo la testuale previsione della norma richiamata. Ora,
secondo l’orientamento di questa Corte, il potere di liquidare
il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt.
1226 e 2056 c.c., costituisce espressione del più generale
potere di cui all’art. 115 c.p.c. ed il suo esercizio rientra
nei poteri discrezionali del giudice di merito, senza necessità
della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto
caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od
integrativa, con l’unico limite di non poter surrogare il

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da parte sua. Pertanto egli doveva essere condannato al

mancato accertamento della prova della responsabilità del
debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella
sua esistenza. Del resto, l’impossibilità di provare l’ammontare
preciso del danno deve essere intesa nel senso relativo ed è
stata ritenuta sufficiente anche una difficoltà solo di un certo

delle sue facoltà discrezionali, così come avvenuto nel caso di
specie.
Nel caso in esame, l’impugnata sentenza ha rilevato che ben
poteva il Tribunale fare ricorso all’art. 1226, essendo il danno
provato nell’an, mentre per la misura occorreva necessariamente
fare ricorso ai criteri equitativi, criteri che il Tribunale ha
ravvisato nel valore commerciale e locativo del bene, tenuto
conto del lasso di tempo in cui si è protratta l’occupazione
sine titulo, per circa nove anni.
Al di là di queste considerazioni deve comunque rilevarsi
che il ricorrente svolge essenzialmente considerazioni di
merito, inammissibili in sede di legittimità.
Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia «nullità
della sentenza e/o del procedimento per falsa applicazione della
legge per violazione degli artt. 113 e 114 c.p.c. e per falsa
applicazione dell’art. 2041 c.c. in quanto il convincimento dei
giudici si è fondato su criteri equitativi non completamente
estrinsecati nelle sentenze rese, in particolare, non si evince
quali siano le basi economiche che hanno portato al

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rilievo, considerata tale dal giudice di merito nell’esercizio

convincimento dei giudici nell’individuare in C 60.000,00
l’importo del danno che la cooperativa ha subito dal
comportamento del De Marco e non è individuato il criterio
secondo cui è stato calcolato il valore della ripetizione di
somme dovute al De Marco dalla cooperativa.»

insufficiente e/o contraddittoria motivazione, perché in
relazione alla circostanza processualmente controversa, il
valore dell’immobile consegnato dal De Marco alla cooperativa,
comprensivo di miglioramenti, la Corte d’appello non espone
chiaramente il ragionamento seguito per l’individuazione del
valore dei lavori eseguiti, dell’aumento del valore complessivo
dell’immobile in virtù dei lavori eseguiti all’interno
dell’immobile dal De Marco ed i criteri per individuare la
vetustà dei lavori eseguiti, ben potendo dette opere aver
aumentato considerevolmente il valore commerciale dell’immobile
di proprietà della cooperativa che lo ha ricevuto comprensivo
delle migliorie fatte.»
Il secondo e il terzo motivo sono inammissibili in quanto il
secondo motivo è privo del quesito di diritto ed il terzo è
privo del cosiddetto quesito di fatto, omologo al quesito di
diritto.
Infatti ai ricorsi proposti contro sentenze o provvedimenti
pubblicati a partire dal 2 marzo 2006, data di entrata in vigore
del D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice

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Con il terzo motivo si denuncia «omessa ovvero, in ipotesi,

di procedura civile in materia di ricorso per cassazione
(ratione temporis

applicabile alla fattispecie in esame), si

applicano le disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo
1 0 . Secondo l’art. 366 bis c.p.c., – introdotto dall’art. 6 del
decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena

casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. l), 2), 3) e 4,
l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la
formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto
dall’art. 360 c.p.c., comma l, n. 5), l’illustrazione di ciascun
motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto
controverso in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la
dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a
giustificare la decisione.
Con il primo motivo del ricorso incidentale la società
cooperativa “Parva Domus”, società edilizia a r.1., in
liquidazione, denuncia «violazione e falsa a applicazione
dell’art. 2041 c.c. e dell’art. 2697 c.c. (art. n. 360 n. 3
c.p.c.)».
Ad avviso della ricorrente incidentale il versamento delle
somme da parte del De Marco era avvenuto in virtù del rapporto
sociale, all’epoca pacificamente sussistente
sicché,

ab origine,

inter partes,

l’azione proposta dallo stesso De Marco non

poteva in alcun modo essere intrapresa come azione di

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di inammissibilità, nel modo lì descritto e, in particolare, nei

arricchimento

sine causa,

posto che i versamenti a suo tempo

eseguiti avevano una specifica causa.
Discende da quanto rilevato che la proposta azione di
arricchimento non poteva essere accolta dalla Corte d’appello
perché difettava di un suo essenziale requisito, costituito

azione tipica che il soggetto agente possa intraprendere per la
tutela dei suoi pretesi diritti, secondo il principio enunciato
dall’art. 2042 c.c.
Il motivo è infondato.
Emerge dall’impugnata sentenza che l’immobile restituito
alla cooperativa era stato personalizzato con rifiniture e
migliorie originariamente non previste a carico della ditta
costruttrice e che tali migliorie erano state pagate dal De
Marco a terzi.
Correttamente la suddetta sentenza ha tenuto conto del
rapporto fra

l’expensum

ed il vantaggio che ha ricevuto la

cooperativa all’atto della restituzione dell’appartamento.
In conclusione, in termini economici, l’appartamento de

quo

vale di più e quindi si ha un arricchimento da parte della
cooperativa.
Sussiste pertanto un nesso di causalità fra l’arricchimento
della cooperativa che ha ricevuto dal De Marco un appartamento
che vale di più in termini economici e un depauperamento dello

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dalla cosiddetta residualità, ovvero dall’assenza di qualsiasi

stesso De Marco che ha pagato a terzi i lavori per
personalizzare detto appartamento.
Deve quindi escludersi una violazione dell’art. 2041 c.c. da
parte della sentenza impugnata.
Con il secondo motivo la ricorrente incidentale denuncia

e decisivo per il giudizio – art. 360 n. 5 c.p.c.»
Rileva la ricorrente l’art. 2529 c.c. statuisce che la
liquidazione della quota del socio escluso debba essere
effettuata sulla base dell’ultimo bilancio di esercizio in cui
il rapporto sociale si scioglie. Il giudice di secondo grado ha
completamente omesso qualsiasi motivazione sul motivo di gravame
sollevato dalla cooperativa Parva Domus.
Ulteriore motivo di censura è costituito dalla mancata
valutazione, da parte del giudice di secondo grado, del motivo
di gravame, costituito dall’art. 7 dello statuto, che prevede,
in caso di esclusione del socio, la perdita, da parte del socio
escluso, anche del diritto alla mera restituzione della sola
quota sottoscritta, ai sensi dell’art. 5, prevista per i soci
receduti e/o decaduti.
Il motivo è infondato.
Come emerge dall’impugnata sentenza, la questione relativa
all’art. 7 dello statuto, sollevata con la memoria di replica
nel giudizio di primo grado, è stata tardivamente proposta.

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>

«omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso

Tale eccezione non rappresenta una mera difesa bensì una
eccezione di merito in senso tecnico giuridico che avrebbe
dovuto essere fatta valere con il primo atto difensivo.
Per giurisprudenza di questa Corte la preclusione di cui
all’art. 416, secondo comma, c.p.c. ha ad oggetto le sole

improprie ed alle mere difese (Cass., 9 ottobre 2007, n. 21073).
Nel caso in esame, essendo quella in oggetto una eccezione
di merito, non rilevabile

ex officio,

l’impugnata sentenza non

poteva esaminarla.
In conclusione, il ricorso principale deve essere dichiarato
inammissibile. Quello incidentale deve essere dichiarato
infondato.
Con compensazione delle spese a seguito della reciproca
soccombenza.
P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il
ricorso principale ed infondato il ricorso incidentale, con
compensazione delle spese.
Roma, 26 giugno 2014

eccezioni in senso proprio e non si estende alle eccezioni

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