Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21409 del 14/08/2019

Cassazione civile sez. I, 14/08/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 14/08/2019), n.21409

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10712/2018 proposto da:

B.M.G., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso

la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e

difesa dall’avvocato Milani Gerardo, giusta procura a margine della

nomina di nuovo difensore;

– ricorrente –

Contro

M.S., in proprio, nella qualità di tutore e curatore

speciale del minore H.Y., domiciliata in Roma, Piazza

Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentata e difesa da se medesima;

– controricorrente –

Contro

H.C., Procuratore Generale della Repubblica presso la

Corte di Appello di Brescia, Procuratore Generale della Repubblica

presso la Corte di Cassazione;

– intimati –

avverso la sentenza n. 197/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 05/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2019 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Brescia, sezione per i minorenni, con la sentenza in epigrafe indicata ha respinto l’impugnazione proposta da B.M.G. avverso la sentenza, in tal modo confermata, del Tribunale per i minorenni di Brescia, emessa il 31.01.2017, che aveva dichiarato lo stato di adottabilità del minore H.Y., nato il (OMISSIS), figlio dell’appellante e di H.C., ha sospeso la responsabilità genitoriale, nominato un tutore ed ha disposto che il minore fosse collocato presso una coppia in lista di attesa per l’adozione nazionale, sospendendo i rapporti tra il primo, i genitori ed ogni altro parente.

2. Ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza B.M.G. con sei motivi a cui resiste con controricorso il tutore e curatore speciale del minore.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione della L. n. 184 del 1983, art. 1 degli artt. 7, 8 e 9 della Convenzione di New York del 1989 (L. n. 176 del 1991), dell’art. 24 della Carta di Nizza e degli artt. 6 e 8 della Convenzione di Roma del 1980 (L. n. 848 del 1955).

La Corte di appello, in violazione, dei principi sanciti dalla Corte di Strasburgo sui diritti del genitore e del figlio, non avrebbe adeguatamente motivato la mancata ammissione di c.t.u. sulla capacità genitoriale della appellante.

1.1. Il motivo è infondato.

Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore, ove i genitori facciano richiesta di una consulenza tecnica relativa alla valutazione della loro personalità e capacità educativa nei confronti del minore per contestare elementi, dati e valutazioni dei servizi sociali – ossia organi dell’Amministrazione che hanno avuto contatti sia con il bambino che con i suoi genitori – il giudice che non intenda disporre tale consulenza deve fornire una specifica motivazione che dia conto delle ragioni che la facciano ritenere superflua, in considerazione dei diritti personalissimi coinvolti nei procedimenti in materia di filiazione e della rilevanza accordata in questi giudizi, anche dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, alle risultanze di perizie e consulenze (Cass. 26/03/2015 n. 6138; in termini, più recentemente: Cass. 07/05/2019 n. 12013; Cass. 26/06/2019 n. 17165).

La natura personalissima dei diritti destinata a venire in valutazione in materia di rapporto di filiazione nella duplice sua declinazione diretta a valorizzare ora le posizioni del minore dichiarato adottabile ora quelle dei suoi genitori, privati della relativa responsabilità, come rilevato da questa Corte di legittimità, ha avuto piena considerazione nella giurisprudenza della Corte Edu in diverse pronunce riguardanti l’Italia (Provv. 21/10/2008 Grande Camera, Caso: CLEMENO e altri contro ITALIA; Provv. 13/01/2009 Seconda Sezione, Caso: TODOROVA contro ITALIA; Provv. 27/04/2010 Seconda Sezione, Caso: BARELLI contro ITALIA; Provv. Zhou c. Italia – Seconda sezione, sentenza del 21 gennaio 2014).

Nella giurisprudenza convenzionale si segnala invero il particolare rilievo da riconoscersi alle risultanze della consulenza tecnica di ufficio in ragione della natura dei diritti umani, limitabili solo in caso di extrema ratio, attinti dalla pronuncia giudiziale (Cass. n. 6138 cit., in motivazione sub parr. 2.5.; 2.5.2.).

In applicazione dell’indicato principio la Corte di appello di Brescia, sezione per i minorenni, ha pienamente motivato sulla mancata ammissione della c.t.u., descrivendo le condotte della ricorrente durante il periodo trascorso presso le due strutture protette in cui ella era stata ospitata insieme al figlio Yassin con previsione di due percorsi di recupero, rimarcandone la sistematica elusione del programma di sostegno al quale solo nominalmente aveva mostrato di aderire.

Tanto viene in modo concludente sostenuto nell’impugnata sentenza con richiamo alle uscite quotidiane dalle strutture di accoglienza della B., con il figlio al seguito, ed ai rientri presso le prime con ecchimosi su viso e braccia e, come riportato in relazioni di servizio della polizia giudiziaria intervenuta, con altri segni di violenza subiti.

Si tratta di evidenze fattuali che, in adesione al percorso argomentativo del primo giudice, vengono congruamente intese dai giudici di appello, con motivazione che non si espone a censura nel giudizio di legittimità, come espressive di una perdurante frequentazione da parte della donna del compagno H., padre del minore, pluripregiudicato e tossicodipendente – nei cui confronti era pendente un processo penale per maltrattamenti e che si trovava in regime alternativo alla detenzione in carcere presso l’abitazione della prima – e di una conseguente esposizione del figlio a condotte violente dell’uomo senza che la prima se ne rappresentasse le conseguenze negative sulla crescita equilibrata del minore.

In detto contesto, anche gli allontanamenti della B. dalle strutture, giustificati da contratti di lavoro esterni – la donna sarebbe stata impiegata come badante presso una persona di cui non sapeva indicare identità ed indirizzo – vengono ricondotti alla perdurante frequentazione del compagno e letti, nella falsità delle dichiarazioni sul punto rese dall’appellante, come rilevante elusione di ogni impegno di recupero e delega alle operatrici di quelle strutture di compiti di cura del minore e concludente chiusura ad ogni ulteriore accertamento tecnico.

Si dà invero contenuto, in tal modo, ad un continuativo e sistematico insieme di condotte, elusive, mendaci e non responsabili, capace di escludere l’attendibilità di ogni contrario impegno della madre nel percorso di recupero della genitorialità in tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare e le contrarie argomentazioni addotte dalla difesa, che riconduce i comportamenti ascritti ad una mera reazione della prima all’intervento dei Servizi Sociali, risultano assertive e di mera non concludente contrapposizione alla motivazione impugnata.

Nella valutazione dello stato di abbandono, fermo il prioritario diritto del minore a crescere nell’ambito della sua famiglia di origine, ai fini della declaratoria di adottabilità, il giudice del merito deve formulare, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 8 un giudizio sul recupero delle capacità genitoriali in tempi compatibili con le esigenze del minore a vivere in uno stabile contesto familiare, accertando come esistenti situazioni di mero disagio, transitorie e fronteggiabili.

L’indicato giudizio non può che avere natura prognostica e deve essere condotto sui pregressi comportamenti del genitore che, ove di sistematica trasgressione del percorso finalizzato al recupero della genitorialità per condotte in concreto assunte che manifestano inattendibilità ed apparenza della scelta e che abbiano provocato o possano provocare danni gravi ed irreversibili alla equilibrata crescita dell’interessato, devono determinare l’accertamento di una stabile situazione di abbandono del minore legittimante la declaratoria di adottabilità.

2. Con il secondo motivo si fa valere la violazione della L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1, per non avere la Corte di appello proceduto all’audizione della coppia scelta per il collocamento, a “rischio giuridico” ai sensi dell’art. 10, comma 3 L. cit., del minore.

L’indicato incombente, per i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, sarebbe stato cogente anche nel giudizio di secondo grado, per una complessiva valutazione dell’interesse del minore.

3. Con il terzo motivo si fa valere la violazione dell’art. 111 Cost., comma 5, degli artt. 8 e 13 della Convenzione di Roma (L. n. 848 del 1955) e della L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1 e art. 10, comma 2, per non avere la Corte di appello rilevato la nullità in cui era incorso il giudice di primo grado che aveva ascoltato la coppia collocataria del minore, omettendo ogni comunicazione ai genitori, escludendo i difensori dall’udienza ed ignorando ogni formalità processuale, compresa la redazione di un verbale.

4. I motivi, da trattarsi congiuntamente perchè relativi a questioni tra loro connesse, sono infondati.

Il giudizio nelle fasi di primo e secondo grado, rispettivamente definite con sentenza del 31.1.2017 e con sentenza del 5.03.2018, si è svolto, anche se non integralmente in primo grado, nel vigore della L. n. 173 del 2015, che intervenuta il 13.11.2015, nel sancire il diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare, ha stabilito all’art. 2 – con cui è stato novellato la L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1, ultimo periodo, – che “l’affidatario o l’eventuale famiglia collocataria devono essere convocati, a pena di nullità, nei procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato ed hanno facoltà di presentare memorie scritte nell’interesse del minore”.

4.1. Questa Corte di legittimità ha avuto modo di interrogarsi sulla natura di una siffatta nullità stabilendo – con affermazione di diritto a cui deve qui darsi, nella condivise ragioni della decisione, stabilità applicativa – che si tratta di una nullità che, destinata ad incidere sul provvedimento di definizione del processo, si converte in motivo di gravame (vd. Cass. 07/06/2017 n. 14167 che è in termini, in motivazione a p. 7, anche se, più puntualmente, massimata su altro).

Il novellato L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1, si è in tal modo posto in continuità interpretativa rispetto alla L. n. 184 del 1983, art. 15, comma 2, che, rimasto sostanzialmente immutato anche all’esito delle modifiche di carattere processuale apportate dalla legge sul giusto processo nel processo minorile 28 marzo 2001, n. 149 – modifiche la cui efficacia è rimasta sospesa in forza della disposizione transitoria di cui al D.L. 24 aprile 2001, n. 150, art. 1 e successive proroghe, fino al 30 giugno 2007, vd. sul punto: Cass. 05/03/2008 n. 5952 -, stabilisce che nel giudizio camerale relativo alla dichiarazione dello stato di adottabilità deve essere sentita la persona “cui egli – il minore – è affidato”.

L’esegesi di quest’ultima previsione si era infatti consolidata nel senso di ritenere che l’omessa audizione dell’affidatario in primo grado fosse ragione di nullità della dichiarazione di adottabilità che, per il principio di conversione in motivo di gravame, doveva essere fatta valere nei termini di cui all’art. 161 c.p.c., comma 1, con la conseguenza che ove essa non fosse stata dedotta sin dal giudizio di opposizione non potesse più esserlo in appello e tantomeno in Cassazione (Cass. 12/05/2006 n. 11019 e Cass. 12/05/2006 n. 11020, richiamate da Cass. n. 14167, cit., p. 7).

La subordinata operatività all’iniziativa di parte sancisce della nullità la natura relativa, qualificazione, questa, alla quale si accompagna, in punto di rilevabilità e sanatoria processuale, la rinunciabilità della prima ove non venga fatta valere tempestivamente attraverso lo strumento impugnatorio e, ancora, la sua circoscritta operatività rispetto al soggetto processuale a tutela delle cui posizioni essa sia stabilita (così l’art. 157 c.p.c. che al comma 2 stabilisce che: “Soltanto la parte nel cui interesse è stabilito un requisito può opporre la nullità dell’atto per la mancanza del requisito stesso, ma deve farlo nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso”).

La nullità della declaratoria di adottabilità che viene dalla mancata audizione dell’affidatario è posta a presidio dell’interesse superiore del minore ad un equilibrato sviluppo psico-fisico, percorso all’interno del quale è di rilievo la figura dell’affidatario che del primo costruisce un contesto relazionale affettivo, spesso primario, e che rispetto a lui conserva il ruolo di figura significativa e caratterizzante fasi decisive dello sviluppo (Cass. 14167 cit., p. 8).

Dell’interesse in tal modo definito è portatore il minore, e quindi le figure istituzionalmente preposte a rappresentarlo legalmente, quali il tutore e, in caso di conflitto, il curatore, oltre che il P.m. per i poteri di iniziativa e partecipazione riconosciuti a tale organo dalla legge nel relativo giudizio e più in generale per la natura pubblica degli interessi alla cui tutela è preposto.

Differente è invece la posizione del genitore rispetto al quale, per consolidato principio, nel procedimento di adozione il conflitto d’interessi con il minore è in re ipsa: “il procedimento trova infatti il suo presupposto proprio nell’inadempimento dei doveri genitoriali, ed è volto, seppur indirettamente, ove si accerti la sussistenza dell’abbandono, a sciogliere ogni legame del minore con la famiglia di origine, inserendolo in una nuova famiglia, quale figlio legittimo dei coniugi adottanti” (vd.: Cass. 14/07/2010 n. 16553, in motivazione pp. 10 e 11; sul conflitto, anche solo potenziale tra genitori e minore nel giudizio di adozione, anche: Cass. 26/03/2010 n. 7281).

La posizione di conflitto se legittima una distinta assistenza legale nel corso del giudizio in capo a genitori e figlio – che di quest’ultimo legittima la posizione di parte e quindi il rispetto del contraddittorio (L. n. 184 del 1983, art. 8 come sostituito dalla L. n. 149 del 2001, art. 8, comma 4) – non consente d’altra parte al genitore di esercitare, in sua vece, l’interesse del figlio a quel pieno sviluppo relazionale e della personalità che è destinato a venire in considerazione nel rapporto con l’affidatario provvisorio, nella generale contrapposta posizione delle due figure.

Resta ferma soltanto – per quella che è una regola presuntiva non destinata a spingersi, quanto all’indicato profilo, fino ad acquistare carattere assoluto – una concreta e contraria deduzione del genitore con cui si faccia valere, in modo circostanziato, l’incidenza negativa del rapporto con l’affidatario nel perseguimento del generale fine di armonico sviluppo del minore.

4.2. Per successivo passaggio logico, nella lettura del sistema, si ha che la valorizzazione dell’interesse del minore, espressiva della ratio dell’intera novellata disciplina sull’adozione, ha determinato questa Corte di legittimità a ritenere, con giudizio a cui si dà qui convinta adesione per i condivisibili approdi di sistema di cui il primo è capace, l’incidenza dei modificati contenuti della L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1, norma di natura processuale applicabile ai processi pendenti alla sua data in vigore (tra le altre: Cass. 29/09/2017 n. 22934; Cass. 09/10/2017 n. 23574), nel giudizio di appello.

Ragioni d’indole letterale, e quindi il richiamo espresso contenuto nell’art. 5 L. cit. ai “procedimenti civili” in materia di adozione senza distinzione di fase, lascia apprezzare come necessaria l’audizione degli affidatari in appello a pena di nullità ed anche ove curata in primo grado, e tanto nella “potenziata” partecipazione dei primi al procedimento, espressiva di cura dell’interesse del minore alla piena ed equilibrata formazione della sua personalità (Cass. 07/06/2017 n. 14167, e, in particolare, p. 8).

Resta in tal modo superata, per gli indicati presupposti di ratio e letteralità della affermata esegesi dell’art. 5 L. cit., ogni diversa e precedente lettura dell’art. 17 L. cit., che, espressamente dettato sull’appello nei giudizi aventi ad oggetto la declaratoria di adottabilità del minore, veniva ritenuto, ante novella, non impositivo di un siffatto adempimento processuale (Cass. 24/04/2006 n. 9523).

5. Non sfugge a questa Corte il contrasto, negli esiti, della odierna decisione con la sentenza adottata da questa stessa Sezione, e più volte citata (Cass. 07/06/2017 n. 14167), ma si tratta di contrasto apparente là dove della fattispecie ivi scrutinata si consideri che l’iniziativa volta a far rilevare la nullità del processo in grado di appello per mancata audizione degli affidatari, pure già sentiti in primo grado, era stata ivi sostenuta da un P.G. impugnante e dalle adesive conclusioni del tutore provvisorio del minore.

6. Conclusivamente ricostruito nei termini indicati il sistema, ed in applicazione dei correlati principi, si ha che i motivi secondo e terzo sono infondati: l’uno, quello sulla inosservanza di forme a tutela del contraddittorio secondo le quali sarebbero stati sentii in primo grado gli affidatari, perchè, comunque, tardivamente proposto solo nel giudizio in cassazione senza tempestiva deduzione nel giudizio di opposizione dinanzi al tribunale; l’altro, e le ragioni sono comuni anche al primo motivo, perchè introdotte da soggetto portatore di un contrario interesse che resta non diversamente valutabile in difetto di una concreta e specifica allegazione.

7. Nel resto.

8. Con il quarto si fa valere la violazione degli artt. 29,30,31 e 32 Cost., della L. n. 184 del 1983, art. 1, degli artt. 7, 8 e 9 della Convenzione di New York del 1989, dell’art. 24 della Carta di Nizza, degli artt. 2 ed 8 della Convenzione di Roma del 1950.

La Corte di merito non avrebbe previsto un adeguato progetto di sostegno per l’implementazione della capacità genitoriale della appellante in relazione alla circostanza che la madre era vittima di violenza domestica, avendone la stessa fatto espressa richiesta.

9. Con il quinto motivo si denuncia la violazione dell’art. 31 Cost.; della L. n. 184 del 1983, artt. 1,8,10 e 12; dell’art. 8 Convenzione di New York del 1989 ed art. 8 della Convenzione di Roma del 1950, per non avere la Corte di appello tenuto in considerazione la presenza di parenti entro il quarto grado del minore.

10. Con il sesto motivo si fa valere la violazione degli artt. 29 e 31 Cost.; della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8; dell’art. 8 Convenzione di New York del 1989 ed art. 8 della Convenzione di Roma del 1950 per avere la Corte di appello confermato lo stato di adottabilità del minore in relazione a circostanze relative alle sue sorelle e non in modo specifico a lui.

11. Si tratta di motivi accomunati da una inammissibile critica, nel merito, della sentenza impugnata dirette a sostenere, al di là delle invocate violazioni di legge, letture alternative del fatto non consentite di sede di legittimità.

12. Il ricorso va conclusivamente rigettato e le spese processuali di questa fase compensate nella natura della controversia. Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di lite.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2019

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