Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21406 del 21/10/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 21406 Anno 2015
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: DORONZO ADRIANA

SENTENZA
sul ricorso 7394-2013 proposto da:
ZARA CRISTINA C.F. ZRACST84L67A345S, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DELLA CONCILIAZIONE 44,
presso lo studio dell’avvocato THOMAS MARTONE,
rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO MARTONE,
giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
2908

contro

TRANSCOM WORLDWIDE S.P.A. C.F. 12639850150, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso

Data pubblicazione: 21/10/2015

it

lo studio degli avvocati MARCO MARAZZA, MAURIZIO
MARAZZA, DOMENICO DE FEO, che la rappresentano e
difendono, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 965/2012 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/06/2015 dal Consigliere Dott. ADRIANA
DORONZO;
udito l’Avvocato MARTONE ANTONIO;
udito l’Avvocato MARAZZA MAURIZIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

di L’AQUILA, depositata il 19/09/2012 R.G.N. 166/2012;

Udienza del 23 giugno 2015
Presidente Amoroso
Relatore Doronzo
R.G. n. 7394/13
Zara c/ Transcom Worldwide s.p.a.

Svolgimento del processo
LCristina Zara convenne dinanzi al Tribunale dell’Aquila la Transcom Worldwide
s.p.a (di seguito solo Transcom) e chiese che fosse dichiarata l’inefficacia del
licenziamento intimatole dalla società nell’ambito di una procedura di
licenziamento collettivo avviata con nota del giorno 8/6/2009.
2. Il Tribunale accolse la domanda e condannò la società alla reintegrazione della
parte ricorrente nel posto di lavoro in precedenza occupato, nonché a
corrispondere, a titolo di risarcimento del danno, le retribuzioni maturate dal
giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. Il Tribunale
osservò che i motivi posti a base della procedura di licenziamento, specificamente
indicati nella nota di avvio e costituiti dalla cessazione dell’attività d’impresa
presso la sede dell’Aquila, erano diversi da quelli reali, costituiti dall’eccessivo
costo del lavoro dei dipendenti addetti a quell’unità produttiva, e che tale
difformità costituiva violazione dell’art. 4 della legge n. 223/1991, non sanata dal
successivo accordo sindacale del 9/11/2009, con il quale le parti avevano
concordato di riallocare le risorse in esubero presso la società E-Care e di
riammettere nell’unità produttiva dell’Aquila i lavoratori non attinti dalla
procedura di riduzione e, originariamente, da trasferirsi presso altra sede.
3.La sentenza fu impugnata dalla Transcom e, in via incidentale, anche dalla parte
lavoratrice, dinanzi alla Corte d’appello dell’Aquila che, con la sentenza qui
impugnata, ha accolto l’appello principale e ha rigettato la domanda
originariamente proposta, ritenendo assorbito l’appello incidentale.
4. La Corte ha osservato, in fatto, che: a) la procedura si era conclusa con
l’accordo sindacale del 9/11/2009 in forza del quale la società, pur procedendo al
licenziamento di 276 lavoratori da individuarsi in via prioritaria secondo il criterio
della volontarietà, si impegnava a proseguire la sua attività in L’Aquila con la
riammissione in servizio di 69 lavoratori (dei 77 già trasferiti presso altre sedi); b)
nella nota di avvio dell’8/6/2009 era stata indicata quale ragione della riduzione
del personale la cessazione delle attività del Contact Center dell’Aquila; c) nella
stessa nota di avvio, e propriamente nella parte riguardante i motivi dell’apertura
della procedura, si era fatto riferimento al sisma dell’aprile precedente e alla totale
inagibilità dell’immobile in cui aveva sede il contact center, con la conseguente
l’impossibilita oggettiva di proseguirvi l’attività e la necessità di ricorrere alla
CIGO in deroga per tutti i 360 dipendenti all’epoca occupati; d) sempre nella
comunicazione di avvio si era dato atto che il sisma si inseriva in uno “scenario
industriale di generale difficoltà del settore”, che aveva registrato negli ultimi
esercizi una riduzione del fatturato e una crescente difficoltà di aggiudicazione di
nuove commesse, dovuta alla scarsa competitività dei costi di gestione; e) in
particolare, vi era stata una “sostanziale irreversibile riduzione dei volumi di
affari e dei margini dell’unica commessa ivi gestita per il cliente Tele2”; O il
livello dei costi del centro dell’Aquila, nettamente superiore rispetto al costo di
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Udienza del 23 giugno 2015
Presidente Amoroso
Relatore Doronzo
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altri centri, non consentiva di trasferire sul sito nuove commesse; g) infine, a
seguito del sisma, parte della commessa Tele2 era stata assegnata dalla
committente ad altri fornitori, con un’ulteriore diminuzione del fatturato.
4.1. Con riferimento ai costi dell’azienda, la Corte ha sottolineato un ulteriore
dato, emerso dalla deposizione testimoniale del direttore del personale della
società, costituito dall’applicazione ai dipendenti della sede dell’Aquila (a
differenza di altre sedi) del C.C.N.L. Commercio almeno per il 90% del
personale, meno conveniente per l’impresa rispetto al C.C.N.L.
Telecomunicazioni, cui solo dal 2007 si era iniziato a dare applicazione.
La Corte ha quindi affermato che, posta la verificabilità dei dati indicati, la nota
di avvio conteneva un chiaro riferimento anche i costi di gestione, pur se non
esplicitati nelle conclusioni.
4.2. Sempre in linea di fatto, la Corte ha evidenziato che:
a) negli incontri con le organizzazioni sindacali, svoltisi presso il Ministero dello
Sviluppo Economico, l’azienda aveva indicato l’elevato costo del lavoro,
superiore del 30% rispetto ai riferimenti di mercato e si era dichiarata disponibile
alla riattivazione parziale del centro in cambio di un riequilibrio dei costi e di un
sostegno alle attività produttive; tale proposta non era stata accettata dai sindacati
in quanto reputata lesiva dei diritti dei lavoratori;
b)nel corso di un’ulteriore riunione svoltasi presso il Ministero dello sviluppo
economico, la Transcom aveva dato atto della sua disponibilità all’immediata
riapertura del sito e al rilancio dell’occupazione sull’Aquila, anche grazie ad una
nuova importante commessa;
c) parallelamente a questi incontri, si era svolta una trattativa tra le organizzazioni
sindacali e la E-Care, concorrente della Transcom, di Vodafone e Teledue, dalla
quale era emersa la possibilità di riassorbire tutti i 276 dipendenti presso la nuova
società, purché in mobilità;
e) nell’assemblea dei lavoratori del 10/9/2009 le organizzazioni sindacali avevano
ricevuto dai lavoratori mandato per addivenire ad un accordo con la E-Care alle
stesse condizioni già praticate da Transcom oppure per trattare con quest’ultima
per una riduzione del costo del lavoro, ed in quella sede era stata sostenuta la
scelta “E-Care”.
I) di fatto, in data 20/11/2009 la E-Care e le organizzazioni sindacali avevano
convenuto la riassunzione dei 276 lavoratori licenziati da Transcom e l’effettiva
costituzione dei rapporti di lavoro entro il 28/2/2010, subordinato all’effettiva
iscrizione dei lavoratori nelle liste di mobilità, alle medesime condizioni
economiche e con il medesimo livello di inquadramento già in essere con la
Transcom.
5. Sulla base degli elementi tratti dalla comunicazione di avvio e dal concreto
svolgimento della procedura nei mesi a seguire dall’8/6/2009 fino alla
stipulazione dell’accordo, la Corte è giunta alla conclusione che la decisione della
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società appellante di ricorrere alla procedura di licenziamento collettivo era stata
determinata da grosse difficoltà e da incertezze circa la regolare ripresa
dell’attività presso la sede dell’Aquila, unitamente a questioni di natura
economica dovute al costo del lavoro, alla perdita della commessa Tele2, unica
gestita in loco, ed alla riduzione del fatturato conseguente all’assegnazione, subito
dopo il sisma, della commessa, da parte delle committenti, ad aziende concorrenti.
Ha quindi ritenuto che, in questo contesto, la scelta della Transcom di tenere
aperto il sito era stata non già preordinata a fuorviare le trattative e ad eludere
l’intervento del sindacato, bensì conseguente proprio all’intervento delle
organizzazioni sindacali ed agli accordi tra queste ed il gruppo E-Care, che aveva
imposto il riassorbimento dei lavoratori già dipendenti della Transcom, purché
collocati in mobilità.
5.1. Sempre nell’ottica di valutare la correttezza della procedura di licenziamento
collettivo e l’assenza di ogni manovra elusiva da parte della datrice di lavoro, la
Corte ha escluso ogni rilievo all’aggiudicazione, da parte della stessa, della
commessa INPS-INAIL, in considerazione del fatto che essa era divenuta
definitiva solo nel giugno 2010 (sicché prima di tale momento l’aggiudicazione
provvisoria dell’agosto 2009 non poteva indurre alcun ripensamento dell’intera
procedura), e cioè successivamente alla stipulazione dell’accordo sindacale, e che,
in conseguenza della nuova commessa, erano stati richiamati i dipendenti ancora
in cassa integrazione per un totale di 60-70 unità, in esecuzione dell’impegno
assunto con l’accordo sindacale del 9/11/2009, che prevedeva la progressiva
riammissione in servizio nel sito dell’Aquila di 69 risorse non comprese nella
procedura di mobilità.
5.2. In ordine criteri di scelta, ha infine osservato che essi erano stati
effettivamente individuati in modo certo e predeterminato e che correttamente la
scelta era stata effettuata con riferimento ai lavoratori in servizio presso la sede
dell’Aquila, unica interessata alla procedura di riduzione del personale. Quanto
all’assunta arbitrarietà del criterio adottato dalla Transcom per individuare i
lavoratori da escludere dalla procedura, la Corte ha ritenuto la relativa doglianza
tardiva, in quanto non proposta in primo grado, e generica, non avendo la parte
dedotto e provato che, ove si fosse adottato un diverso criterio, essa avrebbe avuto
titolo per essere esclusa dalla procedura.
6. Contro la sentenza, la parte originaria ricorrente propone ricorso per cassazione
fondato su sette motivi, cui resiste con controricorso la società. Le parti
depositano memorie ex art.378 c.p.c.
Motivi della decisione
Deve preliminarmente respingersi l’eccezione di inammissibilità del ricorso ai
sensi dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c. (applicabile ratione temporis, in quanto la
sentenza è stata depositata in data 19 settembre 2012, quando questa norma era
vigente ), che sanziona con l’inammissibilità i ricorsi per cassazione allorquando
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la sentenza impugnata abbia deciso questioni di diritto in modo conforme alla
giurisprudenza di legittimità. Nel caso in esame, con le censure mosse alla
sentenza impugnata la parte ricorrente non intende rimettere in discussione
principi ormai consolidati di questa Corte, richiamati dalla controricorrente nel
suo atto difensivo, bensì la riconducibilità della fattispecie concreta a quei
principi. Esse, inoltre, oltre a denunciare violazioni di legge, deducono vizi di
motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale
probatorio acquisito. Non sussiste pertanto la eccepita inammissibilità.
1. Con il primo motivo, la parte ricorrente censura la sentenza per violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 4 e 24 della legge n. 223/1991, in relazione al
principio di effettività delle circostanze indicate nella comunicazione di apertura
della procedura e per avere la Corte d’appello ritenuto sufficiente l’accertamento
della ricorrenza di tali circostanze soltanto al momento dell’apertura e non anche
della chiusura della procedura. Assume che se il licenziamento collettivo è stato
avviato per la cessazione dell’attività dell’unità operativa, con la conseguente
risoluzione di tutti rapporti di lavoro inerenti a quella unità, il mantenimento della
sede aquilana impediva di ravvisare il nesso causale tra cessazione dell’attività e
la risoluzione del rapporto di lavoro, nesso che deve sussistere nel momento in cui
si realizza la risoluzione medesima.
1.2. Il motivo non merita accoglimento.
La legge 23 luglio 1991, n. 223, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa
e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in
mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel
passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato “ex post” nel precedente assetto
ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale, concernente il
ridimensionamento dell’impresa, devoluto “ex ante” alle organizzazioni sindacali,
destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione. I residui spazi di
controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli
specifici motivi della riduzione del personale (a differenza di quanto accade in
relazione ai licenziamenti per giustificato motivo obiettivo) ma la correttezza
procedurale dell’operazione, con la conseguenza che non possono trovare ingresso
in sede giudiziaria tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche
violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di
maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle
procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce
per investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive”
esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva (Cass. 12 ottobre
1999, n. 11455; 9 ottobre 2000, n.13450; Cass., 29 luglio 2003, n. 11651; v.
anche Cass. 13 maggio 2004 n. 9134; Cass., 6 ottobre 2006, n. 21541; Cass., 3
marzo 2009, n. 5089).
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La qualificazione del licenziamento in base al progetto di riduzione del personale
con effetti sociali rilevanti comporta, in attuazione dell’art. 41 Cost., commi 2 e 3,
che l’imprenditore sia vincolato non nell’ an della decisione ma soltanto nel
quomodo, essendo obbligato allo svolgimento della procedura di cui all’art. 4, che
realizza così lo scopo di procedimentalizzare il potere di recesso, il cui titolare è
tenuto non più a mere consultazioni, ma a svolgere una vera e propria trattativa
con i sindacati secondo il canone della buona fede.
L’operazione imprenditoriale diretta a ridimensionare l’organico si scompone,
infine, nei singoli licenziamenti, ciascuno giustificato dal rispetto dei criteri di
scelta, legali o stabiliti da accordi sindacali, ma entro una cerchia di soggetti
delimitati dal “nesso di causalità”, ossia dalle esigenze tecnico-produttive ed
organizzative poste a base della scelta imprenditoriale (arg. ex art. 5, comma 1,
primo periodo). Ai due livelli descritti, l’uno collettivo-procedurale, l’altro
individuale-causale, corrisponde l’ambito del controllo giudiziale, cui è estranea,
come detto, la verifica dell’effettività e ragionevolezza dei motivi che giustificano,
nelle enunciazioni dell’imprenditore, la riduzione di personale (cfr. ex plurimis,
Cass. 11 gennaio 2008, n. 528; Cass., 19 maggio 2005, n. 10590; Cass., 13
maggio 2004, n. 9134; Cass., 9 settembre 2003, n. 13182; 11455/1999, cit.), ed il
sistema sanzionatorio di cui all’art. 5, cosicché il lavoratore licenziato è abilitato a
far valere l’inesistenza del potere di recesso per violazione delle regole della
procedura (inefficacia del negozio risolutivo), ovvero la lesione del diritto ad una
scelta imparziale per violazione dei criteri stabiliti dalla legge o dall’accordo
sindacale (annullamento del licenziamento) (cfr. in tal senso, Cass., 26 febbraio
2009, n. 4653).
1.4. Con specifico riferimento alla correttezza della procedura, essa potrà
considerarsi regolare solo ove la comunicazione di avvio, conformatasi ai requisiti
prescritti – l’indicazione dei motivi che determinano la situazione di eccedenza,
nonché il numero, la collocazione aziendale ed i profili professionali del personale
da eliminare – consenta alle organizzazioni sindacali di verificare il nesso tra le
ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità che, in concreto,
l’azienda intende espellere, di talché sia evidenziabile la connessione tra le
enunciate esigenze aziendali e l’individuazione del personale da licenziare (v.
Cass., 27 novembre 2007, n. 24646; Cass., 16 gennaio 2013, n. 880).
Esula pertanto dallo schema normativo degli artt. 4 e 24 1. n. 22371991, ogni altra
forma di controllo giudiziale diversa dalla verifica della completezza delle
informazioni specificate dall’art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, in
quanto dirette a consentire all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera
trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di
personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di
esubero.
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1.5. Come si è evidenziato nella parte narrativa della presente sentenza, la Corte
territoriale ha desunto dalla nota di avvio una pluralità di motivi che hanno
determinato la situazione di eccedenza e che hanno reso non attuabili misure
alternative alla dichiarazione di mobilità.
Con un accertamento in fatto compiuto ed esauriente, del tutto rispondente alle
evidenze istruttorie raccolte in sede di giudizio, ha espresso un giudizio di
sufficienza dei contenuti della comunicazione di avvio della procedura, con
riferimento ai motivi, esternati nella stessa comunicazione, che hanno determinato
l’eccedenza ed alle misure proposte dallo stesso imprenditore per attenuare
l’impatto sociale dei licenziamenti. Ha escluso lacune informative o equivocità di
dati, diretti a rendere poco trasparente la procedura o ad eludere il controllo
sindacale-politico delle organizzazioni sindacali. Ha sottolineato come la mancata
chiusura della sede dell’Aquila sia stata il risultato di intense trattative tra le parti
sociali, collegata causalmente agli accordi intercorsi tra i sindacati ed altre società
concorrenti con l’odierna controricorrente, ed ha rimarcato che tale diversa
soluzione, rispetto a quella prospettata nella nota di avvio, proprio in quanto frutto
dell’attiva partecipazione dei sindacati, non può essere sintomatica di un intento
della società datrice di lavoro di fuorviare o eludere l’esercizio dei poteri di
controllo preventivo attribuiti alle parti coinvolte nella procedura.
Al contrario, ha accertato che i poteri sindacali di controllo sono stati esercitati in
modo penetrante e determinante degli esiti della procedura, conclusasi con
l’accordo sindacale del 9/11/2009.
1.6. Si tratta di un sindacato che il giudice ha esercitato tenendo conto delle
valutazioni in fatto delle parti sociali, dell’iter procedimentale seguito, della
conclusione della procedura, con la previsione dell’assunzione dei lavoratori in
esubero ad opera di altra società ed il richiamo presso la sede dell’Aquila dei
lavoratori trasferiti ed esclusi dalla mobilità, in quanto portatori di una
professionalità accresciuta in forza dell’accettato trasferimento.
1.7. In definitiva, la Corte del merito ha accertato la correttezza della procedura,
ritenendo che la (parziale) divergenza tra la situazione indicata (tra i plurimi
motivi determinati l’eccedenza) con la comunicazione iniziale di apertura della
procedura di mobilità e quella di fatto determinatasi al momento conclusivo, in cui
furono adottati i provvedimenti di recesso, non costituisce violazione delle norme
di cui agli artt. 4 e 24 1. n. 223/1991 (cfr., su questione analoga, cfr. Cass., 11
marzo 2011, n. 6030).
1.8. Ciò risponde ad una corretta lettura delle norme indicate, da cui può trarsi il
principio che non è viziata la procedura di licenziamento collettivo ove – indicata
tra i plurimi motivi che determinano l’eccedenza la chiusura di un’unità produttiva
e ritenuta completa ed esauriente l’enunciazione dei motivi tecnici, organizzativi e
produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio
alla predetta situazione ed evitare in tutto o in parte, la dichiarazione di mobilità 6

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la procedura si concluda con il licenziamento dei dipendenti ed il mantenimento
dell’unità produttiva, con la ricollocazione di dipendenti già trasferiti e
legittimamente esclusi dalla mobilità, se ciò è avvenuto a seguito di trattative
sindacali svoltesi secondo i canoni della buona fede e conclusesi, nella specie,
con l’accordo tra l’imprenditore e organizzazioni sindacali.
La sentenza impugnata, ampiamente ragionata in diritto e basata su valutazioni di
fatto coerentemente esposte, supera pertanto le censure della parte ricorrente.
2. Con il secondo motivo la parte ricorrente censura la sentenza per violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 4 e 24 legge n. 223 del 1991, nonché degli ara. 1175,
1337 e 1375 c.c. in relazione al principio di trasparenza nell’ambito delle trattative
sindacali, nonché per omesso esame, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., di un fatto
decisivo oggetto di discussione tra le parti, e in particolare dell’aggiudicazione nel
corso della procedura della commessa INPS-INAIL.
2.1. Anche questo motivo, nella sua duplice articolazione, non merita
accoglimento. Il motivo è inammissibile sotto il profilo della violazione di legge,
dal momento che la parte ricorrente non indica quale affermazione della Corte
territoriale è in violazione delle norme indicate, in particolare degli artt. 1175,
1337 e 1375 c.c. Il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex
art. 360, n. 3, c.p.c., deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo
giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con la indicazione delle
nonne assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche
argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a dimostrare in qual modo
determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano
ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con
l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità,
diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale
compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Cass., 19
gennaio 2005, n. 1063; Cass., 6 aprile 2006, n. 8106; Cass., 8 marzo 2007, n.
5353; Cass., 26 giugno 2013, n. 16038).
Quanto alla dedotta violazione degli artt. 4 e 24 1. n. 22371991, valgono le
considerazioni su espresse a conferma della correttezza della decisione della Corte
territoriale circa l’esatta applicazione delle norme su indicate, avendo la Corte
escluso che l’aggiudicazione delle dette commesse, avvenuta in via definitiva solo
dopo la conclusione dell’accordo sindacale del novembre 2009, possa aver inciso
sulla trasparenza e sulla legittimità di una procedura che ha visto il sindacato
svolgere un ruolo attivo e determinante.
2.2. Anche il denunciato vizio motivazionale è inammissibile, alla luce del nuovo
testo dell’art. 360, comma 1°, n. 5, c.p.c. (come modificato dall’art. 54, comma 1°,
lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modifiche in legge 7 agosto 2012
n. 134), il quale prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione “per
omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
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discussione tra le parti”. Per effetto della disposizione transitoria contenuta nello
stesso art. 54, comma 3 0 , la norma si applica ai ricorsi per cassazione contro
provvedimenti pubblicati dopo 11 settembre 2012 ( quindi al caso in esame).
2.3. Orbene, le Sezioni Unite di questa Corte ( Sez. Un. 7 aprile 2014, n. 8053)
hanno avuto modo di precisare che a seguito della modifica dell’art. 360, comma
1°, n. 5, c.p.c., il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge
e, cioè, dell’art. 132 c.p.c., che impone al giudice di indicare nella sentenza “la
concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”, secondo
quello che è stato definito il “minimo costituzionale” della motivazione. Ed infatti
perché la violazione sussista si deve essere in presenza di un vizio “così radicale
da comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132, n. 4, c.p.c. la
nullità della sentenza per mancanza di motivazione”, fattispecie che si verifica
quando la motivazione manchi del tutto, oppure formalmente esista come parte
del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo “talmente
contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come
giustificazione del decisum”.
2.4. Pertanto, a seguito della riforma del 2012, scompare il controllo sulla
motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo
sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e
sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità
manifesta). Inoltre, il vizio può attenere solo alla quaestio facti (in ordine alle
quaestiones juris non è configurabile un vizio di motivazione) e deve essere
testuale, deve, cioè, attenere alla motivazione in sé, a prescindere dal confronto
con le risultanze processuali. Dal nuovo testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c., è
scomparso il termine motivazione e, pertanto, l’omesso esame deve riguardare un
fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali che abbia costituito oggetto di discussione e che
abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito
diverso della controversia). Le Sezioni unite hanno altresì chiarito che “la parte
ricorrente dovrà indicare — nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art.
366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.- il fatto storico, il cui
esame sia stato omesso, il dato testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale
(emergente dagli atti processuali), da cui risulti l’esistenza, il come ed il quando
(nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la
decisività del fatto stesso”.
2.5. Alla luce di questi chiari principi, seguiti da numerose decisioni di questa
Corte (Cass., 27 novembre 2014, n. 25216; Cass., ord. 8 ottobre 2014, n. 21257;
Cass., ord., 29 gennaio 2015, n. 1740/2015), emerge evidente come il motivo
all’esame non presenti alcuno dei requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360,
comma 1, n. 5, c.p.c. così come novellato, nella interpretazione fornitane dalle
Sezioni Unite.
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La Corte territoriale non ha affatto omesso di valutare il fatto storico posto a base
del motivo in esame, ma ne ha escluso ogni rilevanza nel giudizio di correttezza
della procedura. La motivazione è certamente sussistente, è ancorata a precise
evidenze istruttorie, non presenta alcun profilo di contraddittorietà.
In realtà, con tale mezzo la parte prospetta (ed auspica) una diversa lettura del
fatto indicato, al fine di ottenere un riesame nel merito della questione,
inammissibile in questa sede perché eccedente il sindacato di legittimità che
compete alla Corte di cassazione.
3. Con il terzo motivo, la parte censura la sentenza per violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 4 e 24 1. n. 223/1991, nonché degli artt. 1175, 1337, 1375
c.c., in relazione principi di effettività e di trasparenza nell’ambito delle trattative
sindacali. Ribadisce gli argomenti già svolti nell’illustrare i due motivi precedenti,
insistendo sul mutamento di fatto della situazione derivante dall’aggiudicazione
della commessa INPS-INAIL, nonché sul valore determinante avuto nel corso
della procedura dal costo del lavoro, conseguente al tipo di contratto collettivo
applicato a gran parte dei lavoratori. Si tratta di argomenti che la Corte territoriale
ha già esaminato e rispetto ai quali la parte ricorrente non individua il momento di
conflitto con le norme richiamate. Invero, a giudizio della Corte aquilana, la nota
di avvio della procedura conteneva già un esplicito riferimento alle problematiche
del contenimento del costo del lavoro; le stesse erano state anche affrontate in
sede di incontri con le organizzazioni sindacali; infine, la scelta di addivenire
all’accordo con la E-Care era stato determinato anche dalla volontà di mantener
ferma l’applicazione ai dipendenti in mobilità delle stesse condizioni contrattuali
applicate dalla Transcom. Ha così escluso ogni atteggiamento elusivo o fuorviante
posto in essere dalla società sia con la nota di avvio della procedura sia nel corso
delle trattative sindacali. Il motivo è pertanto infondato.
4. Il quarto motivo concerne la violazione e la falsa applicazione degli artt. 4 e 24
1. n. 223/1991, nella parte in cui la sentenza ha affermato che l’accordo sindacale
esclude ogni controllo sulla congruità delle motivazioni sulla procedura. Anche
questo motivo è infondato per la sua inconferenza rispetto le ragioni della
decisione. La Corte aquilana ha proceduto ad un’affermazione di principio,
richiamando i precedenti di questa Corte secondo cui, in tema di collocamento in
mobilità e licenziamento collettivo, la comunicazione di avvio della procedura ex
art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, rappresenta una cadenza essenziale
per la proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato e
per la trasparenza del processo decisionale del datore di lavoro, con la
conseguenza che il lavoratore è legittimato a far valere l’incompletezza della
comunicazione quale vizio del licenziamento e che il successivo raggiungimento
di un accordo sindacale, pur essendo rilevante ai fini del giudizio retrospettivo
sull’adeguatezza della comunicazione, non sana ex se il deficit informativo, atteso
che il giudice di merito può accertare che il sindacato partecipò alla trattativa,
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sfociata nell’intesa, senza piena consapevolezza dei dati di fatto (Cass., 5 giugno
2003,n. 9015; più di recente, Cass.6 aprile 2012, n. 5582; Cass., 14 aprile 2015, n.
7490).
Di tale principio i giudici d’appello hanno fatto puntuale applicazione, attraverso
un giudizio in concreto, in cui si è valutata positivamente la completezza della
comunicazione di avvio e la correttezza dell’intera procedura, si è sottolineato il
ruolo attivo e primario delle organizzazioni sindacali anche nella scelta della
soluzione finale, in altri termini si è escluso, sempre in concreto, che vi sia stata
violazione delle norme suindicate e delle regole di trasparenza che esse mirano ad
assicurare. A nulla rileva che l’odierna parte ricorrente non abbia aderito
all’accordo finale, giacché il consenso del singolo lavoratore non è requisito di
validità della procedura in esame, così come irrilevanti sono le ulteriori
considerazioni che la parte svolge nel motivo in esame e riguardanti una presunta
imposizione alle organizzazioni sindacali di aderire all’accordo con il gruppo ECare: come la stessa Corte ha sottolineato, a tale accordo le organizzazioni
sindacali sono pervenute sulla base di uno specifico mandato ricevuto dai
lavoratori a seguito della riunione del 10/9/2009. Si è trattato pertanto di una
libera scelta delle organizzazioni sindacali che hanno ritenuto più conveniente
l’accordo di riassunzione dei lavoratori in mobilità rispetto ad un accordo con
Transcom per una riduzione del costo del lavoro.
5. Con il quinto motivo la parte deduce la violazione e la falsa applicazione
dell’art. 5 della legge n. 223/1991, in relazione all’applicazione dei criteri di scelta
nell’ambito del complesso aziendale. Lamenta che la Corte territoriale ha ritenuto
corretta la scelta imprenditoriale dei lavoratori da collocare in mobilità
limitandola a quelli occupati nella sola sede aquilana, e non invece nell’intero
complesso aziendale.
Sovvengono anche qui i principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte
secondo cui, in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale,
qualora il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ad un’ unità
produttiva, le esigenze di cui all’art. 5, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n.
223, riferite al complesso aziendale, possono costituire criterio esclusivo nella
determinazione della platea dei lavoratori da licenziare, purché il datore indichi
nella comunicazione ex art. 4, comma 3, della legge n. 223 citata, sia le ragioni
che limitano i licenziamenti ai dipendenti dell’ unità o settore in questione, sia le
ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive
vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare
l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti (Cass., 9 marzo 2015, n. 4678;
Cass. 11 dicembre 2012, n.22655).
La Corte territoriale, con un ragionamento congruo ed esaustivo, ha ritenuto che,
già nella comunicazione di avvio della procedura, erano state enunciate le ragioni
che rendevano necessaria la chiusura della sede dell’Aquila e la collocazione in
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esubero dei dipendenti di quell’unità operativa, fondate essenzialmente sul grave
sisma che aveva reso inagibile la sede di quella città, sulla monocommittenza per
la commessa di Tele2, sull’applicazione di un contratto collettivo più oneroso per
la società datrice di lavoro rispetto al contratto applicato in altre sedi. Ha ritenuto
pertanto legittima la limitazione della platea dei lavoratori attinti dalla procedura
ai soli lavoratori addetti all’unità produttiva dell’Aquila. Anche in tal caso si è in
presenza di una valutazione che, in linea con i principi giurisprudenziali di questa
Corte, costituisce un apprezzamento di fatto, insindacabile in questa sede siccome
privo di salti logici o errori giuridici. Il motivo è pertanto infondato.
6. Con il sesto motivo la parte censura la sentenza per la violazione e la falsa
applicazione dell’art. 5 1. n. 223/1991, in relazione alla mancata applicazione dei
criteri di scelta e deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha trascurato
di considerare che “una volta applicato il criterio sindacale (della non
opposizione alla procedura: n.d.e.) alle 217 risorse che avevano manifestato la
propria non opposizione alla mobilità, l’azienda ha escluso dalla procedura le 77
risorse” (nel frattempo ridottesi a 69, a causa delle dimissioni nel frattempo
intervenute di otto unità) “originariamente trasferite, coinvolgendo nella
procedura cinquantanove residue risorse (tra cui l’odierno ricorrente) alle quali
non è stato applicato alcun criterio, nei sindacale, né tanto meno legale”.
6.1. Questo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza. Anche su tale
aspetto della controversia la Corte territoriale ha ampiamente motivato, ritenendo
inammissibile, e comunque infondata, la questione dell’inosservanza dei criteri di
scelta dei lavoratori da collocare in esubero, al netto di quelli scelti sulla base del
criterio volontaristico, in quanto non proposta nel giudizio di primo grado e
comunque generica. A fronte di questa motivazione, era onere della parte
ricorrente trascrivere con esattezza gli esatti termini in cui la questione è stata
prospettata, l’atto difensivo e la fase processuale in cui essa è stata proposta,
nonché la precisa indicazione di elementi volti a consentire la reperibilità,nel
presente giudizio, dell’atto difensivo o del verbale di causa in cui vi è stata la
relativa allegazione (Cass., 6 novembre 2012, n. 19157; Cass., 23 marzo 2010, n.
6937; Cass. civ. 12 giugno 2008, n. 15808; Cass. civ. 25 maggio 2007, n. 12239;
Cass., Sez. Un., 3 novembre 2011, n. 22726). Nel caso in esame, la parte
ricorrente non ha assolto tali adempimenti, con la conseguenza che il motivo deve
essere dichiarato inammissibile.
7. Con il settimo motivo la parte ricorrente deduce la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2113 c.c., nonché dell’art. 6 della legge n. 604/1966, in
relazione all’efficacia nei suoi confronti di una dichiarazione di non opposizione
non sottoscritta in sede protetta. In particolare, deduce che la sua adesione alla
procedura di mobilità, che ha indotto la Corte territoriale ad escludere la
violazione dei criteri di cui all’art. 5 1. n. 223/1991, doveva intendersi contestata
attraverso la tempestiva impugnazione del licenziamento che comportava
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l’impugnazione di ogni precedente rinuncia ad un proprio diritto, ivi compreso
quello di dolersi del proprio coinvolgimento nella procedura di mobilità.
7.1. Il motivo è inammissibile, dal momento che nella sentenza impugnata, in
relazione all’asserita violazione dei criteri di scelta, la Corte ha fondato la sua
decisione di infondatezza della doglianza su una doppia ratio decidendi, costituita,
per un verso, dall’adesione alla procedura di mobilità e, per altro verso, dalla
novità e genericità delle doglianze proposte. Quest’ultima ragione costituisce,
come si è visto, oggetto del sesto motivo di ricorso, che questo Collegio ha
ritenuto inammissibile, con la conseguenza che trova applicazione il principio
affermato da questa Corte secondo cui, “qualora la decisione di merito si fondi su
di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a
sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure
mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto
difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte
oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre,
stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa”
(Cass., 14 febbraio 2012, n. 2108).
8. Dalle considerazioni svolte discende il rigetto del ricorso. Le difficoltà inerenti
agli accertamenti di fatto, attestate anche dai diversi esiti dei giudizi di merito,
consigliano la compensazione delle spese del presente giudizio. Poiché il ricorso è
stato notificato in data successiva al 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per
il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1, del
d.p.r. 115/2002. In tema di impugnazioni, il presupposto di insorgenza
dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio
2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012,
n. 228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto
integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame
(Cass., ord.13 maggio 2014 n. 10306).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
Roma, 23 giugno 2015
Il Piinte
Dott. Giokanni hmoroso
Il consigliere estensore
Dott. Adriana Doronzo
4LelltalAU

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Il Funzionario Giudiziario
Dott.ssa Don

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