Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2140 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/01/2020, (ud. 28/03/2019, dep. 30/01/2020), n.2140

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10260/2016 R.G. proposto da:

Ellepi Spa;

E:

D.B. Group s.p.a., entrambe rappresentate e difese dall’Avv. Massimo

Basilavecchia e dall’Avv. Massimo Fabio, con domicilio eletto presso

l’Avv. Piero Sandulli in Roma via F. Paolucci dè Calboli, n. 9,

giusta procura speciale in calce al ricorso nonchè procura speciale

in calce alla memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata

in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto

n. 1615/15, depositata il 26 ottobre 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 marzo 2019

dal Consigliere Marco Dinapoli.

Fatto

RILEVATO

CHE:

D.B. Group s.p.a. e Ellepi s.p.a. impugnavano gli avvisi di rettifica del valore dichiarato e connessi atti di applicazione della sanzione amministrativa, emessi nei loro confronti, nella qualità rispettivamente di dichiarante doganale (La D.B. Group s.p.a.) e di importatore (la Ellepi s.p.a.) dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli per dazi ed Iva in relazione all’avvenuta importazione di capi di abbigliamento dalla Cina, emessi per non essere stato ricompreso nella dichiarazione doganale il valore dei diritti di licenza dei loghi e marchi apposti sui capi di abbigliamento importati.

La Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, in parziale accoglimento dei ricorsi riuniti, annullava le sanzioni irrogate e confermava nel resto gli atti impugnati. Avverso tale decisione proponevano separati atti di appello le società contribuenti, chiedendo l’annullamento degli atti impugnati. L’Agenzia delle Dogane resisteva e proponeva appello incidentale chiedendo la riforma della sentenza di primo grado che aveva disposto l’annullamento delle sanzioni. La Commissione Tributaria Regionale del Veneto, riuniti i procedimenti, rigettava gli appelli principali ed accoglieva l’appello incidentale.

D.B. Group s.p.a. e Ellepi s.p.a. ricorrono per cassazione con unico atto, per sette motivi, e chiedono la cassazione della sentenza impugnata. Resiste l’Agenzia con controricorso, chiedendo il rigetto del ricorso avverso. Le ricorrenti depositano memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Motivi del ricorso e controdeduzioni della convenuta.

1.1- Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 32 CDC, comma 5, (Reg. CE n. 2913 del 1992), artt. 157, 159, 143 e 160 Dac, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; erroneamente la sentenza impugnata avrebbe rilevato come indici significativi della daziabilità delle royalties gli accordi contrattuali intercorsi fra le parti, da cui emergerebbe solo un controllo di qualità sul produttore da parte del licenziante, ma non anche un controllo gestionale; la sentenza avrebbe invece omesso di accertare la ricorrenza delle condizioni specifiche cui la normativa unionale subordina la daziabilità dei diritti, in particolare -) che il pagamento dei diritti sia richiesto dal produttore all’acquirente come condizione della vendita; -) che ricorrano tutte le condizioni previste dall’art. 159 DAC, in particolare che “l’acquirente non è libero di ottenere le merci da altri fornitori non legati al venditore”.

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli eccepisce, in replica, l’infondatezza del primo motivo di ricorso perchè le clausole contrattuali denotano la ricorrenza degli indicatori evidenziati dal Commento 11 del Comitato del Codice Doganale quali rivelatori di un controllo esercitato dal licenziante sul produttore, per cui la motivazione sul punto della sentenza impugnata non meriterebbe la censura proposta ex adverso.

1.2- Con il secondo motivo di ricorso le società ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1371,1372 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3), perchè la sentenza impugnata avrebbe erroneamente applicato le norme del codice civile sulla interpretazione dei contratti.

L’Agenzia delle Dogane eccepisce, in replica, l’inammissibilità e infondatezza del secondo motivo di ricorso; la questione infatti non è stata proposta nei precedenti gradi di giudizio, e comunque la normativa nazionale invocata esaurisce i suoi effetti solo con riguardo all’applicazione dei contratti fra le parti, ed è quindi erroneamente richiamata in relazione all’oggetto del presente giudizio.

1.3- Con il terzo motivo di ricorso, proposto in via subordinata rispetto ai primi due, si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 197, artt. 17, 69 e 70, nonchè del divieto di doppia imposizione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), perchè erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto applicabile l’Iva sulle importazioni nonostante essa sia stata regolata con il meccanismo dell’inversione contabile sulla base delle fatture emesse dalla licenziante.

L’Agenzia delle Dogane replica sostenendo l’infondatezza del terzo motivo di ricorso perchè non vi è duplicazione del tributo in quanto l’Iva all’importazione è pagata sul maggior valore delle merci acquistate dal produttore extracomunitario mentre l’Iva sui diritti di licenza riguarda la fornitura di un servizio da parte del licenziante; sono diversi i presupposti soggettivo ed oggettivo dei due tributi, ed inconferente sarebbe il richiamo del ricorrente alla sentenza “Equoland”, che riguarda una fattispecie del tutto diversa da quella oggetto del presente giudizio. Richiama al riguardo Cass. Sez. V 3.2.2014 n. 2254.

1.4- Con il quarto motivo di ricorso, proposto in via subordinata rispetto ai primi tre, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per omessa pronunzia da parte della Commissione Tributaria Regionale sull’eccezione che l’IVA avrebbe potuto non essere versata all’importazione essendo buona parte della merce destinata ad un deposito fiscale, con conseguente erroneo calcolo dell’ammontare complessivo del tributo.

L’Agenzia delle Dogane replica rilevando che la sentenza impugnata contiene una motivazione esplicita sul punto, anche con richiamo alla motivazione della sentenza di primo grado.

1.5- Con il quinto motivo di ricorso, proposto in via subordinata rispetto ai primi quattro. Le società ricorrenti lamentano la violazione per mancata applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto sarebbe stato violato il principio per cui se un bene non comunitario immesso in libera pratica è destinato ad essere introdotto in un deposito Iva tale operazione deve avvenire senza il pagamento dell’Iva all’importazione.

L’Agenzia delle Dogane controdeduce eccependo l’inesistenza del principio di diritto invocato ex adverso, che in ogni caso non potrebbe estendersi fino a ricomprendere il valore non dichiarato all’importazione.

1.6- con il sesto motivo di ricorso, proposto in via subordinata rispetto ai primi cinque, si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, perchè la sentenza impugnata, in accoglimento dell’appello incidentale dell’Ufficio, avrebbe riformato la sentenza di primo grado, che aveva escluso l’applicazione delle sanzioni, con una motivazione incongruente con il motivo di appello proposto, perchè incentrata su considerazioni relative alla condotta del contribuente invece che sulla comprensibilità del senso precettivo della legge.

Replica l’Agenzia delle Dogane sostenendo l’adeguatezza della motivazione, e la conseguente infondatezza del sesto motivo, perchè la sentenza impugnata indica i motivi per cui non è applicabile il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6.

1.7- con il settimo motivo di ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, e art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), perchè la sentenza di secondo grado non ha pronunziato sulla richiesta di applicazione della continuazione fra le sanzioni, formulata già in primo grado.

L’Agenzia convenuta eccepisce, in replica, l’inammissibilità del settimo motivo di ricorso, perchè non proposto nel corso del giudizio di merito; ne rileva inoltre l’infondatezza perchè, trattandosi di violazioni sostanziali e non meramente formali, è corretta la decisione del giudice di merito che ha escluso l’applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, in coerenza con il principio affermato da Cass. Sez. V n. 10738 del 16 maggio 2014.

2. La normativa di riferimento.

2.1 Sono applicabili al caso, ratione temporis, le norme del Reg. Cee 12 ottobre 1992, n. 2913 del 1992, (codice doganale comunitario, d’ora in poi, in sigla, CDC), e quelle del Reg. Cee 2 luglio 199, n. 2454 del 1993, (disposizioni di attuazione del codice doganale comunitario, d’ora in poi, in sigla, DAC). Esse prevedono che:

-) “il valore in dogana delle merci importate è il valore di transazione, cioè il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale della Comunità” (art. 29 CDC, par. 1);

-) “il prezzo effettivamente pagato o da pagare è il pagamento totale effettuato o da effettuare da parte del compratore al venditore o a beneficio di quest’ultimo, per le merci importate e comprende la totalità dei pagamenti eseguiti o da eseguire, come condizione della vendita delle merci importate, dal compratore al venditore, o dal compratore a una terza persona, per soddisfare un obbligo del venditore” (art. 29 CDC, par 3-lett a);

-) “per determinare il valore in dogana ai sensi dell’art. 29, si addizionano al prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate… c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non sono stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare” (art. 32 CDC, par. 1, -lett. c);

-) “ai fini del titolo II, capitolo 3 del codice del presente titolo, due o più persone sono considerate legate solo se…e) l’una controlla direttamente o indirettamente l’altra” (art. 143 DAC, par. 1, -lett. e); -) “si considera che una persona ne controlli un’altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda” (allegato n. 23 note interpretative all’art. 143 DAC, par. 1, -lett. e);

-) l’art. 157 DAC, dopo aver definito cosa si intende per “corrispettivi e diritti di licenza” precisa che si deve aggiungere al prezzo pagato o pagabile un corrispettivo o un diritto di licenza al valore in dogana delle merci importate “soltanto se tale pagamento si riferisce alle merci oggetto della valutazione e costituisce una condizione della vendita delle merci in causa” ed inoltre che il corrispettivo o diritto di licenza relativo al diritto di utilizzare un marchio commerciale o di fabbrica va aggiunto al prezzo pagato o pagabile “soltanto se il corrispettivo o diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione; le merci sono commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza e l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore” (art. 157 DAC, par. 2);

-) infine “qualora l’acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo le condizioni previste dall’art. 157, par. 2, si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento” (art. 160 DAC).

3. Esame dei motivi di ricorso.

Va ora valutata la fondatezza dei motivi del ricorso alla luce anche della giurisprudenza unionale e nazionale.

3.1- Il primo motivo di ricorso è infondato. La questione di diritto qui in esame ha già costituito oggetto di diverse pronunzie conformi di questa Corte, che hanno affermato il principio, cui occorre dare continuità, in base al quale “ai fini della determinazione del valore dei prodotti fabbricati in base a modelli o mediante marchi oggetto di contratto di licenza, il corrispettivo dei relativi diritti deve essere aggiunto al valore di transazione, a norma del Reg. del Consiglio CEE n. 2913 del 1992, art. 32, come attuato dal Reg. della Commissione CEE n. 2454 del 1993, artt. 157, 159 e 160, qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei corrispettivi dei predetti diritti” (Cass. n. 8473 del 06/04/2018; Cass. n. 25438 del 12/10/2018; Cass. n. 25647 del 15/10/2018 e molte altre).

3.2- La ratio della disciplina è costituita dalla necessità che la dichiarazione doganale comprenda il valore reale della merce, e non può esservi dubbio che il valore dei capi di abbigliamento importati dalla Ellepi s.p.a. fosse costituito non soltanto dalla materia prima impiegata e dalle lavorazioni su di essa effettuate, ma anche dai noti marchi utilizzati, che costituiscono beni immateriali incorporati nella merce e che ne aumentano il valore reale. Nel senso che il valore dichiarato in dogana debba considerare tutti i fattori economicamente rilevanti v. Corte di Giustizia, 20 dicembre 2017, Hamamatsu.

3.3- Alla luce della ratio così individuata è possibile allora meglio specificare il concetto di “condizione della vendita” delle merci richiesto sia dall’art. 29 CDC, che dall’art. 157 DAC, che però non ne danno la definizione. Appare pertanto condivisibile il principio affermato dalla Corte di Giustizia per cui il requisito della “condizione della vendita” deve essere individuato con riferimento alla possibilità per il venditore di vendere la merce senza che siano pagati i diritti di licenza (Corte di Giustizia, 9 marzo 2017, GE Healthcare). In altri termini se la merce recante i loghi ed i marchi non può essere venduta nè importata qualora non vengano pagati i diritti di licenza; solo in questo caso, infatti, il valore di tali beni immateriali può essere ricompreso nel valore reale delle merci, ed essere perciò soggetto a dazio doganale.

3.4- Lo stesso significato va attribuito, in accordo con la giurisprudenza unionale, al requisito richiesto dall’art. 160 DAC, sul legame che deve esistere fra il venditore e la persona avente diritto al pagamento (il licenziante). Tale legame si concretizza nel potere di quest’ultimo di esercitare un controllo, sul venditore o sull’acquirente, “tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente” (Corte di Giustizia citata, punto 68). Il potere di controllo, dunque, è sintomatico del legame esistente fra due soggetti; l’allegato n. 23 note interpretative all’art. 143 DAC, par. 1, -lett. e), ne dà, come si è visto sopra, una nozione molto ampia. Il Commento n. 11 del Comitato del codice doganale – Sezione del valore in dogana contenuto nel documento (OMISSIS) nella versione italiana del 2007 (che costituisce atto interpretativo della norma comunitaria) individua a titolo di esempio alcuni indici indicatori della sussistenza di una situazione di controllo fra due persone, quali:

– il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente;

– il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione);

– il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente;

– il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti;

– il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci;

– il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc.;

– il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti;

– il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; -il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore;

– il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante;

– le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica);

– le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante.

La sentenza impugnata, contrariamente a quanto ritenuto dalle ricorrenti, ha motivatamente accertato in fatto l’esistenza dei presupposti richiesti dalla legge comunitaria per la daziabilità dei diritti di licenza.

3.5- L’utilizzabilità a fini interpretativi della normativa unionale del documento da ultimo citato è stata contestata dalla convenuta che, nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., ha eccepito che esso è stato abbandonato perchè non riproposto nella versione aggiornata del Compendium of Customs Valuation texts. Tale circostanza non assume il rilievo attribuitole dal deducente.. In primo luogo, infatti, non si tratta di un testo legislativo, per cui non è soggetto alla norma di cui all’art. 11 preleggi, sulla successione delle leggi nel tempo. Inoltre la eliminazione del documento dalla raccolta non appare conseguenza della perdita del suo valore interpretativo, bensì dell’abrogazione del CDC e del DAC, che ha conseguentemente determinato la necessità di abbandonare il vecchio documento di prassi e sostituirlo con un nuovo documento che si riferisca alla nuova normativa unionale: Reg. n. 952/2013/UE-CDU (nuovo codice doganale) e Reg. n. 2015/2447/UE-RE (nuovo regolamento di esecuzione). Perciò il documento (OMISSIS) non ha perso il suo valore orientativo nell’interpretazione delle norme del CDC e del DAC non più in vigore. Tanto più in considerazione del fatto che la nuova normativa unionale ha disciplinato la materia in continuità con la linea precedente, ma con una maggiore specificità, che appare naturale sviluppo della precedente interpretazione (artt. 70, 71 e 136 CDU; art. 129 RE.); il nuovo documento di prassi (OMISSIS), infatti, al riguardo significativamente così si esprime: “il criterio applicabile è capire se il venditore può vendere o se il compratore può comprare le merci senza pagare royalties o diritti di licenza. La condizione può essere implicita o esplicita. In alcuni casi sarà specificato nell’accordo di licenza se la vendita delle merci importate è subordinato al pagamento di un corrispettivo o di un diritto di licenza. Tuttavia, non è richiesto che ciò debba essere precisato negli accordi”.

3.6- Il secondo motivo di ricorso è inammissibile e infondato. La questione infatti non era stata proposta in sede di merito, ma è stata prospettata per la prima volta in questa sede. In ogni caso l’eccezione è inconferente, poichè la normativa di cui si lamenta la violazione attiene all’applicazione dei contratti fra le parti stipulanti, mentre l’oggetto del presente giudizio è diverso.

3.7- Il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso sono strettamente connessi fra di loro per cui possono essere esaminati congiuntamente. Rileva preliminarmente la Corte la mancanza di specificità di questi motivi in quanto non è stato indicato dalle ricorrenti in quali atti processuali sia contenuta la prova che l’Iva sia stata assolta mediante inversione contabile, come sostenuto dalle ricorrenti in questa sede. Inoltre la sentenza impugnata, a differenza di quanto lamentato, contiene una specifica motivazione sul punto, e riporta espressamente la motivazione della sentenza di primo grado, che dichiara di condividere. Infine le questioni proposte sono inconferenti poichè non è in discussione il pagamento dell’Iva sui valori doganali dichiarati, ma su quelli superiori accertati dall’Agenzia.

3.8- Il sesto motivo di ricorso è infondato. In realtà questo motivo censura un vizio di motivazione, più che una violazione di legge. In ogni caso il vizio lamentato non sussiste perchè la sentenza impugnata non contiene errori nell’applicazione della norma. Infatti essa precisa che non sussistono le condizioni di obiettiva incertezza sulla portata della norma, e che non ricorre l’ipotesi di errore incolpevole da parte delle contribuenti, il cui comportamento viene valutato con motivazione che appare perspicua rispetto all’esclusione della causa di non punibilità prevista dalla legge.

3.9- Il settimo motivo è stato proposto per la prima volta nella memoria depositata dalle ricorrenti in appello. In ogni caso non sussiste il vizio lamentato, trattandosi di questione che può ritenersi implicitamente rigettata dal giudice di appello, dato che le violazioni sanzionate non hanno carattere meramente formale e sono state commesse con più azioni od omissioni, per cui, come da giurisprudenza consolidata di questa Corte, non rientrano nel perimetro previsto dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, per l’esclusione della punibilità.

4.- Decisioni finali.

In base alle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali, come appresso liquidate, in favore dell’Agenzia convenuta, con vincolo di solidarietà in considerazione dell’unicità del ricorso proposto.

PQM

La Corte respinge il ricorso e condanna le ricorrenti Ellepi s.p.a. e D.B. Group s.p.a., in solido fra loro, al pagamento delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, liquidate in Euro 5.000 (cinquemila) complessivi. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto delle sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020

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