Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21404 del 21/10/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 21404 Anno 2015
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA
sul ricorso 5820-2010 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015

contro

2870

MARCHETTI ANTONELLA C.F. MRCNNL61P56F6110;
– intimata –

Nonché da:

Data pubblicazione: 21/10/2015

MARCHETTI

ANTONELLA

C.F.

MRCNNL61P56F6110,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso
lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– con troricorrente e ricorrente incidentale –

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585;
– intimata –

avverso la sentenza n.

1206/2008 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 23/02/2009, r.g.n. 2941/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/06/2015 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega verbale PESSI
ROBERTO;
udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso
per inammissibilità o in subordine rigetto del ricorso
principlae, accoglimento dell’incidentale.

contro

R.G. 5820/2010
FATTO E DIRITTO
Con sentenza dell’8-4-2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma,
in accoglimento della domanda proposta da Antonella Marchetti nei confronti

contratto di lavoro intercorso tra le parti dall’1-6-1999 al 30-10-1999, per
“esigenze eccezionali” ex art. 8 ceni 1994 come integrato dall’acc. 25-9-1997 e
succ., con la conseguente sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato dal 1-6-1999, e condannava la società al pagamento delle
retribuzioni medio tempore maturate oltre accessori.
La società proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la
riforma con il rigetto della domanda.
La Marchetti si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 23-2-2009, in
parziale accoglimento dell’appello limitava la condanna della società al
risarcimento del danno pari alle retribuzioni maturate a far tempo dalla data di
costituzione in mora (5-4-2002) fino alla scadenza del triennio decorrente dalla
cessazione di fatto del rapporto di lavoro (e quindi fino al 30-10-2002), oltre
interessi e rivalutazione.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con tre
motivi.
La Marchetti ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso
incidentale con dodici motivi.
La Marchetti ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.
1

della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine finale apposto al

Ciò posto, preliminarmente riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex
art. 335 c.p.c., va rilevato che con il primo motivo la ricorrente principale
censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di
risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito, nonostante la mancanza di

per un apprezzabile lasso di tempo anteriore alla proposizione della domanda e
la conseguente presunzione di estinzione del rapporto stesso, con onere, in
capo al lavoratore, di provare le circostanze atte a contrastare tale presunzione.
Il detto motivo è infondato.
Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini
del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un
termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata — sulla base del
lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,
nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass. 10-11-2008 n.
26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché da
ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n.
16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a
termine, quindi, “è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione
del rapporto per mutuo consenso” (v. da ultimo Cass. 15-11-2010 n. 23057,
Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca
tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la
2

una qualsiasi manifestazione di interesse alla funzionalità di fatto del rapporto,

volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni
rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass.

p

1-2-2010 n. 2279, Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887).
Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli art. 1372 e 1321
c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente
ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei
comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara
manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del
rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e
neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto. Al
riguardo, infatti, non può condividersi il diverso indirizzo che, valorizzando
esclusivamente il “piano oggettivo” nel quadro di una presupposta valutazione
sociale “tipica” (v. Cass. 6-7-2007 n. 15264 e da ultimo Cass. 5-6-2013 n.
14209), prescinde del tutto dal presupposto che la risoluzione per mutuo
consenso tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale, anche se
tacita (v. da ultimo Cass. 28-1-2014 n. 1780).
Orbene nella fattispecie la Corte di merito ha rilevato che “per un verso
non può certo dirsi di rilevante lunghezza il periodo di non attuazione del
rapporto (meno di tre anni), anche se raffrontato alla durata del rapporto a
termine, e comunque, per altro verso, né la percezione del tfr” senza riserve” né
“mancate contestazioni” alla conclusione del rapporto (a termine) né
(considerato l’ovvio bisogno di lavorare per poter far fronte alla necessità della
vita) l’eventuale prestazione lavorativa presso terzi , che avrebbe tra l’altro
limitato il danno da risarcire, possono, all’evidenza, dirsi confermative della

3

4

volontà chiara e certa della lavoratrice di por fine definitivamente ad ogni

i fa

rapporto con la società”.
Tale accertamento di fatto, conforme ai principi sopra richiamati, risulta
altresì congruamente motivato e resiste alla censura della ricorrente.

primo, numeri 3) e 5), l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto la
nullità del termine apposto al contratto de quo in quanto stipulato (per
“esigenze eccezionali…”) oltre la scadenza ultima fissata dagli accordi
collettivi attuativi dell’acc. az. 25-9-1997 ed all’uopo sostiene la insussistenza
di tale scadenza e la natura meramente ricognitiva dei detti accordi.
Anche tali motivi sono infondati e vanno respinti.
In base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, “in materia di
assunzioni a termine dei dipendenti postali, l’art. 23 della legge 28 febbraio
1987, n. 56, nel consentire anche alla contrattazione collettiva di individuare
nuove ipotesi di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro, ha
consentito il ricorso ad assunzione di personale straordinario nei soli limiti
temporali previsti dalla contrattazione collettiva, con conseguente esclusione
della legittimità dei contratti a termine stipulati oltre i detti limiti; resta altresì
escluso che le parti sociali, mediante lo strumento dell’interpretazione autentica
delle vecchie disposizioni contrattuali ormai scadute (volta ad estendere
l’ambito temporale delle stesse), possano autorizzare retroattivamente la
stipulazione di contratti non più legittimi per effetto della durata in precedenza
stabilita, tanto più che il diritto del lavoratore si era già perfezionato e le
organizzazioni sindacali non possono disporre dello stesso.” (v. fra le altre
Cass. 16-11-2010 n. 23120).
4

Con il secondo e terzo motivo la società censura poi, ex art. 360, comma

In particolare, come è stato precisato, “con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il
successivo accordo attuativo, sottoscritto il 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa
alla trasformazione giuridica dell’ente e alla conseguente ristrutturazione
aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali, fino alla data del 30
aprile 1998. Ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a
termine cadute dopo il 30 aprile 1998 per carenza del presupposto normativo
derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi
contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n.
230” (v. Cass. 18-11-2011 n. 24281, cfr. Cass. 28-11-2008 n. 28450, 4-8-2008
n. 21062, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 1-10-2007 n. 20608, Cass. 23-8-2006
n. 18378).
Così respinto il ricorso principale della società, che peraltro non contiene
alcuna altra censura, va invece accolto come di seguito il ricorso incidentale
con il quale la Marchetti sotto vari profili di violazione di legge e vizi di
motivazione, con dodici motivi correttamente formulati ex art. 366 bis c.p.c..,
lamenta che erroneamente e senza adeguata motivazione la Corte di merito ha
limitato il risarcimento del danno alla somma pari alle retribuzioni maturate
dalla messa in mora (5-4-2002) alla scadenza del triennio successivo alla
cessazione di fatto del rapporto (e cioè fino al 30-10-2002).
Al riguardo osserva il Collegio che (a prescindere da ogni considerazione
sulla correttezza o meno della statuizione impugnata in base alla disciplina
previgente, sulla quale ovviamente sono incentrati i motivi di ricorso) nella
fattispecie è applicabile lo ius superveniens, rappresentato dall’art. 32 commi
5

i

5, 6 e 7 della legge 4-11-2010 n. 183, i quali dispongono che: “5. Nei casi di
conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di
lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva
nella misura compresa tra uni minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità

nell’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604.
6. In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o
aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a
tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine
nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell ‘indennità fissata
dal comma 5 è ridotto alla metà.
7. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i
giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della
presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini
della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle
parti un termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative
eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell ‘art. 421 del codice di
procedura civile.”
Tale disciplina (v. fra le altre Cass. 31-1-2012 n. 1409, Cass. 29-2-2012 n.
3056), applicabile a tutti i giudizi pendenti, anche in grado di legittimità (v. già
Cass. Ord. 28-1-2011 n. 2112), alla luce della sentenza interpretativa di rigetto
della Corte Costituzionale n. 303 del 2011, è fondata sulla ratio legis diretta ad
“introdurre un criterio di liquidazione del danno di più agevole, certa ed
omogenea applicazione”, rispetto alle “obiettive incertezze verificatesi
6

dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati

nell’esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la
legislazione previgente”.
La norma, che “non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno
dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto,

indeterminato”, in base ad una “interpretazione costituzionalmente orientata”
va intesa nel senso che “il danno forfetizzato dall’indennità in esame copre
soltanto il periodo cosiddetto “intermedio”, quello, cioè, che corre dalla
scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara
la conversione del rapporto”, con la conseguenza che a partire da tale sentenza
“è da ritenere che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a
riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le
retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva”
(altrimenti risultando “completamente svuotata” la “tutela fondamentale della
conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato”).
Nel contempo, sempre alla luce della citata pronuncia della Corte
Costituzionale, “il nuovo regime risarcitorio non ammette la detrazione
dell’aliunde perceptum. Sicché l’indennità onnicomprensiva assume una chiara
valenza sanzionatoria. Essa è dovuta in ogni caso, al limite anche in mancanza
di danno, per avere il lavoratore prontamente reperito un’altra occupazione”.
Peraltro, “la garanzia economica in questione non è né rigida, né
uniforme” e, “anche attraverso il ricorso ai criteri indicati dall’art. 8 della legge
n. 604 del 1966, consente di calibrare l’importo dell’indennità da liquidare in
relazione alle peculiarità delle singole vicende, come la durata del contratto a
tempo determinato (evocata dal criterio dell’anzianità lavorativa), la gravità
7

assicura a quest’ultimo l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo

della violazione e la tempestività della reazione del lavoratore (sussumibili
sotto l’indicatore del comportamento delle parti), lo sfruttamento di occasioni
di lavoro (e di guadagno) altrimenti inattingibili in caso di prosecuzione del

kg

rapporto (riconducibile al parametro delle condizioni delle parti), nonché le

numero dei dipendenti”.
Così interpretata, la nuova normativa, risultata “nell’insieme, adeguata a
realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi”, ha superato
il giudizio di costituzionalità sotto i vari profili sollevati, con riferimento agli
artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102, 111 e 117 primo comma della Costituzione.
Infine, è stata emanata la legge n. 92 del 28-6-2012 (in G.U. n. 153 del 37-2012), che all’art. 1 comma 13, con chiara norma di interpretazione autentica
(in senso conforme a quanto già affermato dalla Corte Costituzionale e da
questa Corte di legittimità), ha così disposto: “La disposizione di cui al comma
5 dell’art. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, si interpreta nel senso che
l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore,
comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo
compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il
quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”.
Orbene la detta normativa, va applicata nel caso in esame, essendo questa
Corte investita al riguardo da validi e pertinenti motivi di ricorso (v. fra le altre
Cass. 1-10-2012 n. 16642).
Nella fattispecie, quindi, nei sensi e nei limiti del detto ius superveniens va
accolto il ricorso della Marchetti, in tal modo risultando assorbita ogni
questione riguardante l’applicazione della normativa previgente, con la
8

stesse dimensioni dell’impresa (immediatamente misurabili attraverso il

conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al ricorso
accolto e con rinvio per il riesame, sul punto, alla Corte di Appello di Roma, in
diversa composizione, la quale provvederà nella specie anche ai sensi di quanto
disposto in rito dal comma 7 del citato art. 32, statuendo altresì sulle spese di

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, accoglie nei sensi di
cui in motivazione il ricorso incidentale, cassa l’impugnata sentenza e rinvia,
anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.
Roma 18 giugno 2015

legittimità.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA