Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21401 del 14/08/2019

Cassazione civile sez. I, 14/08/2019, (ud. 31/05/2019, dep. 14/08/2019), n.21401

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16354/2015 proposto da:

Piaggio & C. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via San Nicola da

Tolentino n. 67, presso lo studio dell’avvocato Pototschnig Paolo,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Parlatore

Stefano, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione, in persona del curatore

Dott. T.G.P., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Francesco Denza n. 20, presso lo studio dell’avvocato Rosa Laura,

rappresentato e difeso dall’avvocato Dini Giulio, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 667/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

pubblicata il 13/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/05/2019 dal cons. Dott. FALABELLA MASSIMO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Luigi Occhiuto, con delega orale

dell’avv. Pototschnig, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato Laura Rosa, con delega,

che ha chiesto il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. -Il fallimento di (OMISSIS) s.r.l. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Pisa pubblicata in data 3 giugno 2010 con la quale erano state respinte le domande proposte dalla società in bonis nei confronti di Piaggio & C. s.p.a.: questa aveva fatto valere il mancato rispetto delle prescrizioni contenute negli artt. 5 e 6 del reg. n. 1475/95/CEE circa le condizioni di esenzione operanti negli accordi per la distribuzione di autoveicoli, avendo particolarmente riguardo agli artt. 3, 5, 6, 7 e 8 del contratto di concessione in essere tra le parti. Il Tribunale aveva osservato, in sintesi, di non poter revocare il regolamento di esenzione per categoria in questione, dal momento che l’art. 8 di esso riservava espressamente tale facoltà alla Commissione Europea e l’art. 29, comma 1, del regolamento n. 3/2001/CE estendeva bensì tale potere all’autorità antitrust degli Stati membri, ma non anche al giudice ordinario.

Nella resistenza di Piaggio, la Corte di appello di Firenze riformava la sentenza impugnata; dichiarava la nullità dell’accordo concluso inter partes per violazione della disciplina comunitaria in materia di concorrenza, quale prevista dall’art. 81 comma 1 TCE (Trattato istitutivo della Comunità Europea) -ora art. 101, comma 1 TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) – per violazione delle condizioni di esenzione di cui al cit. reg. n. 1475/95; condannava inoltre Piaggio al risarcimento del danno liquidato nella somma Euro 92.404,58, oltre rivalutazione e interessi. In estrema sintesi, il giudice del gravame reputava erronea l’affermazione su cui si fondava la decisione impugnata: osservava, infatti, che la normativa regolamentare comunitaria ha efficacia diretta nell’ordinamento nazionale e che a fronte della violazione di essa ben può configurarsi l’intervento del giudice nazionale, laddove “la revoca della esenzione è attività riservata alla Commissione Europea per la concorrenza ed all’autorità antitrust nazionale, ma inerisce ipotesi di contratti conformi al regolamento di esenzione, e che purtuttavia hanno effetti distorsivi della concorrenza che giustificano l’intervento delle autorità di controllo suddette”. Attribuiva poi rilievo alla circostanza per cui il contratto di concessione aveva ad oggetto, oltre che veicoli a due ruote, anche autoveicoli (il modello Porter): “Dato che il contratto di cessione prevede anche autoveicoli, e considerato che proprio tale commercializzazione determinò un aggiornamento di tutta l’organizzazione di vendita, si reputa che la considerazione dell’accordo vada fatta in modo unitario, con applicazione del regolamento relativo alla merce per la quale è previsto un più rigoroso sistema di garanzie e di requisiti di esenzione”. Osservava inoltre che l’accordo concluso conteneva numerose previsioni in contrasto con prescrizioni contenute negli artt. 5 e 6 del regolamento comunitario che regolavano le condizioni di ammissibilità dell’esenzione: ciò che emergeva chiaramente dal raffronto tra le clausole contrattuali e le norme regolamentari e che la parte appellata non aveva in alcun modo negato. La Corte distrettuale determinava quindi il danno nella misura sopra indicata: tale pregiudizio patrimoniale era correlato “all’obbligo assunto dal concessionario di mantenere un fornito magazzino di ricambi originali relativi ai prodotti Piaggio; magazzino che, a seguito della anticipata risoluzione, è rimasto in carico (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione perdendo però ogni valore economico, e che la Piaggio & C. s.p.a. non ha ritenuto di ritirare”.

2. – La pronuncia della Corte di Firenze, resa il 13 aprile 2015, è impugnata per cassazione da Piaggio con quattordici motivi illustrati da memoria. Resiste con controricorso la curatela fallimentare di (OMISSIS).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo è lamentata la violazione e falsa applicazione del reg. n. 1475/95/CE, non avendo (OMISSIS) prospettato in causa violazioni riconducibili a quella disciplina. Deduce la ricorrente che la controparte non aveva lamentato in giudizio illeciti concorrenziali in ambito comunitario, dolendosi di alcune pattuizioni contenute nel contratto concluso: di contro, il giudizio era stato definito applicando l’art. 81 TCE e le previsioni degli artt. 5 e 6 del richiamato regolamento, i quali – rileva -tutelavano interessi diversi da quelli fatti valere.

Il motivo è inammissibile.

Anzitutto la doglianza formulata avrebbe dovuto essere fatta valere quale error in procedendo riguardando, nella sostanza, una extrapetizione. Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Se è vero che non è indispensabile che il ricorrente, denunciando un error in procedendo, faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 è tuttavia necessario che il motivo rechi univoco riferimento alla nullità del procedimento o della decisione determinata dal vizio lamentato, essendo inammissibile, in una tale ipotesi, la deduzione della insufficiente motivazione (cfr. Cass. Sez. U. 24 luglio 2013, n. 17931, in tema di non corretta deduzione del vizio di omessa pronuncia; in senso conforme: Cass. 7 maggio 2018, n. 10862). In secondo luogo, la censura è carente della necessaria specificità: infatti, a fronte delle indicazioni desumibili dalla pronuncia di appello – in cui è stato rimarcato come l’attrice avesse dedotto, fin dall’atto introduttivo in primo grado, “la violazione degli artt. 5 e 6 del reg. CE n. 1475/95” (pag. 3 della sentenza) – la ricorrente manca di riprodurre gli stralci degli atti processuali che, sul punto, possano reputarsi rappresentativi di quanto da essa affermato. Si rammenta che la deduzione degli errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (così Cass. 13 marzo 2018, n. 6014: cfr. pure: Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; Cass. 8 giugno 2016, n. 11738; Cass. 30 settembre 2015, n. 19410).

2. – Col secondo mezzo è opposta la violazione o falsa applicazione dell’art. 81 TCE. La società istante si duole che la Corte di appello abbia dichiarato la nullità dell’accordo inter partes per violazione delle condizioni di esenzione di cui al reg. n. 1475/95/CE senza aver prima accertato se l’accordo stesso rientrasse o meno tra le intese vietate dall’art. 81, comma 1, cit. e comportasse, quindi, una restrizione della concorrenza rilevante ai fini dell’applicazione della normativa comunitaria. Essa rileva, in proposito, che l’art. 81, comma 1 TCE si applica agli accordi che possano pregiudicare il commercio tra i paesi membri e che la Commissione aveva introdotto specifiche presunzioni escludendo che gli accordi locali, i quali esaurissero i loro effetti all’interno di una sola parte di uno Stato membro, fossero di per sè in grado di pregiudicare sensibilmente il commercio tra Stati membri. Rimarca, inoltre, come la Commissione Europea avesse fissato quote di mercato al di sotto delle quali il divieto dell’art. 81, comma 1, non operava. Sostiene che l’accordo oggetto di causa spiegava i propri effetti all’interno di due sole province italiane, sicchè esso aveva certamente natura locale e non era in grado di incidere sul commercio intra-comunitario o di falsare il gioco della concorrenza in modo sensibile.

Il terzo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.. Assume Piaggio che il giudice distrettuale avrebbe disapplicato il principio che grava la parte attrice della prova dei fatti costitutivi della propria domanda: infatti -precisa – competeva al fallimento (OMISSIS) l’onere di provare che l’accordo rientrasse tra le intese vietate ex art. 81, comma 1 TCE.

Col quarto motivo è prospettata la nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c. per gravi carenze e per la sostanziale assenza di motivazione. Rileva la ricorrente che la Corte di merito aveva omesso ogni accertamento in merito alla riconducibilità dell’accordo inter partes al divieto di cui alli art. 81, comma 1 TCE, nonostante essa istante avesse sollevato la questione in entrambi i gradi di merito.

Il quinto motivo censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 81 TCE, avendo la Corte di appello applicato il reg. n. 1475/95/CE all’intero accordo di concessione e non soltanto ai Porter, unici prodotti commercializzati da Piaggio che rientravano nella categoria degli autoveicoli. L’impugnazione investe, qui, l’affermazione della Corte di merito per cui “la considerazione dell’accordo (andava) fatta in modo unitario, con applicazione del regolamento relativo alla merce per la quale (era) previsto un più rigoroso sistema di garanzie e di requisiti di esenzioni”. Secondo l’istante avrebbe errato, dunque, il giudice del gravame ad estendere la disciplina del regolamento comunitario anche ai ciclomotori e ai motoveicoli, che invece erano estranei all’ambito applicativo di esso. D’altro canto, aggiunge la ricorrente, la Corte di merito, anche con riferimento al Porter, avrebbe dovuto comunque prima verificare se l’accordo riferito a tale prodotte (l’unico rientrante della previsione del regolamento comunitario, come dedotto) violasse il divieto di intese restrittive: ciò che avrebbe dovuto negarsi, tenuto conto non solo della dimensione locale del citato accordo, ma, altresì, dell’incidenza marginale che la commercializzazione dei Porter rivestiva, in termini di fatturato, sia per Piaggio che per (OMISSIS).

Il sesto mezzo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 81 TCE per avere la Corte di appello dichiarato la nullità dell’intero contratto di concessione quale diretta sanzione conseguente alla pretesa violazione degli artt. 5 e 6 reg. n. 1475/95/CE. Viene rilevato, in proposito, che ove un accordo non soddisfi le condizioni previste da un regolamento di esenzione, occorre comunque verificare se attraverso di esso si attui l’inosservanza del divieto di intese restrittive posto dal cit. art. 81.

2.1. – I cinque motivi testè riassunti si prestano a una trattazione congiunta per la loro connessione e sono, nel complesso, infondati.

L’assunto da cui muove parte ricorrente, allorquando rileva che, ai fini del presente giudizio, andava anzitutto accertata la violazione dell’art. 81, comma 1 TCE e quindi l’esistenza di vietate intese restrittive è senz’altro corretto: come meglio si preciserà al punto 3.1, la mancata osservanza delle prescrizioni dettate per beneficiare delle condizioni di esenzione non è infatti evenienza che, in sè considerata, determini l’antigiuridicità, sul piano concorrenziale, dell’accordo concluso tra due imprese.

Va tuttavia osservato che, nel caso in esame, come ricorda la Corte di appello, il giudice di primo grado ha affermato che “i patti contenuti nel contratto stipulato tra le parti sono palesemente violativi della disposizione di cui all’art. 81.1 del Trattato CE”, anche se muniti della copertura di cui al comma 3 stesso articolo: copertura che il Tribunale ha ritenuto, come si è detto, operante, in assenza di una revoca del beneficio da parte della Commissione.

Non era allora sufficiente che Piaggio, in sede di appello, riproponesse l’eccezione vertente sull’inesistenza dell’intesa restrittiva vietata dall’art. 81, comma 1 TCE (come dedotto nel ricorso per cassazione, a pag. 28, ove il richiamo agli atti della precorsa fase di merito in cui l’eccezione stessa era stata formulata). Infatti, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345 c.p.c., comma 2, (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2), nè sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure, chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione rende irrilevante in appello l’eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest’ultimo l’esercizio ex art. 345 c.p.c., comma 2, (Cass. Sez. U. 12 maggio 2017, n. 11799).

In assenza di appello incidentale (condizionato, evidentemente), la questione, definita dal Tribunale di Pisa, circa la concreta configurazione di un illecito ex art. 81, comma 1 TCE (e cioè quanto all’esistenza di un accordo che potesse pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e avente comunque per oggetto o per effetto la restrizione della concorrenza all’interno del mercato interne), è divenuta quindi irrettrattabile. Rettamente, pertanto, la Corte di appello ha omesso di occuparsene.

Ne discende, ancora, che è vano dibattere della concreta applicabilità del regolamento comunitario ai veicoli a due ruote: come si è visto, l’illiceità dell’intesa discende dall’art. 81, comma 1, non dal mancato rispetto delle condizioni enunciate nel regolamento n. 1475/95: sicchè la mancata estensione dell’esenzione ai motoveicoli non giova alla società istante. Ma nemmeno con riguardo agli autoveicoli può porsi alcuna questione, giacchè l’accertamento del giudice di appello quanto all’insussistenza delle condizioni di ammissibilità dell’esenzione del regolamento – specificamente dettato per la distribuzione di tale categoria di prodotti – non è stata censurata. Ed è del resto significativo, in proposito, che la società istante, nel corpo del sesto motivo, non si dolga del denegato accesso all’esenzione, ma della mancata verifica, da parte del giudice di appello, di una intesa restrittiva che riguardasse i veicoli Porter (pag. 36 del ricorso): verifica che, come si già detto, risultava essere preclusa, in assenza di gravame incidentale sul punto.

3. – Col settimo motivo la ricorrente si duole della nullità della sentenza per insanabile contrasto tra la motivazione e il dispositivo. Rileva che la Corte di appello aveva affermato che le norme comunitarie di esenzione si inserirebbero automaticamente, quali nome imperative, nel regolamento contrattuale: il che – ad avviso dell’istante – presuppone una nullità parziale sanata attraverso l’inserzione programmata dagli artt. 1339 e 1419 c.c.. Per contro, in altre parti della motivazione e nel dispositivo della sentenza impugnata il giudice del gravame aveva dichiarato la nullità dell’intero contratto.

L’ottavo motivo propone una censura di violazione o falsa applicazione dell’art. 81 TCE e dell’art. 1419 c.c. per avere la Corte di merito dichiarato la nullità dell’intero contratto di concessione senza verificare se la pretesa nullità delle singole clausole comportasse tale invalidità. Deduce infatti l’istante che la nullità assoluta di cui all’art. 81, comma 1 TCE colpisce solo le clausole dell’accordo che rientrano nel divieto, mentre la ripercussione della suddetta nullità sugli altri elementi dell’accordo è regolata dal diritto nazionale. La Corte di appello aveva però dichiarato la nullità dell’intero contratto senza che controparte avesse mai affermato, e tantomeno provato, che non avrebbe stipulato il contratto senza le clausole che si ponevano in contrasto con gli artt. 5 e 6 del regolamento comunitario: ciò che assumeva rilievo in base alla regola posta dall’art. 1419 c.c., comma 1.

Il nono mezzo oppone la violazione o falsa applicazione dell’art. 81, comma 2 TCE e dell’art. 1419 c.c., comma 2 e art. 1339 c.c.. La Corte di merito – lamenta la società istante – aveva affermato che il danno risarcibile discenderebbe dalla violazione delle norme comunitarie di esenzione, al cui inserimento automatico, quali norme imperative, la parte appellante, oggi controricorrente, aveva ricondotto la domanda risarcitoria; rileva, a tale riguardo, Piaggio che le norme del reg. n. 1475/95/CE non possono considerarsi imperative.

Col decimo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c. per contraddizioni della motivazione. Viene deplorato che la Corte di appello abbia prima affermato che la domanda di danni formulata dall’appellante era da correlare alla violazione della normativa comunitaria e non a un inadempimento contrattuale, e poi ricondotto la domanda risarcitoria all’inserimento automatico delle norme comunitarie nel regolamento contrattuale: per il che non sarebbe dato comprendere, ad avviso dell’istante, a quale titolo sia stata accolta la predetta domanda.

L’undicesimo motivo è rubricato come violazione e falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., con riferimento al capo della sentenza impugnata in cui la Corte di appello aveva preso posizione sulle domande risarcitorie formulate dall’odierna parte resistente. La detta Corte – spiega la ricorrente – aveva ritenuto ammissibile la domanda risarcitoria per inadempimento contrattuale che era stata formulata da (OMISSIS), in primo grado, all’udienza di precisazione delle conclusioni: quindi tardivamente. Inoltre detta domanda risarcitoria presupponeva un accordo valido e inefficace, mentre, di contro, il giudice distrettuale aveva dichiarato lo stesso integralmente nullo; quest’ultima affermazione era poi da considerarsi giuridicamente errata, dovendosi escludere, per quanto precedentemente esposto, la natura imperativa delle norme di esenzione contenute nel reg. n. 1475/95/CE.

3.1. – Le censure in esame, pure da scrutinare in modo unitario per i profili che le accomunano, sono da ritenere fondate nei termini che seguono.

La decisione impugnata si fonda su di un patente fraintendimento: la Corte di merito ha infatti nella sostanza ritenuto che il mancato rispetto delle prescrizioni dettate dal regolamento comunitario al fine di disciplinare l’inapplicabilità dell’art. 81, comma 1 TCE agli accordi aventi ad oggetto la distribuzione di autoveicoli e la relativa prestazione del servizio di assistenza alla clientela sia in sè produttiva di nullità.

Il reg. n. 1475/95/CE, al pari di altri regolamenti di esenzione per categoria, oramai abrogati, risultano ispirati dalla finalità di rendere possibile l’inoperatività del divieto di cui all’art. 81, comma 1, agli accordi di distribuzione che favorivano l’accesso dei produttori a nuovi mercati: ciò che si riteneva potesse attuarsi, come ricordato in dottrina, attraverso le concessioni di esclusiva territoriale, le quali, pur restringendo la concorrenza (tra i distributori) all’interno di una marca (concorrenza intrabrand), poteva incrementarla tra marche diverse (concorrenza interbrand), spingendo i singoli rivenditori a commercializzare prodotti di nuove imprese proprio per il vantaggio offerto dalla detta esclusiva.

Il risultato che si prefiggono i detti regolamenti è poi specificamente attuato con la previsione normativa di elenchi di clausole che definiscono i contenuti che l’accordo può o deve presentare ai fini dell’esenzione. Così, proprio il reg. 1475/95/CE contempla all’art. 4 obblighi del distributore che non ostano all’esenzione (cfr. considerando n. 10) e all’art. 5 condizioni che devono ricorrere perchè la dichiarazione di inapplicabilità prevista dal regolamento possa produrre i suoi effetti (cfr. considerando n. 11).

Ai fini che qui interessano rileva che, proprio avendo riguardo alla funzione che è propria del regolamento di esenzione, la difformità delle singole clausole dell’accordo dalle previsioni del regolamento (es. quelle relative alla durata dell’accordo e al termine di preavviso per il recesso: art. 5, comma 2, del reg. n. 1475/95) non risulti vietata e non produca, quindi, autonomi effetti invalidanti.

In particolare, ha spiegato la Corte di giustizia che il regolamento n. 1475/95/CE e il regolamento n. 123/85/CEE (sostituito dal primo a partire dal 1 ottobre 1995), in quanto regolamenti di attuazione dell’art. 85, comma 3 del Trattato CEE (poi art. 81, comma 3 TCE), si limitano a fornire agli operatori economici del settore degli autoveicoli alcune possibilità di sottrarre i loro accordi di distribuzione e di assistenza alla clientela,-nonostante essi contengano taluni tipi di clausole di esclusiva e limitative della concorrenza – al divieto stabilito dall’art. 85, comma 1. Tuttavia, i regolamenti considerati non impongono agli operatori economici di avvalersi di dette possibilità, nè hanno l’effetto di modificare il contenuto dell’accordo o di renderlo nullo qualora non siano soddisfatte tutte le condizioni da essi stabilite (Corte giust. 30 aprile 1998, C-230/96, Cabour; nello stesso senso, con riferimento al reg. n. 123/85/CEE, Corte giust. 18 dicembre 1986, causa 10/86, VAG France; entrambe le pronunce, come quella di seguito citata, sono richiamate dalla decisione resa da Corte giust. 14 giugno 2012, C-158/11, Auto 24). In tal senso, qualora un accordo non soddisfi tutte le condizioni previste da un regolamento di esenzione, esso ricade nel divieto di cui all’art. 81, comma 1 TCE solo se ha per oggetto o per effetto di restringere sensibilmente la concorrenza all’interno del mercato comune e se può pregiudicare il commercio tra gli Stati membri (Corte giust. 2 aprile 2009, C-260/07, Pedro IV Servicios). Ta i principi sono stati ribaditi, poi, in tempi più recenti, da questa Corte (Cass. 16 dicembre 2014, n. 26365).

In tale prospettiva, non ha anzitutto fondamento l’enunciazione, contenuta nella sentenza impugnata (pag. 10), secondo cui nella fattispecie si attuerebbe una inserzione automatica di clausole, con particolare riguardo alle norme imperative che sarebbero contenute nel regolamento di esenzione: poichè, infatti, le disposizioni del regolamento non hanno portata cogente, non è con riguardo ad esse che deve misurarsi la validità dell’accordo, nè è attraverso di esse che può attuarsi un processo di eterointegrazione contrattuale.

L’affermazione di cui si è detto risulta oltretutto non coerente con la declaratoria di nullità dell’intero contratto pronunciata dalla stessa Corte di appello: la sostituzione di diritto delle clausole nulle di cui all’art. 1419 c.c., comma 2 opera infatti in caso di nullità di singole clausole contrattuali e quindi in ipotesi di nullità parziale, onde tale rimedio non può configurarsi nel caso in cui si postuli la nullità dell’intero contratto.

Per altro verso, la sentenza è censurabile anche nell’affermazione della suddetta nullità totale: pur dandosi atto che vi è giudicato interno sul punto della violazione, da parte dell’accordo, del divieto posto dall’art. 81, comma 1 TCE, competeva al giudice del merito valutare gli effetti della nullità sul contratto di distribuzione concluso.

Infatti, la nullità di pieno diritto di un accordo ai sensi dell’art. 81, comma 2 TCE (ora art. 101, comma 2 TFUE) si applica solo agli elementi dell’accordo colpiti dal divieto previsto al comma 1 dello stesso articolo oppure a tutto l’accordo se tali elementi appaiono inseparabili da esso (Corte giust. 30 giugno 1966, causa 56/65, LTM). E’ stato precisato che se tali elementi sono separabili dall’accordo, le conseguenze della nullità per tutti gli altri elementi dell’accordo o per altre obbligazioni che ne derivano esulano dal diritto comunitario: spetta pertanto al giudice nazionale valutare, alla luce del diritto nazionale da applicare, la portata e le conseguenze, per l’insieme dei rapporti contrattuali, dell’eventuale nullità di talune clausole contrattuali ai sensi dell’art. 81, comma 2 (Corte giust. 18 dicembre 1986, causa 10/86, VAG France, cit.; Corte giust. 30 aprile 1998, C-230/96, Cabour, cit.; Corte giust. 30 novembre 2006, cause riunite C-376/05 e C-377/05, Briinsteiner e Autohaus Hilgert; Corte giust. 11 settembre 2008, C-279/06, CEPSA Estaciones de Servicio). Pertanto, la nullità di pieno diritto prevista all’art. 81, comma 2, pregiudica integralmente la validità di un contratto soltanto nel caso in cui le clausole incompatibili con il comma 1 cit. art. siano inscindibili dal contratto stesso: in caso contrario, le conseguenze della nullità con riferimento a tutti gli altri elementi del contratto esulano dal diritto comunitario (Corte giust. 11 settembre 2008, C-279/06, CEPSA Estaciones de Servicio cit.), sicchè il giudice italiano deve tener conto della disciplina nazionale dettata per le nullità negoziali, avendo anzitutto riguardo alle disposizioni di cui agli artt. 1418 c.c. e ss..

Quanto fin qui osservato ha poi delle evidenti ricadute sul tema del risarcimento del danno, che la Corte di appello mostra di correlare all’anticipato scioglimento del contratto (evocando, difatti, a pag. 10 della sentenza impugnata, il meccanismo di eterointegrazione operante per la durata delle locazioni non abitative). In particolare, e per quanto qui interessa, il giudice del gravame ha ritenuto di liquidare il danno dipendente dall’obbligo assunto dal concessionario di mantenere un fornito magazzino di ricambi originali Piaggio: “magazzino che, a seguito dell’anticipata risoluzione, è rimasto in carico al a (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, perdendo però ogni valore economico, e che la Piaggio & C. s.p.a. non ha ritenuto di ritirare” (sentenza impugnata, pag. 14). E’ evidente, al riguardo, che la statuizione risarcitoria trovi fondamento, secondo la Corte territoriale, nella ritenuta nullità della clausola di durata del contratto: nullità però affermata attribuendo rilievo a una disposizione contenuta nel regolamento n. 1475/95/CE, il quale condizionava l’esenzione alla stipula di contratti di distribuzione quinquennali e ultraquinquerinali, ma che non conteneva, per quanto detto, alcuna norma imperativa in prosito.

4. – Il dodicesimo motivo propone una censura di violazione dell’art. 112 c.p.c. per vizio di ultrapetizione: si lamenta che la Corte distrettuale abbia accolto la domanda avversaria fondata sull’illecito extracontrattuale, cui (OMISSIS) aveva rinunciato in primo grado, in sede di precisazione delle conclusioni.

4.1. – Il motivo è infondato.

La Corte di appello non ha difatti riconosciuto alcuna responsabilità extracontrattuale: essa si è limitata a rilevare -errando, come si è detto – che il danno conseguiva alla violazione delle norme comunitarie di esenzione, oggetto di inserzione automatica (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata).

5. – Col tredicesimo motivo la società ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c. per avere la Corte di appello accolto la domanda risarcitoria del fallimento (OMISSIS) avente ad oggetto il magazzino dei ricambi originali Piaggio. Viene dedotto che la Corte di merito aveva condannato Piaggio alla corresponsione, in favore della curatela, della somma di Euro 92.404,58 per l’acquisto di materiale rimasto invenduto e non ritirato, a seguito dell’anticipata risoluzione del rapporto contrattuale: tale domanda era stata però introdotta solo all’udienza di precisazione delle conclusioni avanti al giudice di primo grado. In quella sede, dunque, sarebbero state fatte valere voci di danno che non erano domandate con la citazione (infatti – si precisa – con l’atto introduttivo si era richiesto il risarcimento del danno per l’anticipata risoluzione del contratto, commisurato al mancato guadagno calcolato sulla media dei ricavi degli ultimi anni del rapporto e, in via subordinata, una “indennità pari a due anni di preavviso”, da quantificare secondo il criterio appena indicato).

Il quattordicesimo mezzo oppone la violazione dell’artt. 112 c.p.c. e ha ad oggetto il tema trattato nel motivo che precede, qui affrontato sotto il profilo del vizio di ultrapetizione.

5.1. – I due motivi, in quanto attinenti alla liquidazione del danno, restano assorbiti.

6. – In conclusione, vanno accolti, nei termini esposti, i motivi dal settimo all’undicesimo, respinti i primi sei, nonchè il dodicesimo, e dichiarati assorbiti gli ultimi due. La sentenza è cassata con rinvio della causa alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese processuali.

Questi i principi cui deve conformarsi il giudice del rinvio:

“Qualora un accordo non soddisfi tutte le condizioni previste da un regolamento di esenzione, esso non è per ciò nullo, ma la nullità semmai dipende dall’accertata violazione dell’art. 81, comma 1 TCE (ora art. 101, comma 1 TFUE) avendo riguardo al fatto che esso ha per oggetto o per effetto quello di restringere sensibilmente la concorrenza all’interno del mercato comune e può pregiudicare il commercio tra gli Stati membri;

“la nullità prevista all’art. 81, comma 2 TCE (ora art. 101, comma 2 TFUE) pregiudica integralmente la validità del contratto, in base al diritto unionale, soltanto nel caso in cui le clausole incompatibili con il comma 1 cit. articolo siano inscindibili dal contratto stesso, dovendo diversamente il giudice italiano valutare gli effetti della nullità secondo il diritto interno, avendo anzitutto riguardo agli artt. 1418 c.c. e ss.”.

PQM

LA CORTE

accoglie, nei sensi di cui in motivazione, i motivi dal settimo all’undicesimo, rigetta i primi sei, oltre al dodicesimo, e dichiara assorbiti il tredicesimo e il quattordicesimo; cassa la sentenza impugnato un relazione alle censure accolte e rinvia la causa alla Corte di appello di Firenze, in altra composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 31 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2019

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