Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21403 del 24/10/2016


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Cassazione civile sez. VI, 24/10/2016, (ud. 20/07/2016, dep. 24/10/2016), n.21403

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2677-2015 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), Società con socio unico, in persona

del Presidente del Consiglio di Amministrazione e Legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO,

rappresentata e difesa dall’Avvocato GAETANO GRANOZZI, giusta delega

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.F., L.M.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA LUCIO PAPIRIO 69, presso lo studio dell’avvocato MARILENA

TORRE, rappresentati e difesi dall’avvocato FILIPPO MARIA BARBERA,

giusta procura a margine del controricorso;

B.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMANUELE

FILIBERTO 109, presso lo studio dell’avvocato PIRRONE STUDIO LEGALE,

rappresentata e difesa dall’avvocato SANTINA INTERSIMONE, giusta

procura a margine del controricorso;

S.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCIO

PAPIRIO 83, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO AVITABILE,

rappresentata e difesa dall’avvocato REMO BIAMONTE, giusta mandato a

margine del controricorso;

V.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE IONIO 2,

presso lo studio dell’avvocato LUCIA TESTA, rappresentata e difesa

dall’avvocato ORAZIO ALFREDO ZAPPIA, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

D.V.N.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2169/2013 della CORTE D’APPELLO di MESSINA del

05/12/2013, depositata il 14/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 14.1.2014, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della decisione del Tribunale, che aveva accertato la legittimità dei contratti a termine stipulati, tra gli altri, da Poste Italiane s.p.a, con L.M.A., S.R., V.C., B.C. e I.F., dichiarava la nullità del termine apposto ai contratti a tempo determinato stipulati con i predetti e, quanto a D.V.N., confermando la dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto dalla stessa stipulato, dichiarava la cessazione della materia del contendere sulla richiesta di riammissione in servizio e, in riforma del capo relativo alle conseguenze economiche, condannava la società al pagamento, in favore della predetta, di un’indennità commisurata a quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Rilevava, quanto alla posizione di quest’ultima, che la società, gravata del relativo onere, non aveva supportato le dedotte esigenze sostitutive del contratto stipulato per il periodo dal (OMISSIS), con elementi che ne consentissero la individuazione, essendovi solo la specificazione dell’ufficio postale ove la lavoratrice era stata chiamata a rendere la prestazione, e, in particolare, che la causale della sostituzione era risultata riferita a malattia di altro dipendente e non a ferie, con ciò dovendo ritenersi “platealmente errata”.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la società, affidando l’impugnazione a cinque motivi di impugnazione, cui resistono, con controricorsi, la L.M., lo I., la B., la V. e la S..

La D.V. è rimasta intimata.

La società ricorrente, la V. e la L.M. hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Con riguardo ai primi cinque (controricorrenti costituiti) è sufficiente considerare che, come evidenziato in memoria, risultano sottoscritti fra le parti altrettanti verbali di conciliazione in sede sindacale in data (OMISSIS).

Dai suddetti verbali di conciliazione, debitamente sottoscritti dai lavoratori interessati e dal rappresentante della Poste Italiane S.p.A., risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che, in caso di fasi giudiziali ancora aperte, le stesse sarebbero state definite in coerenza con il verbale stesso; tali verbali di conciliazione si appalesano idonei a dimostrare l’intervenuta cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo.

In tal senso va emessa la corrispondente declaratoria nei riguardi dei controricorrenti suindicati.

Le spese del presente giudizio di legittimità sono compensate quanto alle dette parti.

Non sussistono i presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, pure applicabile ratione temporis, stante il tenore della decisione.

Quanto alla posizione di D.V.N., il giudice del gravame ha ritenuto la clausola appositiva del termine priva di specificità mancando in essa ogni riferimento alle concrete circostanze giustificative dell’assunzione; in particolare ha sottolineato l’insufficienza del richiamo all’unità produttiva/organizzativa ove si rappresentavano come verificate genericamente le assenze di personale. Le ragioni esplicitate in sentenza in ordine alla ritenuta erroneità della causale del termine, riferita a esigenze sostitutive per malattia di dipendente, sono tuttavia validamente censurate.

Questa Corte ha chiarito (Cass. n. 27052 del 2011, n. 1577 e n. 1576 del 2010) che il quadro normativo che emerge a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001 è caratterizzato dall’abbandono del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 – che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti il ricorso al contratto a tempo determinato – e dall’introduzione di un sistema articolato per clausole generali in cui l’apposizione del termine è consentita a fronte di “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”). Tale sistema, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno un fondamentale criterio di razionalizzazione, costituito dal già rilevato obbligo per il datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di specificare in esso le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo addotte. L’onere di specificazione della causale nell’atto scritto costituisce una perimetrazione della facoltà riconosciuta al datore di lavoro di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare una vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate. Tale onere ha l’evidente scopo di evitare l’uso indiscriminato dell’istituto per fini solo nominalmente riconducibili alle esigenze riconosciute dalla legge, imponendo la riconoscibilità e la verificabilità della motivazione addotta già nel momento della stipula del contratto.

D’altro canto, tuttavia, proprio il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che il concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato. Il concetto di specificità in questione risente, dunque, di un certo grado di elasticità che, in sede dì controllo giudiziale, deve essere valutato dal giudice secondo criteri di congruità e ragionevolezza.

Con riferimento alle ragioni di carattere sostitutivo, è stato in particolare precisato (Cass. n. 27052 del 2011, e, da ultimo, Cass. 14604/2015) che il contratto a termine, se in una situazione aziendale elementare è configurabile come strumento idoneo a consentire la sostituzione di un singolo lavoratore addetto a specifica e ben determinata mansione, allo stesso modo in una situazione aziendale complessa è configurabile come strumento di inserimento del lavoratore assunto in un processo in cui la sostituzione sia riferita non ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica che sia occasionalmente scoperta. In quest’ultimo caso, il requisito della specificità può ritenersi soddisfatto non tanto con l’indicazione nominativa del lavoratore o dei lavoratori sostituiti, quanto con la verifica della corrispondenza quantitativa tra il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine per lo svolgimento di una data funzione aziendale e le scoperture che per quella stessa funzione si sono realizzate per il periodo dell’assunzione.

L’apposizione del termine per “ragioni sostitutive” è legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali, l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando in ogni caso la verificabilità circa la sussistenza effettiva del presupposto di legittimità prospettato (v. fra le altre, Cass. n. 565 del 2012, Cass. n. 8966 del 2012, n.6216 del 2012, n. 8647 del 2012 n. 13239 del 2012, n. 9602 del 2011, n. 14868 del 2011). La decisione impugnata non risulta conforme alle indicazioni del giudice di legittimità; invero, l’accertamento della Corte territoriale in ordine alla assenza di specificità della causale giustificativa dell’apposizione del termine risulta ancorata a parametri difformi da quelli ritenuti a tal fine rilevanti dalla giurisprudenza sopra richiamata. Tali l’ambito territoriale di riferimento (con riguardo al contesto ove si siano verificate le esigenze sostitutive), il luogo di svolgimento della prestazione, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro, le mansioni di adibizione nel contesto del servizio di destinazione, tutti specificati – come emerge dal tenore della riprodotta causale contrattuale – a differenza di quanto sostenuto dal giudice del gravame, che ha attribuito rilevanza decisiva, nel pervenire alla conclusione della impossibilità di verifica di corrispondenza delle giornate lavorative svolte dalla D.V. con le assenze nel contesto lavorativo indicato, alla circostanza, emersa in sede istruttoria, della sostituzione da parte della predetta nel periodo indicato di un dipendente assente per malattia e non per ferie. Diversamente da quanto affermato, per ritenere soddisfatto l’onere probatorio gravante sulla società, è sufficiente l’indicazione della esigenza sostitutiva di personale assente con diritto alla conservazione del posto, così come specificata in termini generali nella causale del contratto, senza necessità di indicare, oltre alle mansioni di adibizione ed al luogo della prestazione, anche la riconducibilità dell’assenza al godimento di ferie da parte del dipendente sostituito.

Non può pertanto ritenersi che la valutazione del giudice di appello si sottragga al sindacato di legittimità invocato da Poste, attesa la omessa considerazione, conforme ai principi enunciati, di tutti quegli elementi “ulteriori” quali il luogo ove si era determinata la necessità di sostituzione del personale e la riconducibilità delle assenze di quest’ultimo a motivi idonei a determinarne il diritto alla conservazione del posto di lavoro, che sono stati dalla giurisprudenza di legittimità richiamata individuati quali parametri valutativi che, ove in punto di fatto positivamente riscontrabili, sono idonei a ritenere validamente stipulato il contratto in conformità alla previsione normativa.

In tal senso, disattesa la censura relativa alla risoluzione per mutuo consenso, in conformità ai rilievi della Corte del merito, avallati da consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cfr. da ultimo Cass. 1780/2014, Cass. 13535/2015, Cass. 20704/2015), deve pervenirsi all’accoglimento del secondo motivo, con cassazione della decisione in relazione al motivo accolto e con assorbimento degli altri relativamente alla posizione della D.V..

Va, pertanto, disposto il rinvio alla Corte di appello quanto alla posizione della D.V. per nuovo esame alla luce dei richiamati principi.

P.Q.M.

La Corte dichiara la cessazione della materia del contendere con riguardo alla posizione di L.M.A., S.R., I.F., V.C. e B.C. e compensa tra tali parti e la società ricorrente le spese del giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Accoglie il ricorso della società nei confronti di D.V.N., cassa la decisione impugnata in relazione alla posizione della predetta e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Messina.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2016

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