Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21408 del 14/08/2019

Cassazione civile sez. I, 14/08/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 14/08/2019), n.21408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29969/2018 proposto da:

R.L., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Chieffallo Mario, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 35/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

pubblicata il 07/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2019 dal cons. Dott. MARULLI MARCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. Attinta da R.L., già sindaco del Comune di (OMISSIS), sciolto con D.P.R. n. 13 giugno 2017 per infiltrazioni mafiose, la Corte d’Appello di Catanzaro con “sentenza” 35/2018 del 7.9.2018 ha riformato il decreto con il quale il locale Tribunale aveva rigettato l’istanza del Ministero dell’Interno intesa a far dichiarare, ai sensi dell’art. 143, comma 11 TUEL l’incandidabilità del R. alle prime elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali successive allo scioglimento dell’ente che si sarebbero svolte nella regione Calabria.

1.2. Andando di contrario avviso rispetto al deliberato di prima istanza, il giudice del gravame, all’esito di una ricognizione degli elementi fattuali sottesi alla vicenda emergenti in particolare dalla relazione della Commissione di indagine nominata dal Prefetto di Catanzaro, nonchè dalle altre fonti documentali versate in causa, comprovanti la sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi a riscontro dell’accertata soggezione dell’amministrazione comunale agli interessi della criminalità organizzata operante nella zona facente capo alla cosca degli A. di (OMISSIS) con un rappresentativo esponente della quale ( G.S.) il R. aveva avuto “significative frequentazioni” ed insieme la mancanza di imparzialità e di trasparenza nella gestione amministrativa dell’ente, si è detto convinto che “il quadro complessivo di cattiva amministrazione del Comune e di permeabilità agli interessi privati… non può essere ascritto esclusivamente al malfunzionamento dell’apparato burocratico, bensì a carenze di esercizio dei poteri di indirizzo politico e programmazione, nonchè alla violazione dell’obbligo di vigilanza da parte di organi politici sui risultati dell’attività”, le cui responsabilità non potevano non far capo alla figura del resistente, in ragione della sua qualità di sindaco, chiamato come tale a “sovraintendere all’amministrazione del Comune e a vigilare sulla sua imparzialità, garantendo la sua impermeabilità rispetto agli interessi personali e privati in contrasto con l’interesse pubblico e, massimamente, delle organizzazioni criminali di tipo mafioso”.

1.3. Avverso il predetto provvedimento ricorre ora a questa Corte il R. sulla base di un solo motivo.

Al ricorso resiste l’Amministrazione intimata con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Il predetto unico motivo di ricorso – con cui si lamenta in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione dell’art. 143 TUEL, nonchè eccesso di potere per carenza dei presupposti, travisamento dei fatti, illogicità manifesta, carenza istruttoria in cui sarebbe incorsa la sentenza nel riformare il difforme pronunciamento di primo grado – è affetto da pregiudiziale inammissibilità e si sottrae all’impetrato scrutinio di questa Corte.

Pur facendo ammenda di ogni altro più specifico rilievo inteso a rimarcarne, nella stessa prospettiva, l’inosservanza dello statuto di censurabilità per cassazione dell’errore di diritto ovvero l’estraneità, in via di principio o per successivo effetto di legge, dei lamentati vizi motivazionali al perimetro dell’attuale controllo di legittimità sulla motivazione, il motivo si espone per vero alla premessa declaratoria di rito non evidenziando alcuna apprezzabile criticità in capo all’impugnata decisione e palesando piuttosto un mero dissenso valutativo in ordine all’apprezzamento delle risultanze di causa condotto dal giudice di merito e alle conclusioni, per sè sfavorevoli, che questi ha voluto trarvi.

Si chè ciò di cui il ricorrente, pur conferendo al compendio delle doglianze evocate un’apparente veste giuridica o allegando un preteso vulnus dell’obbligo motivazionale – nell’un caso assumendo, in apparente adesione al parametro evocato, l’erroneità in diritto del ragionamento decisorio svolto dalla Corte d’Appello a supporto della pronuncia, nell’altro deducendo, in discordanza da esso, ma pure da quello di più pertinente riferimento, che la sentenza sarebbe viziata da eccesso di potere o illogicità manifesta – propriamente si duole è l’errore in cui, a suo giudizio, è incorso il decidente di merito nell’interpretazione dei profili fattuali della vicenda che lo hanno falsamente indotto, nel ribaltare il contrario responso del giudice di primo grado, a ritenere sussistenti nella specie “concreti, univoci e rilevanti elementi” in direzione della riconosciuta permeabilità dell’amministrazione interessata alle influenze mafiose e della connivente collusione nell’assecondarne gli interessi affaristico-malavitosi del R. che di quella amministrazione era il capo.

In questa ottica, che è di rivisitazione del giudizio di fatto enunciato dalla Corte d’Appello, pretendendosi che questa Corte si faccia giudice del fatto sostanziale e, nel quadro di una rivalutazione delle evidenze istruttorie – come ancora reclama il ricorrente elencando le circostanze che andrebbero per questo fatte oggetto di rinnovata valutazione – provveda a rivedere il negativo pronunciamento adottato in quella sede e sostituisca ad esso il proprio di segno opposto, il motivo mette capo perciò ad una denuncia che oblitera manifestamente i limiti del giudizio di legittimità e chiama questa Corte ad esercitare un potere che non le compete, onde esso non è per questo sindacabile e doverosa n’è l’espunzione dal giudizio.

3. Inammissibile perciò il ricorso, le spese seguono la soccombenza ex art. 385 c.p.c. e si liquidando come da susseguente dispositivo.

4. Non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater poichè il processo risulta esente.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 6200,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2019

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