Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21398 del 18/09/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 21398 Anno 2013
Presidente: MIGLIUCCI EMILIO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

ha pronunciato la seguente

permuta

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ISTVAN IMMOBILIARE s.a.s. di Buttiglione & C., in persona del
legale rappreseméante pro tempore,

rappresentata e difesa, in

forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.
Raffaele Gargano, con domicilio eletto presso Marco Gardin in
Roma, via Laura Mantegazza, n. 24;
– ricorrente in via principale –

contro
INTESA SANPAOLO s.p.a., già BANCA INTESA s.p.a., in persona
del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa,
in forza di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv. Francesco Benatti, Aldo Penazzi e Dario Martella, con

42a/13

Data pubblicazione: 18/09/2013

domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma,
largo Torre Argentina, n. 11;
– controricorrente e contro

pore, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in
calce al controricorso, dall’Avv. Augusto Farnelli, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Roberto Ciociola in
Roma, via Bertoloni, n. 47;
– controricorrente nonché contro
SUDFONDI s.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimata e sul ricorso proposto da:
INTESA SANPAOLO s.p.a., già BANCA INTESA s.p.a., in persona
del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa,
in forza di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv. Francesco Benatti, Aldo Penazzi e Dario Martella, con
domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma,
largo Torre Argentina, n. 11;
– ricorrente in via incidentale condizionata contro
ISTVAN IMMOBILIARE s.a.s. di Buttiglione & C., in persona del
legale rappresentante pro tempore;

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COMUNE DI BARI, in persona del legale rappresentante pro tem-

- intimata e nei confronti di
COMUNE DI BARI, in persona del legale rappresentante pro tempore; SUDFONDI s.r.l. in liquidazione, in persona del legale

intimati

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari depositata
il 22 novembre 2010.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’il luglio 2013 dal Consigliere relatore Dott. Alberto
Giusti;
uditi gli Avv. Raffaele Gargano, Dario Martella e Roberto
Ciociola, quest’ultimo per delega dell’Avv. Augusto Farnelli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Pierfelice Pratis, il quale ha concluso per raccoglimento del ricorso limitatamente al motivo attinente alla domanda di restituzione.
Svolgimento del processo
l. – La s.a.s. Istvan Immobiliare, con atto pubblico in
data 2 novembre 1993 ai rogiti del notaio Michele Costantini
(rep. n. 202408; racc. n. 11237), stipulò con la s.r.l. Sudfondi un contratto di permuta di cosa presente con cosa futura.
Oggetto del negozio era il trasferimento, da parte della
prima società, dei diritti, pari a 60,18 centesimi, di compro-

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rappresentante pro tempore;

prietà indivisa su alcuni terreni siti a Bari, nel comprensorio del lungomare Perotti, a fronte dell’impegno della società
Sudfondi a cedere, entro ventiquattro mesi dal rilascio delle
concessioni edilizie, la proprietà di sei appartamenti e di

parte sulla porzione di terreni ceduta e in parte nella zona
confinante, di proprietà della medesima Sudfondi.
Le obbligazioni assunte da Sudfondi furono garantite dalla
s.p.a. Caripuglia sino alla concorrenza di lire 3.000.000.000
con contratto stipulato in data 3 dicembre 1993.
In data 19 gennaio 1995 il Comune di Bari rilasciò a Sudfondi le necessarie concessioni edilizie.
I fabbricati in questione, però, non vennero realizzati,
essendo stata accertata, in sede giurisdizionale a seguito di
esercizio dell’azione penale, l’illegittimità della lottizzazione e delle concessioni edilizie ed essendo stata disposta,
con la sentenza n. 256/01 della III Sezione penale della Corte
di cassazione in data 29 gennaio-26 marzo 2001, in esito al
giudizio a carico di Michele Matarrese, amministratore unico
della società Sudfondi, ed altri, la confisca dei relativi
terreni in favore del Comune di Bari ai

sensi

dell’art. 19

della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero
e sanatoria delle opere edilizie).

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quattordici posti macchina al coperto ancora da costruirsi in

2. – In riferimento a tali vicende, con atto di citazione
notificato il 24 gennaio 2002 la s.a.s. Istvan ha convenuto in
giudizio, dinanzi al Tribunale di Bari, la s.r.l. Sudfondi, la
Banca Intesa BCI s.p.a (avente causa di Caripuglia) e il Comu-

Con tale atto la società attrice ha chiesto: la dichiarazione di nullità,

ex

art. 1472, secondo comma, cod. civ.,

della permuta, per non essere la cosa venuta ad esistenza in
conseguenza dell’inadempimento da parte di Sudfondi delle obbligazioni assunte con tale contratto; il riconoscimento, in
proprio favore, della permanenza della titolarità della proprietà dei terreni oggetto di permuta; la condanna di Sudfondi
a porre tali terreni nella disponibilità di essa istante e a
risarcire i danni derivati dal suddetto inadempimento contrattuale; il riconoscimento dell’inefficacia dell’acquisto degli
stessi terreni da parte del Comune di Bari; la condanna di
Banca Intesa al pagamento della somma di lire 3.000.000.000 di
cui alla prestata garanzia fideiussoria.
Si sono costituiti il Comune di Bari e Banca Intesa, resistendo.
Il Comune si è difeso sostenendo che l’acquisto dei terreni
da parte sua in forza della confisca disposta dal giudice penale, era destinato a prevalere sulla posizione dei precedenti
titolari.

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ne di Bari.

Banca Intesa, a sua volta, dopo avere rilevato di essere
legittimata ad opporre al creditore garantito tutte le eccezioni spettanti al debitore principale, ivi comprese quelle
derivanti dalla nullità del contratto di permuta, illecito al-

ha chiesto ed ottenuto di chiamare in manleva Sudfondi.
A seguito della chiamata in causa si è costituita, resistendo, Sudfondi: per un verso rilevando l’incompatibilità tra
la declaratoria di nullità del contratto e la domanda di accertamento dell’inadempimento; per l’altro escludendo
l’inadempimento all’obbligo di consegna della cosa futura, e
ciò sul rilievo che, a seguito degli accertamenti effettuati
nel giudizio penale, era venuta meno, in corso di esecuzione
del contratto, la situazione giuridica da esso implicitamente
presupposta – la edificabilità dei suoli – e dunque ne era derivata la risoluzione del contratto per fatto non imputabile
alle parti.
2. – Il Tribunale di Bari, con sentenza pubblicata il 2 agosto 2005, ha rigettato tutte le domande di Istvan.
Il giudice di primo grado ha ex officio dichiarato il contratto di permuta nullo per contrarietà a norme imperative,
essendo la prestazione di Sudfondi sin dall’inizio non eseguibile a causa della non edificabilità dei terreni su cui sarebbero dovuti sorgere i fabbricati (“La controprestazione di Sudfondi . . aveva ad oggetto una cosa futura giuridicamente

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la stregua della vigente normativa paesaggistico-ambientale,

illecita, in quanto la costruzione era stata pattuita in contrasto con norme imperative penali, sebbene le parti lo abbiano appreso dopo, per effetto della [sentenza 256/01 della Corte di cassazione, costituente giudicato] ed era stata ritenuta

state rilasciate . illegittime concessioni edilizie”); ha
escluso la responsabilità contrattuale di Sudfondi (“Non vi è
stato alcun inadempimento della convenuta, i cui amministratori avevano anzi l’interesse esattamente contrario dovendo edificare i suoli; la loro assoluzione per assenza di dolo o colpa esclude . . qualsiasi responsabilità contrattuale della
convenuta, per cui mancano i requisiti dell’obbligazione risarcitoria”); ha giudicato infondata la pretesa avanzata nei
confronti del Comune di Bari, “per la prevalente ragione . .
che l’acquisizione dei suoli è avvenuta a seguito di confisca
disposta come sanzione ex art. 19 della legge n. 47 del 1985”,
sicché l’unica sede idonea per far valere la pretesa da parte
di terzi è quella dell’incidente di esecuzione in sede penale,
“non potendo una sentenza in sede civile confliggere con

possibile alla data del rogito solo perché all’epoca erano

l’autorità del giudicato penale che ha carattere pubblicistico”; infine, esclusa la natura di garanzia autonoma del contratto con cui Caripuglia si era costituita fideiussore di Sudfondi, ha rilevato che la nullità del contratto principale si
trasmetteva anche all’obbligazione fideiussoria accessoria al

0A,

contratto di permuta, comportando il rigetto della domanda nei
confronti di Banca Intesa.
3. – Con sentenza deliberata il 15 ottobre 2010 e resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 22 novembre 2010, la

Istvan Immobiliare.
3.1. – La Corte territoriale ha in primo luogo dichiarato
inammissibile, per difetto di interesse, la doglianza in merito alla ritenuta qualificazione come eccezione riconvenzionale, anziché come domanda riconvenzionale (tardiva per essersi
la parte costituita dopo la scadenza dei termini ex art. 166
cod. proc. civ.), della deduzione in ordine alla risoluzione
del contratto di permuta per fatto non imputabile, e ciò sul
rilievo che la detta qualificazione non ha avuto “alcuna incidenza sulla decisione del giudicante di rigettare tutte le domande introdotte in giudizio dall’attrice”.
Quanto al merito, la Corte di Bari ha osservato che il contratto di permuta in oggetto è nullo, dal momento che aveva
come causa l’utilizzazione a fini edificatori di un terreno
del quale la legge 8 agosto 1985, n. 431 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 1985, n.
312, recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di
particolare interesse ambientale. Integrazioni dell’articolo
82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977,
n. 616), vietava tale utilizzazione, in quanto rientrante tra

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Corte d’appello di Bari ha rigettato il gravame della società

i territori costieri compresi in una fascia della profondità
di trecento metri dalla linea di battigia, e, per ciò stesso,
sottoposto a vincolo paesaggistico. Nessun rilievo ha la circostanza che il Comune di Bari, in data 11 marzo 1992, avesse

faceva parte il terreno in questione, perché – ha precisato la
Corte d’appello, richiamando la sentenza della Corte di cassazione penale n. 256 del 2001 – i suddetti piani erano stati
approvati illegittimamente, essendo il secondo piano pluriennale di attuazione del piano regolatore generale del Comune di
Bari (che consentiva tale approvazione in applicazione della
deroga di cui al disposto dell’art. 2, comma l, della legge
della Regione Puglia 11 maggio 1990, n. 30, recante “Norme
transitorie di tutela delle aree di particolare interesse ambientale paesaggistico”, come modificato dalla legge della Regione Puglia 11 febbraio 1991, n. 2) scaduto (il 9 settembre
1991) antecedentemente alla data (1’11 marzo 1992) della suddetta approvazione.
La Corte d’appello di Bari ha escluso la configurabilità di
una responsabilità contrattuale da inadempimento in capo a Sudfondi, non potendo aversi inadempimento da parte di uno dei
contraenti alle obbligazioni nascenti da un contratto nullo.
In ordine alla sorte della titolarità del terreno, la Corte
distrettuale ha giudicato irrilevante il fatto che
l’amministratore della società Istvan sia rimasto estraneo al

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approvato i piani di lottizzazione del comprensorio, del quale

processo penale per lottizzazione abusiva, svoltosi a carico
dell’amministratore della società Sudfondi, e ciò in quanto la
confisca disposta ai sensi dell’art. 19 della legge n. 47 del
1985 (ora art. 44 del testo unico delle disposizioni legisla-

6 giugno 2001, n. 380), a differenza di quella di cui all’art.
240 cod. pen., ha natura reale e deve essere disposta anche in
danno di eventuali estranei al reato, i quali, se in buona fede, non possono ottenere la restituzione dell’immobile, ma
soltanto far valere i loro diritti in sede civile, esercitando
l’azione risarcitoria nei confronti dei danti causa, trattandosi di una sanzione amministrativa applicata dal giudice penale in via suppletiva rispetto al meccanismo amministrativo
di acquisizione dei terreni lottizzati al patrimonio del Comune.
La Corte di Bari ha infine rigettato il motivo di gravame
con cui l’appellante chiedeva che il contratto stipulato tra
Istvan e Caripuglia venisse qualificato in termini di contratto autonomo di garanzia e non di fideiussione.
4. – Per la cassazione della sentenza della Corte
d’appello, la società Istvan Immobiliare ha proposto ricorso,
con atto notificato il 5 gennaio 2012, sulla base di nove motivi.
Hanno resistito, con separati atti di controricorso, il Comune di Bari e la s.p.a. Intesa Sanpaolo, già Banca Intesa,

tive e regolamentari in materia edilizia, approvato con d.P.R.

che ha proposto, a sua volta, ricorso incidentale condiziona-

t o.
La società Sudfondi in liquidazione non ha svolto attività
difensiva in questa sede.

depositate da Istvan e da Intesa Sanpaolo.
Considerato in diritto
l. – L’esame dei primi due motivi del ricorso principale,
relativi all’escussione della garanzia bancaria e alla qualificazione di essa in termini di fideiussione o di garanzia autonoma, va in ordine logico posposto allo scrutinio dei motivi, dal terzo al sesto, concernenti la posizione di Sudfondi
e, in particolare, la sorte del contratto base di permuta del
2 novembre 1993.
2. – Con il terzo motivo (violazione o falsa applicazione
degli artt. 166, 167, secondo coma, e 112 cod. proc. civ.)
Istvan sostiene che quanto chiesto da Sudfondi con la costituzione in giudizio del 26 settembre 2002 sarebbe da intendere
come una domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto
di permuta di cosa futura per fatto non imputabile alle parti
a seguito di sopravvenuta inedificabilità dei suoli, anziché,
come ritenuto dal giudice, in termini di mera eccezione riconvenzionale. Per questo – si duole la ricorrente – la domanda
avrebbe dovuto ritenersi preclusa per intervenuta decadenza e
la sentenza di primo grado, nell’accogliere sostanzialmente le

In prossimità dell’udienza memorie illustrative sono state

istanze della convenuta, risulterebbe affetta da ultrapetizione.
2.1. – La censura è infondata.
La Corte d’appello ha esattamente evidenziato che Istvan è

dfondi, costituendosi in giudizio solo a seguito della chiamata in causa in manleva da parte di Banca Intesa, abbia inteso
proporre una domanda o una eccezione riconvenzionale di risoluzione del contratto di permuta, per fatto non imputabile alle parti, per essere venuta meno in corso di esecuzione del
contratto la condizione del bene (l’edificabilità del suolo)
da esso implicitamente presupposta. Infatti, il rigetto, da
parte del giudice di primo grado, delle domande di Istvan nei
confronti di Sudfondi è dipeso, non già dall’accoglimento della domanda (e neppure dell’eccezione) riconvenzionale di risoluzione, ma dalla declaratoria di illiceità del contratto di
permuta, ossia per una ragione rilevata ex officio dal giudice. La deduzione difensiva di Sudfondi non ha avuto, pertanto,
alcuna incidenza sulle ragioni del rigetto delle domande
dell’attrice.
3. – Con il quarto motivo (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per
il giudizio) la ricorrente in via principale lamenta che il
giudice del merito non avrebbe considerato che la nullità del
contratto non opera nell’ipotesi di lottizzazione abusiva, es-

– 12 –

priva di interesse a porre la questione se la convenuta Su-

sendo prevista una specifica sanzione quale la confisca, che,
costituendo un rimedio “diverso”, integrerebbe l’ipotesi in
cui “la legge disponga diversamente”, come indicato all’art.
1418, primo comma, cod. civ. La ricorrente sostiene, inoltre,

opere abusivamente costruite, attesa la natura sanzionatoria,
non può essere disposta nei confronti di soggetti estranei alla commissione del reato che siano possessori di buona fede,
non essendo ammissibili criteri di responsabilità oggettiva
neppure con riferimento alle sanzioni amministrative; ciò tanto più che la confisca in questione sarebbe stata nella specie
espressamente revocata dal Tribunale di Bari con ordinanza depositata in data 15 novembre 2010.
Il quinto motivo articola la medesima censura sotto il profilo della violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 e
1343 cod. civ. Si lamenta che la Corte d’appello abbia inteso
la confisca come presupposto della nullità, per violazione di
norme imperative, del contratto di permuta, mentre vi sarebbe
incompatibilità fra la nullità e la sanzione della confisca,
essendo questa posta a tutela della norma imperativa alternativamente al regime della nullità. La ricorrente osserva che
la confisca, intesa come sanzione penale, in linea con la giurisprudenza CEDU, andrebbe considerata illegittima in assenza
dell’accertamento della responsabilità del soggetto che la subisce. Nel caso di specie avrebbe errato la Corte d’appello a

che la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle

far discendere automaticamente la nullità del contratto di
permuta dal giudicato penale a cui la ricorrente è rimasta del
tutto estranea.
Con il sesto motivo (omessa, insufficiente o contradditto-

giudizio, ed in particolare in relazione alla affermata nullità del contratto di permuta del 2 novembre 1993 con la motivazione “dal momento che ha come causa la utilizzazione a fini
edificatori di un terreno del quale la legge vietava…tale
utilizzazione, sussiste causa illecita perché contraria a norme imperative”; erronea interpretazione ed applicazione oltre
che violazione dell’art. 1418 cod. civ. in relazione agli
artt. 1343 e 1345 cod. civ.) ci si duole che la Corte abbia
ritenuto illecita la causa del contratto di permuta per contrarietà a norme imperative, senza però considerare che la
permuta è un negozio tipico e che l’allegazione al contratto
del certificato di destinazione urbanistica e l’approvazione
delle lottizzazioni erano presupposti sufficienti per escluderne l’invalidità a norma dell’art. 18 della legge n. 47 del
1985, non essendo d’altra parte Istvan a conoscenza della illegittimità delle autorizzazioni urbanistiche.
3.1. – I motivi – tutti attinenti al medesimo capo della
decisione, e perciò scrutinabili congiuntamente – sono infondati, per la parte in cui non sono inammissibili.

ria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il

3.1.1. – In primo luogo, non colgono nel segno le doglianze
– particolarmente sviluppate nel quarto e nel quinto mezzo con cui si addebita alla Corte territoriale di avere ravvisato
nella confisca del terreno oggetto di permuta – disposta, a

cassazione penale con la citata sentenza n. 256 del 2001 a seguito dell’accertamento della sussistenza di una lottizzazione
abusiva – la “fonte della illiceità dell’atto” (così a pag. 38
del ricorso), ovvero il “presupposto della nullità del contratto di permuta” (così a pag. 41). Quelle doglianze, infatti, non si correlano con la ratio decidandl della sentenza impugnata, che ha ravvisato la ragione di nullità del contratto,
non nella ricordata sanzione amministrativa applicata in esito
al giudizio penale per il reato di lottizzazione abusiva a carico dell’amministratore di Sudfondi e di altri, ma nella illiceità della causa, perché il programma dà scambio divisato
in concreto dalle parti consisteva nella utilizzazione a fini
edificatori di un terreno costiero, compreso nella fascia di
profondità di 300 metri dalla linea di battigia, del quale la
legge n. 431 del 1985, di tutela delle zone di particolare interesse ambientale, vietava tale utilizzazione. Cadono, di
conseguenza, le ulteriori deduzioni difensive articolate specialmente con il quarto motivo: quelle che mirano a far derivare l’esclusione della invalidità del contratto di permuta
dalla illegittimità originaria della confisca (perché disposta

norma dell’art. 19 della legge n. 47 del 1985, dalla Corte di

in esito ad un giudizio penale in cui gli amministratori di
Istvan sono rimasti del tutto estranei) o dalle sopravvenute
vicende che hanno interessato la sanzione in questione, e ciò
in conseguenza: (a) della sentenza della II Sezione della Cor-

Sudfondi s.r.l. ed altre c. Italia (C. 75909/01), che ha accertato il contrasto della misura della confisca con l’art. 7
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali e con l’art. l del Protocollo addizionale n. l; (b) dell’entrata in vigore dell’art. 4, comma 4ter, del decreto-legge l ° luglio 2009, n. 78, recante “Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini”, inserito dalla
legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102, in tema di misure
restitutorie e risarcitorie derivanti dalla citata sentenza
della CEDU; e (c) del provvedimento del GIP del Tribunale di
Bari 4-15 novembre 2010 che, in sede di esecuzione, decidendo
a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla Corte di
cassazione, ha revocato la confisca irrogata con la più volte
citata sentenza n. 256 del 2001 della III Sezione penale della
Corte di cassazione nei confronti di Salvatore Matarrese e di
altri sette coimputati, e per l’effetto ha disposto la restituzione in proprietà dei suoli agli amministratori della Sudfondi s.r.l. e delle altre società coinvolte.
3.1.2. – Per il resto, la complessiva doglianza è infondata.

te europea dei diritti dell’uomo 20 gennaio 2009, nella causa

Il contratto di permuta di cosa presente (la proprietà, o
la comproprietà, di un terreno) contro cosa futura (la proprietà di alcuni edifici da costruire sul terreno medesimo),
quando, come nella specie, ha come causa l’utilizzazione a fi-

di 300 metri dalla linea di battigia, per la quale la legge di
tutela delle zone di particolare interesse ambientale (legge 8
agosto 1985, n. 431, di conversione del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312) vieta tale utilizzazione, è nullo, ai sensi
degli artt. 1343 e 1418, secondo comma, cod. civ., perché ha
una causa illecita, determinando una inaccettabile compressione dell’interesse, pubblico ed essenziale, assicurato dalle
norme imperative in materia urbanistico-ambientale.
L’illiceità giuridica della causa è data propriamente dal fatto che la determinazione di chi compie quel negozio è rivolta,
nel suo contenuto intrinseco, a un risultato pratico oggettivamente contrario alle norme contemplate dal legislatore statale, le quali definiscono posizioni e tutelano interessi generali fondamentali non disponibili dai privati.

ni edificatori di un terreno costiero, compreso nella fascia

Trattandosi di un negozio la cui causa è illecita per contrarietà a norme imperative, il trattamento invalidante è disciplinato dal secondo comma dell’art. 1418 cod. civ., e quindi non si richiedono, a differenza di quanto previsto nel primo comma dello stesso articolo, controlli ulteriori ai fini di
accertare un’eventuale, e sia pure eccezionale, esclusione

aA,

della presuntiva valutazione in termini di nullità. Ne consegue che la nullità neppure potrebbe escludersi – ai sensi del
criterio testuale di salvezza cui allude il citato primo coma
dell’art. 1418 cod. civ. (“salvo che la legge disponga diver-

slatore (Impedire l’utilizzazione edificatoria nella fascia
costiera) sarebbe nella specie realizzata attraverso un rimedio diverso, di tipo “amministrativo”, ossia mediante la comminatoria, come conseguenza della sentenza del giudice penale
che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, della sanzione della confisca dei terreni abusivamente lottizzati (art.
19 della legge n. 47 del 1985; ora art. 44 del d.P.R. n. 380
del 2001).
Né la nullità, quale conseguenza dell’illiceità della causa, è esclusa per il fatto che la permuta è un contratto tipico, per il quale il codice ha previsto,

ex ante,

la meritevo-

lezza della funzione economico-sociale che ne è alla base.
La prospettazione difensiva muove dall’assunto che la causa
possa assumere un carattere illecito soltanto nell’area dei
contratti innominati, mancanti, in quanto tali, di un preventivo controllo di conformità alle direttive dell’intero ordinamento, laddove per gli schemi legalmente tipici la loro regolamentazione legale sarebbe indice di conformità, per definizione, alle norme imperative (all’ordine pubblico e al buon
costume).

samente”) – per il fatto che l’esigenza perseguita dal legi-

Ma si tratta di assunto erroneo, giacché anche nei contratti tipici, quando si abbia riguardo alla funzione concretamente avuta di mira, è concepibile – come la giurisprudenza di
questa Corte non ha mancato di precisare (Sez. Un., 11 gennaio

lecita, e ciò tutte le volte in cui le parti, pur con l’uso di
uno schema negoziale preventivamente controllato e regolato
legalmente, abbiano tuttavia direttamente perseguito uno scopo
disapprovato dall’ordinamento, in quanto contrastante con i
valori o con i principi, a tutela di interessi generali fondamentali, da esso accolti. Del resto, lo stesso codice civile,
nel prevedere, all’art. 2126, che la nullità di un contratto
nominato e tipico quale è il contratto di lavoro possa discendere dall’illiceità, oltre che dell’oggetto, anche della causa, ammette che l’appartenenza di una determinata figura contrattuale ad un tipo legale non esclude la possibilità di una
nullità derivante, appunto, dalla illiceità della causa.
Né, infine, la nullità del contratto per illiceità della
causa è esclusa dalla persuasione dei contraenti di agire in
conformità delle regole del diritto per avere ignorato, senza
loro colpa (in particolare, avendo ottenuto dalla pubblica amministrazione l’approvazione di un piano di lottizzazione soltanto successivamente rivelatosi radicalmente illegittimo per
l’esistenza del vincolo ambientale), l’antigiuridicità obiettiva dell’operazione economica nella sua tensione allo scopo

– 19 –

1973, n. 63; Sez. Il, 28 gennaio 1983, n. 808) – una causa il-

concreto. La nullità del contratto per anomalia della causafunzione è, infatti, qualificazione assorbente dell’attività
negoziale volta ad un risultato contrario ai principi e ai valori riconosciuti e promossi dall’ordinamento; e poiché alla

sati non abbiano corso, la buona fede soggettiva delle parti,
quand’anche determinata da rassicurazioni ricevute e da affidamenti creati dalla pubblica amministrazione, non è di ostacolo al dispiegarsi della reazione negativa dell’ordinamento
nei confronti di quel risultato e di quegli effetti. In altri
termini, l’illiceità derivante da contrarietà della causa a
norme imperative discrimina l’attività contrattuale con riguardo ai risultati che essa si prefigge, a prescindere dalla
condizione soggettiva, di buona o mala fede, delle parti autrici dell’operazione negoziale.
4.

Passando, a questo punto, allo scrutinio delle censure

che si rivolgono contro il capo della sentenza relativo alla
garanzia prestata dalla banca, con il primo motivo (omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione, circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio) la ricorrente in via
principale denuncia l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte
territoriale nel qualificare il contratto del 3 dicembre 1993
in termini di fideiussione anziché di contratto autonomo di
garanzia. Sostiene Istvan che la Corte territoriale non avrebbe tenuto nella dovuta considerazione la presenza, in esso,

– 20 –

base di essa vi è l’interesse generale a che gli effetti divi-

della clausola “a prima richiesta”, mentre avrebbe dato eccessivo peso ai ripetuti richiami all’obbligazione garantita,
confondendo così l’accessorietà con il collegamento fra negozi
tra loro indipendenti. Con il secondo motivo (violazione e

riferimento all’art. 1944 cod. civ. circa l’erronea applicazione del criterio interpretativo della causa del contratto di
garanzia e quindi degli artt. 1362, 1363 e 1367 cod. civ.) la
ricorrente ribadisce che il contratto stipulato con Caripuglia
andrebbe qualificato come contratto autonomo di garanzia in
base alla corretta applicazione della norme codicistiche
sull’ermeneutica del contratto. La comune volontà delle parti
in tal senso sarebbe desumibile dall’espressione “semplice richiesta a mezzo raccomandata” e dalla previsione della garanzia del pagamento della somma oggetto del contratto quale corrispettivo della perdita dell’immobile ceduto, indipendentemente dalle ragioni e dalla causa che avrebbero potuto, in
qualsiasi modo, inficiare il contratto di permuta. Sintomo
della natura non accessoria dell’obbligazione di garanzia sarebbe anche il fatto che, dalla prima richiesta di escussione
della garanzia in data 27 marzo 1997 sino al 15 febbraio 2001,
controparte non avrebbe mai sollevato alcuna eccezione in merito alla validità dell’obbligazione garantita.
4.1. – La ricorrente è priva di interesse alla qualificazione del contratto in termini di garanzia autonoma, e quindi

falsa applicazione di norme di diritto, ed in particolare con

allo scrutinio nel merito delle censure articolate con i due
motivi.
L’assunzione da parte del garante, nel contratto di garanzia autonoma, dell’impegno di effettuare il pagamento a sem-

tamente, la rinunzia ad opporre le eccezioni inerenti al rapporto principale, ivi comprese quelle relative all’invalidità
del contratto da cui tale rapporto deriva; ma quell’impegno,
seppure incondizionato, non è assoluto, perché incontra il duplice limite dell’escussione fraudolenta o abusiva (a fronte
della quale il garante può opporre l’exceptio doli), e del caso in cui le predette eccezioni siano fondate sulla nullità
del contratto presupposto per contrarietà a norme imperative o
per illiceità della sua causa (Cass., Sez. Un., 18 febbraio
2010, n. 3947; e, prima ancora, Cass., Sez. I, 14 dicembre
2007, n. 26262; Cass., Sez. III, 3 marzo 2009, n. 5044).
E poiché nella specie la banca, nel costituirsi in giudizio, ha eccepito di non essere tenuta al pagamento della garanzia in ragione della illiceità del contratto di permuta, e
poiché detta nullità del contratto base, per illiceità della
causa, è stata accertata dal giudice del merito e convalidata
da questa Corte con il rigetto dei motivi dal quarto al sesto
del ricorso principale, l’accertamento del regime autonomo del
contratto di garanzia (anziché della natura accessoria, tipica
della fideiussione codicistica, ravvisata dal giudice del me-

plice richiesta del beneficiario della garanzia comporta, cer-


rito all’esito della valutazione del tenore letterale e della
portata complessiva delle clausole del contratto intercorso)
sarebbe, in ogni caso, privo di utilità pratica, perché
l’autonomia del

Garantievertrag non può, comunque, consentire

ditore, si tenda ad assicurare il risultato che l’ordinamento,
con la nullità per illiceità della causa del contratto base,
ha inteso, appunto, vietare.
5. – Il settimo e l’ottavo motivo si riferiscono al capo
della sentenza relativo ai rapporti tra Istvan e il Comune di
Bari. In particolare, con il settimo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 676, secondo coma, cod. proc. pen.,
con riferimento all’art. 263, terzo comma, cod. proc. pen., e
dell’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001; violazione dell’art.
112 cod. proc. civ. e vizio di motivazione, per non avere la
sentenza deliberato in ordine alla domanda di emissione di
sentenza dichiarativa dell’inefficacia dell’acquisizione dei
terreni, da parte del Comune di Bari, dei terreni oggetto della permuta, a seguito della confisca) si sostiene che la sentenza impugnata contrasterebbe con quanto affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in merito alla natura penale
della confisca, e di conseguenza alla sua non applicabilità a
soggetti terzi rispetto al procedimento penale in cui la stessa è stata adottata. Con l’ottavo motivo (in riferimento
all’art. 112 cod. proc. civ., omessa pronuncia sulla domanda


– 23 –

che, attraverso l’escussione della garanzia da parte del cre-

relativa alla nullità ed inefficacia della trascrizione della
sentenza n. 256/01 emessa dalla III sezione penale della Corte
di Cassazione, con la quale veniva disposta l’acquisizione dei
suoli al Comune di Bari, a seguito della confisca) si eviden-

rato l’invalidità della trascrizione eseguita dal Comune di
Bari in danno alla ricorrente.
5.1. – Allo scrutinio dei motivi occorre premettere che,
proprio nel caso già esaminato e deciso dalla III Sezione penale di questa Corte, è successivamente intervenuta la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (II Sezione) 20
gennaio 2009, divenuta definitiva il 20 aprile 2009, la quale
ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 7 della
Convenzione (che riconosce il principio di legalità in materia
penale) e dell’art. l del Protocollo n. l (che riconosce il
diritto di proprietà). La Corte di Strasburgo ha ritenuto che
la confisca già prevista dall’art. 19 della legge n. 47 del
1985 (ed attualmente dall’art. 44 del testo unico approvato
con il d.P.R. n. 380 del 2001) ha natura sostanzialmente penale, perché non tende alla riparazione pecuniaria di un danno,
ma mira, nella sua essenza, a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge.
Ricadendo la confisca nell’ambito dell’art. 7 della Convenzione, l’irrogazione di tale “pena” senza che sia stata stabilita
l’esistenza del dolo o della colpa dei destinatari di essa,

– 24 –

zia che la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente conside-

costituisce infrazione dello stesso art. 7, una corretta interpretazione del quale – ha precisato la Corte europea – esige, per punire, un legame di natura intellettuale (coscienza e
volontà) che permetta di rilevare un elemento di responsabili-

In questo contesto, presupposto essenziale ed indefettibile
per l’applicazione della confisca in oggetto, non è più, soltanto, che sia stata accertata l’effettiva esistenza di una
lottizzazione abusiva; occorre, per effetto della decisione
della Corte di Strasburgo, un’ulteriore condizione, che investe l’elemento soggettivo del reato, consistente nel necessario riscontro quanto meno di profili di colpa (anche sotto gli
aspetti dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza) nella condotta del soggetto sul cui patrimonio la misura viene ad incidere (tra le tante, Cass. peri., Sez. III, 27
aprile 2012-4 ottobre 2012). E colui che deduca la illegittimità, nei suoi confronti, della confisca disposta ai sensi
dell’art. 19 della legge n. 47 del 1985 (oggi art. 44 del
d.P.R. n. 380 del 2001) – qualora non abbia partecipato al
procedimento penale nel quale è stata applicata la misura e
sia quindi rimasto estraneo ad esso – pur non avendo ovviamente diritto di impugnare la sentenza nella quale la sanzione
ablatoria è stata applicata, può chiedere la restituzione del
bene confiscato, non già promuovendo una controversia sulla
proprietà del bene dinanzi al giudice civile, ma esperendo in-

– 25 –

tà nella condotta dell’autore materiale del reato.


cidente di esecuzione dinanzi al giudice penale ai sensi degli
artt. 665 e 676 cod. proc. pen.: e se restano precluse, in
quella sede, le valutazioni riferite alla configurazione della
lottizzazione abusiva che sia stata già oggettivamente riscon-

dell’esecuzione potrà tuttavia sicuramente valutare, sia pure
ai soli fini riguardanti la confisca, l’implicazione (che deve
essere caratterizzata quanto meno da profili di colpa) nella
lottizzazione medesima del soggetto che, dichiarandosi terzo
estraneo, chiede la restituzione (della parte di sua pertinenza) del compendio immobiliare confiscato (cfr. Cass. pen.,
Sez. III, 27 aprile 2012-4 ottobre 2012, cit.).
5.2. – Tanto premesso, occorre tuttavia dare rilevanza assorbente al mutamento della situazione di fatto riferita alla
confisca del terreno in oggetto, sopravvenuto rispetto alla
deliberazione in camera di consiglio della sentenza qui impugnata.
E’ stata la stessa Istvan a dedurre (a pag. 40 del ricorso)
che la confisca è stata revocata dal Tribunale di Bari, in
funzione di giudice dell’esecuzione penale, con ordinanza del
4 novembre 2010, depositata in cancelleria il 15 novembre
2010, a seguito di annullamento con rinvio della Corte di cassazione sul ricorso depositato in cancelleria in data 22 settembre 2009 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. E la
nuova situazione di fatto descritta nel ricorso è convalidata

trata nella sentenza penale divenuta irrevocabile, il giudice

dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (II
Sezione) 10 maggio 2012, divenuta definitiva il 24 settembre
2012, la quale, nel condannare lo Stato italiano al risarcimento dei danno subito da Sudfondi per effetto della riscon-

– che “a seguito della sentenza in via principale che concludeva per la violazione dell’articolo 7 della Convenzione e dell’articolo l del Protocollo n ° l in ragione
della confisca dei beni delle ricorrenti, il Governo
(Presidenza del Consiglio dei ministri) sollecitò al tribunale di Bari la revoca della sanzione” della confisca;
– che, “visto che tale istanza venne respinta il 26 ottobre
2009, il Governo propose ricorso per cassazione” e “1’11
maggio 2010 la Corte di cassazione accolse il ricorso e
annullò con rinvio la decisione Impugnata”;
– che “il 4 novembre 2010 il tribunale di Bari accolse
l’istanza di revoca della sanzione e ordinò la restituzione dei terreni confiscati ponendo a carico dello Stato
le spese per la trascrizione della decisione presso la
Conservatoria dei registri immobiliari”;
– che “il comune di Bari presentò un ricorso per cassazione
e domandò la sospensione dell’esecuzione della decisione
del tribunale”, “la domanda di sospensione fu respinta il
17 gennaio 2011” e “avendo il comune di Bari rinunciato

– 27 –

trata violazione della Convenzione, ha riconosciuto:

al ricorso per cassazione, la decisione del tribunale di
Bari divenne definitiva il 4 novembre 2010”.
Il descritto mutamento della situazione di fatto impone di
dichiarare l’inammissibilità del settimo e dell’ottavo motivo

zione della materia del contendere. Infatti, l’intervenuta revoca, da parte del giudice dell’esecuzione penale, della confisca (revoca disposta al fine di dare attuazione ad una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha accertato il pregiudizio ai diritti garantiti dalla Convenzione determinato da una sentenza del giudice nazionale divenuta definitiva), fa venir meno l’utilità di una pronuncia che riconosca l’inopponibilità alla permutante, rimasta estranea al processo penale, dell’acquisto operato dal Comune stesso.
6. – Con il nono motivo (violazione e falsa applicazione
dell’art. 1218 cod. civ. nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo
per il giudizio) si articolano due censure.
Da un lato si sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare la situazione di inadempienza di Sudfondi con criteri diversi da quelli adottati in sede penale per accertarne
la responsabilità, rimanendo, per il profilo qui in oggetto,
le due valutazioni alternative. L’assenza di responsabilità di
Sudfondi non potrebbe farsi derivare dal fatto che
l’amministratore di quest’ultima è stato assolto in sede pena-

– 28 –

per sopravvenuta carenza di interesse derivante dalla cessa-

le, per mancanza dell’elemento soggettivo del reato: sia perché l’art. 1218 cod. ciy. prevede presunzioni di responsabilità a carico dell’obbligato ben diverse dal regime probatorio
previsto dal sistema penale; sia perché Sudfondi si era e-

progetto rispetto agli strumenti urbanistici.
Dall’altro ci si duole che la Corte d’appello, pur muovendo
nella prospettiva della nullità del contratto di permuta, non
abbia deciso in ordine alla espressa domanda di Istvan di declaratoria della persistenza dei beni in capo alla ricorrente
e non abbia emesso la conseguente pronuncia restitutoria.
6.1. – Correttamente la Corte d’appello ha confermato il
rigetto della domanda risarcitoria avanzata da Istvan nei confronti di Sudfondi per l’inadempimento nel quale sarebbe incorsa la convenuta “per non aver fatto conseguire” a Istvan
“le porzioni oggetto di permuta”. Essendo il contratto di permuta nullo per illiceità della causa, e quindi non producendo
alcun effetto, non è configurabile un inadempimento imputabile
in relazione alla mancata esecuzione degli obblighi nascenti
dal contratto (Cass., Sez. Il, 2 agosto 1990, n. 7743; Cass.,
Sez. Lav., 28 novembre 2008, n. 28456; Cass., Sez. Il, 16 febbraio 2012, n. 2248).
La censura è, sotto questo profilo, infondata.
6.2. – Il motivo è invece fondato in relazione all’altro
profilo in cui si articola.

– 29 –

spressamente obbligata a rendersi garante della regolarità del

414

Infatti, essendo stata la confisca revocata ed essendo stato il terreno oggetto del contratto di permuta restituito a
Sudfondi, non vi sono più ostacoli all’adozione delle pronunce
conseguenti alla inefficacia (in senso lato) del contratto di

ragione della sua nullità, è improduttivo di effetti per un
vizio strutturale e genetico, i terreni ceduti in permuta da
Istvan a Sudfondi con il rogito del 2 novembre 1993 sono tuttora in comproprietà di Istvan, dal cui patrimonio non sono
mai usciti, e Sudfondi è tenuta a restituirli alla cedente.
7. – Il ricorso principale, rigettato o dichiarato inammissibile in relazione agli altri motivi, è accolto, in parte,
limitatamente al nono motivo.
L’esito del ricorso principale nei confronti di Intesa
Sanpaolo determina l’assorbimento del ricorso incidentale della banca, espressamente condizionato.
Cassata,

in parte qua,

la sentenza impugnata, le pronunce

(a) di accertamento della persistente proprietà di Istvan dei
diritti indivisi sui terreni di cui al contratto di cessione
in permuta e (b) di condanna di Sudfondi alla restituzione,
possono senz’altro essere adottate da questa Corte ai sensi
dell’art. 384 cod. proc. civ., non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto; ferme le altre statuizioni della sentenza della Corte d’appello ed il regolamento delle spese ivi
contenuto.

permuta. In altri termini, poiché il contratto di permuta, in

La complessità delle questioni trattate in questa sede è
giusto motivo per l’integrale compensazione tra tutte le parti
delle spese del giudizio di cassazione.
PER QUESTI

moTrvI

– rigetta il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo
del ricorso principale,

dichiara inammissibili il primo

ed il secondo e, per sopravvenuta cessazione della materia del contendere, il settimo e l’ottavo;
– accoglie,

in parte, nei sensi di cui in motivazione, il

nono motivo del medesimo ricorso;
– cassa, in relazione alla censura accolta, la sentenza impugnata e,

ferme le altre statuizioni in essa contenute,

in parziale accoglimento della domanda attrice, dichiara
la s.a.s. Istvan Immobiliare tuttora proprietaria dei diritti indivisi sui terreni ceduti in permuta con il contratto in data 2 novembre 1993 e condanna la s.r.l. Sudfondi alla restituzione di detti terreni all’attrice Istvan;
– dichiara

assorbito il ricorso incidentale condizionato

della s.p.a. Intesa Sanpaolo;
– dichiara integralmente compensate tra tutte le parti le
spese del giudizio di cassazione.

La Corte così provvede:

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, 1’11 luglio

2013.

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