Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21401 del 10/10/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 21401 Anno 2014
Presidente: AMATUCCI ALFONSO
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA
sul ricorso 28185-2008 proposto da:
MANAJ ARTUR, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio
dell’avvocato GIANLUCA CONTALDI, rappresentato e
difeso dall’avvocato DANIELA CONSOLI giusta procura
speciale notarile del Dott. Notaio JETMIRA VERAJ in
2014

Vlora del 14/12/2007 rep. n. 3089;
– ricorrente –

1408

contro

QUESTURA FIRENZE, in persona del Questore p.t.,
MINISTERO INTERNO, in persona del Ministro p.t.,

1

Data pubblicazione: 10/10/2014

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI
12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li
rappresenta e difende per legge;

controricorrenti

avverso la sentenza n. 1340/2007 della CORTE

2477/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/05/2014 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;
udito l’Avvocato GIANLUCA CONTALDI per delega;
udito l’Avvocato FRANCESCO CLEMENTE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

2

D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 10/10/2007 R.G.N.

R.G.N. 28185/08
Udienza del 29 maggio 2014

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il sig. Artur Manaj nel 2002 convenne dinanzi al Tribunale di Firenze il
Ministero dell’Interno, esponendo che:
-) essendo cittadino straniero extracomunitario, ed avendo in Italia una
moglie in stato interessante, aveva chiesto un permesso di soggiorno

– ) il 27.4.2001 la Questura di Firenze gli rilasciò il permesso richiesto, ma
col divieto di svolgere in Italia attività lavorativa;
– ) tale provvedimento, nella parte in cui imponeva il divieto di lavoro, era
stato annullato dal Tribunale di Firenze con provvedimento del 3.8.2001,
passato in giudicato;
– ) in conseguenza dell’illegittimo divieto di lavoro apposto al permesso di
soggiorno, aveva dovuto lasciare l’Italia, nonostante gli fosse stato offerto
un lavoro.
Concludeva pertanto chiedendo la condanna dell’amministrazione convenuta
al risarcimento del danno patrimoniale non patrimoniale, quantificato in
circa 18.000 euro.

2. Con sentenza 14.6.2005 n. 2390 il Tribunale di Firenze accolse la
domanda, e condannò l’amministrazione al pagamento in favore del sig.
Artur Manaj della somma di euro 35.000.

3.

La sentenza, impugnata dall’amministrazione soccombente, venne

riformata dalla Corte d’appello di Firenze, la quale con sentenza 10.10.2007
n. 1340 rigettò la domanda di risarcimento, ritenendo che:
(a) sulla illegittimità del provvedimento amministrativo che si assumeva
fonte del danno non si era formato il giudicato, perché l’impugnazione di
esso avvenne in un procedimento di volontaria giurisdizione;
(b) il danno non patrimoniale non era risarcibile, non sussistendo alcun
reato;
(c) quanto al danno patrimoniale, l’attore non ne aveva provato né l’entità,
né la derivazione causale dalla condotta degli organi dell’amministrazione.

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temporaneo per assistere la propria coniuge;

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Udienza del 29 maggio 2014

4. Tale sentenza viene ora impugnata per cassazione dal sig. Artur Manaj,
sulla base di quattro motivi.
Ha resistito il Ministero dell’interno con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Ordine delle questioni.

esaminati per primi i motivi secondo, terzo e quarto del ricorso principale,
con i quali viene impugnata la sentenza d’appello nella parte in cui ha
escluso l’esistenza d’un danno risarcibile.
Ove, infatti, tali motivi risultassero infondati, diverrebbe superfluo
esaminare la sussistenza d’una colpa civile in capo all’amministrazione, e di
conseguenza l’esistenza o meno d’un giudicato in merito alla illegittimità del
provvedimento amministrativo che si assume fonte di danno.

2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza
impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360,
n. 5, c.p.c..
Espone, al riguardo, che la Corte avrebbe omesso di motivare la propria
statuizione di inesistenza del nesso causale tra il divieto di lavorare, imposto
dal provvedimento amministrativo che si assume illegittimo, e le
conseguenze dannose da esso derivate, in primo luogo l’espatrio dall’Italia
del ricorrente.

2.2. Il motivo è inammissibile.
Il vizio di omessa motivazione ricorre quando non sia possibile in alcun
modo ricostruire l’iter logico seguito dal giudice di merito. Non è questo il
nostro caso, nel quale una motivazione esiste pur sempre: la Corte
d’appello ha infatti spiegato che l’attore, avendo ottenuto l’annullamento del
diniego illegittimo di lavorare sin dal 3.8.2001, non era più necessitato a
lasciare l’Italia, ed anche in pendenza di reclamo avverso il relativo
provvedimento giurisdizionale ben avrebbe potuto domandare al giudice
competente la dichiarazione di efficacia immediata della decisione (così la
sentenza, pag. 6, quinto capoverso). Così argomentando, la Corte d’appello

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1.1. Secondo l’ordine logico imposto dall’art. 276, comma 2, c.p.c., Vanno

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ha mostrato di ritenere che fu la scelta del ricorrente, non necessitata, di
allontanarsi dall’Italia a porsi quale causa prima del danno.
Quella appena riassunta è comunque una motivazione e non è irrazionale,
né il ricorrente spiega da quali fonti di prova sarebbe contrastata.
Stabilire, poi, se sia anche una motivazione condivisibile nel merito, è

3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza
impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all’art. 360,
n. 3, c.p.c.. Si assume violato l’art. 2059 c.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello ha erroneamente negato la
risarcibilità nel caso di specie del danno non patrimoniale, sul presupposto
che non ricorressero i “casi previsti dalla legge” di cui all’art. 2059 c.c.. Tra
questi casi, infatti, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata
dell’art. 2059 c.c. debbono farsi rientrare tutte le ipotesi in cui l’illecito leda
diritti della persona costituzionalmente garantiti: e tra questi rientrano il
diritto al lavoro, quello ad educare la prole e quello alla dignità della famiglia,
tutti e tre vulnerati dall’illegittimo provvedimento adottato dalla Questura
fiorentina.

3.2. Il motivo è irrilevante alla luce del rigetto del secondo motivo di ricorso,
giacché il passaggio in giudicato della sentenza impugnata sul punto
dell’insussistenza del nesso di causa tra illecito e danno rende inutile
stabilire se il preteso danno fosse risarcibile o meno.
Amor di diritto e di verità induce tuttavia a soggiungere che la motivazione
del giudice d’appello non è comunque erronea in iure, ma solo meritevole di
integrazione.
Il ricorrente è nel vero quando afferma che il danno non patrimoniale è
risarcibile non solo nei casi espressamente previsti dalla legge, ma anche
nei casi in cui il fatto illecito abbia leso diritti inviolabili della persona
(principio pacifico, stabilito comunque da Sez. U, Sentenza n. 26972 del
11/11/2008, Rv. 605491, e reiteratamente ripetuto in seguito).

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questione che sfugge al sindacato di legittimità.

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Tuttavia la lesione d’un interesse giuridicamente protetto non costituisce di
per sé il “danno”. La lesione dell’interesse è la causa dell’esistenza del
danno, ma non si identifica con esso: tanto è vero che possono esservi
lesioni di diritti non seguite da danni, e danni non causati da lesioni di diritti.
Il danno risarcibile consiste invece in una perdita, causalmente collegata alla

Il concetto giuridicamente rilevante di perdita discende dalla nozione di
interesse, e del suo substrato logico: il bisogno che l’interesse è destinato a
soddisfare.
L’interesse è il vincolo che lega un soggetto ad un bene che arreca un’utilità
destinata a soddisfare un bisogno. La soddisfazione dell’interesse consiste
nell’appagamento del bisogno, cioè nel conseguimento di una utilità.
Può darsi che la lesione dell’interesse non incida sul conseguimento
dell’utilità: vuoi perché questa è stata ugualmente conseguita (esempio:
Tizio affida a Caio il compito di irrigare il suo fondo; Caio si rende
inadempiente ma il giorno fissato per l’esecuzione del contratto una forte
pioggia rende superflua l’irrigazione); vuoi perché l’utilità comunque non
sarebbe stata conseguita anche in assenza della lesione dell’interesse
(esempio: il sanitario omette di diagnosticare una grave malattia, la cui
diagnosi e cura tempestive però non avrebbero evitato l’invalidità o la morte
del paziente).
Quando però, come è la norma, la lesione dell’interesse impedisce il
conseguimento o la conservazione dell’utilità attesa o goduta, essa produce
una disutilità: essa impedisce cioè la soddisfazione di un bisogno, ovvero fa
sorgere un bisogno per l’avanti inesistente. Questa disutilità è la perdita o
danno, necessaria per la configurabilità di un danno giuridicamente rilevante.

3.3. Da quanto esposto consegue che non è sufficiente ostendere in
giudizio l’accertata violazione di un diritto e dell’interesse che lo
sottende, per invocare il risarcimento del danno. Sarà necessario
anche dimostrare l’effettiva sussistenza d’una perdita, patrimoniale
o meno, oggettivamente esistente ed apprezzabile, e comunque tale
da superare una soglia minima di apprezzabilità, da valutarsi caso
per caso con apprezzamento insindacabile del giudice di merito

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lesione d’un interesse giuridicamente protetto.

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(esattamente in questi termini si veda Sez. 3, sentenza n. 16133 del
15/7/2014).

3.4. Nel caso di specie, risulta dagli atti che il provvedimento in tesi fonte di
danni venne adottato ad aprile, venne annullato ad agosto, ed il

confermato a dicembre. Risulta, infine, che il coniuge dell’odierno ricorrente
diede alla luce un bimbo ad ottobre dello stesso anno.
Da ciò consegue che:
(a) il provvedimento di annullamento del provvedimento illegittimo fu
anteriore alla nascita del figlio del sig. Artur Manaj;
(b il provvedimento di conferma dell’annullamento seguì di poco più di un
mese la nascita del figlio del sig. Artur Manaj.
Dinanzi a questa situazione di fatto, nella quale il diritto “al lavoro, ad
educare il figlio ed alla dignità familiare” fu compresso (se compressione vi
fu) in modo reversibile e per così poco tempo, sarebbe stato preciso onere
del ricorrente allegare e provare sotto quale aspetto ed in che modo la
lesione dei suddetti diritti avrebbe provocato un “danno” giuridicamente
apprezzabile, nel senso sopra indicato: ad esempio, ansia, paura, stress, di
intensità tali da superare quella “soglia minima di apprezzabilità” al di sotto
della quale non vi è danno non patrimoniale.

3.5. Correttamente, dunque, la sentenza impugnata ha escluso l’esistenza
d’un danno non patrimoniale, non risultando superata la soglia minima di
apprezzabilità delle conseguenze ipoteticamente derivanti dalla lesione
dell’interesse giuridicamente protetto.

4. Il quarto motivo.
4.1. Col quarto motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza
impugnata sarebbe viziata da una nullità processuale, ai sensi dell’art. 360,
n. 4, c.p.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello ha rigettato la domanda di danno
patrimoniale per difetto di prova; ma l’esistenza di questo tipo di danno non
era mai stata contestata dal ministero, e dunque doveva darsi per ammessa.

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provvedimento d’annullamento – impugnato dall’amministrazione – venne

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4.2. Anche questo motivo è assorbito dal rigetto del secondo (difetto di
nesso di causa tra illecito e danno), ma è opportuno rilevare come esso
sarebbe stato altresì infondato.
Infatti colui il quale non contesti l’esistenza del danno del quale l’attore
domanda il risarcimento, non esonera certo l’attore dalla prova

ritenuto tale prova non fornita, con statuizione in fatto incensurabile in
questa sede.

5. Il primo motivo di ricorso.
5.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza
impugnata sarebbe affetta sia da una di violazione di legge, ai sensi all’art.
360, n. 3, c.p.c.; sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5,
c.p.c..
Sotto il primo profilo, si assumono violati gli artt. 91, 101, 102, 324, 737 “e
seguenti” c.p.c.; nonché l’art. 30, comma 6, d. Igs. 30.7.1998 n. 281.
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere non
formatosi il giudicato sull’illegittimità del provvedimento amministrativo che,
concedendo al ricorrente il permesso di soggiorno, gli aveva
contestualmente imposto il divieto di lavoro.

5.2. Il motivo è assorbito dal rigetto degli altri tre.

6. Le spese.
La novità della questione costituisce un giusto motivo per la compensazione
tra le parti delle spese di lite.
P.q.m.
la Corte di cassazione:
– ) rigetta il ricorso;
– ) compensa tra le parti le spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile
della Corte di cassazione, addì 29 maggio 2014.

C/01,

dell’ammontare del danno: e nel caso di specie la Corte d’appello ha

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