Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21398 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/10/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 06/10/2020), n.21398

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20733-2014 proposto da:

F.LLI G. DI G.P. SEBASTIANO SNC, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA

DI SAN LORENZO IN LUCINA 26, presso lo studio dell’avvocato STUDIO

MARULLO DI CONDOJANNI FRANCESCO E SERGIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARULLO DI CONDOJANNI FRANCESCO, giusta procura a

margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 176/2013 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

MESSINA, depositata il 08/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/02/2020 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo

di ricorso e assorbiti i restanti;

udito per il ricorrente l’Avvocato ARNANA per delega dell’Avvocato

MARULLO DI CONDOJANNI che ha chiesto l’accoglimento del primo motivo

di ricorso e cassazione della sentenza impugnata;

udito per il controricorrente l’Avvocato BACOSI che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La F.lli G. s.n.c., in persona del suo legale rappresentante p.t., nonchè i soci G.P. e G.S. hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 176/27/2013, depositata dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. staccata di Messina, l’8 luglio 2013, con la quale, in riforma della decisione di primo grado, erano rigettati i ricorsi introduttivi dei contribuenti avverso gli avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle entrate relativamente all’Ilor della società ed all’Irpef attribuita ai soci D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 5, per gli anni d’imposta 1996 e 1997.

Hanno rappresentato che nel 1998 militari della GdF avevano avviato una verifica fiscale nei confronti della società, durante la quale, con autorizzazione della competente Procura della Repubblica di Messina, erano eseguiti anche accertamenti bancari. La verifica, inizialmente relativa agli anni d’imposta 1996/1998 e poi estesasi agli anni precedenti, si concludeva con i processi verbali di constatazione, nei quali emergevano redditi non dichiarati e, solo per l’anno 1996, costi non deducibili.

Erano seguiti gli avvisi di accertamento nei confronti della società e dei soci, tutti opposti, riuniti e annullati dalla Commissione tributaria provinciale di Messina, con sentenza n. 208/06/03.

La sentenza, appellata dall’Amministrazione finanziaria, era riformata dalla Commissione tributaria regionale sicula, che con la pronuncia ora al vaglio della Corte aveva rigettato i ricorsi introduttivi dei contribuenti. Il giudice regionale aveva sostenuto in particolare che le emergenze degli accertamenti bancari, rituali e legittimi, avevano evidenziato il maggior reddito della società, senza che i contribuenti avessero fornito prove contrarie idonee a contrastare gli addebiti dell’Ufficio.

I ricorrenti censurano con undici motivi la sentenza:

con il primo per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, artt. 17 e 31, e dunque per nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per mancata comunicazione dell’avviso di trattazione dell’udienza;

con il secondo per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per nullità della sentenza, mancando di motivazione e di ratio decidendi sul rigetto delle emergenze probatorie allegate dai contribuenti;

con il terzo per violazione del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 32, comma 1, D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 51, comma 2, art. 2697 c.c., artt. 24,53 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per malgoverno dei principi regolatori delle presunzioni “legali” in materia di accertamenti bancari;

con il quarto per violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver tenuto conto che l’Ufficio non aveva contestato le prove allegate dai ricorrenti in giudizio;

con il quinto motivo per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e L. 27 luglio 2000 n. 212, art. 7, , in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver tenuto conto che la motivazione degli avvisi di accertamento fosse nulla per acritica ripresa dal processo verbale di constatazione;

con il sesto per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118disp. att. c.p.c., art. 111 Cost., in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa decisione sulla contestata riconducibilità alla società di conti correnti intestati a soggetti estranei ad essa;

con il settimo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in merito alla errata riferibilità alla contabilità sociale delle movimentazioni bancarie relative ai conti correnti intestati alle persone fisiche;

con l’ottavo motivo per violazione e falsa applicazione degli artt. 329,350 e 64 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Commissione, ritenendo legittimo l’iter procedimentale seguito per l’espletamento degli accertamenti bancari, non ha tenuto conto che la polizia giudiziaria non aveva rispettato le regole di acquisizione di sommarie informazione da persone indagate;

con il nono, in subordine all’ottavo motivo, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, nonchè dell’art. 23 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver tenuto conto che non è nei poteri della GdF invitare a comparire soggetti diversi da quelli indicati dalla legge, peraltro in locali diversi da quelli previsti dalla legge;

con il decimo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32,D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione dei principi del contraddittorio e del diritto di difesa;

con l’undicesimo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, , dell’art. 2697 c.c., degli artt. 3 e 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver ricondotto ogni singola operazione bancaria nel reddito d’impresa, senza tener conto dei costi sostenuti per la loro produzione.

Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza, con rinvio o decisione della causa nel merito.

L’Agenzia delle entrate si è costituita, contestando tutti i motivi del ricorso, di cui

ne ha chiesto il rigetto.

La parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, il cui accoglimento assorbirebbe ogni censura di merito, viene sollevata questione di nullità processuale, dolendosi i contribuenti della violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 17 e 31, per l’omessa comunicazione dell’avviso di trattazione dell’udienza. In particolare si assume che la comunicazione dell’udienza, all’esito della quale la causa fu trattenuta in decisione e decisa, e alla quale i contribuenti non parteciparono, fu eseguita al vecchio domicilio eletto dal difensore. Non essendo andata a buon fine, ci si limitò all’affissione della comunicazione all’albo.

In sentenza si riferisce che “il Collegio rileva in via preliminare che la segreteria ha effettuato D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 31 la rituale comunicazione dell’avviso di trattazione in data odierna della presente controversia al difensore dell’appellato (presso il domicilio eletto in via Risorgimento, 171-Messina) cui è stata conferita la procura con il ricorso introduttivo. Preso atto che non è stato possibile eseguire la suddetta comunicazione e che agli atti non risulta pervenuta alcuna variazione di domicilio, la segreteria ha proceduto in data 24 aprile 2013, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, n. 3, all’affissione della suddetta comunicazione all’albo della stessa segreteria.”.

Tale sistema di comunicazione è criticato perchè per un verso, si afferma, il difensore non era tenuto a comunicare la variazione del suo domicilio, dovendo provvedere la segreteria a identificare quello nuovo, per altro, quand’anche non sufficiente tale omissione, non era rituale l’affissione della comunicazione all’albo, richiedendosi invece il deposito presso la segreteria.

Con riferimento alla prima delle violazioni formali denunciate, ossia l’omessa comunicazione dell’avviso di trattazione d’udienza, un recente orientamento di questa Corte, per l’ipotesi in cui la parte non abbia dato notizia dell’avvenuto trasferimento dello studio del difensore presso cui era stato eletto domicilio, ha affermato che la regola prevista in via residuale dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 3, che consente l’effettuazione delle notificazioni e delle comunicazioni presso la segreteria della commissione, si applica non solo nei casi, espressamente menzionati, di originaria carenza o inidoneità delle indicazioni fornite dalla parte, ma anche nelle ipotesi in cui, non essendo stato adempiuto l’onere di comunicare le successive variazioni, la sopravvenuta inefficacia delle predette indicazioni renda in concreto impossibile procedere alla notificazione o alla comunicazione (Cass., 5749/2016; 20086/2017).

Si contrappone a tale interpretazione quella, meno recente, secondo cui nel processo tributario, le variazioni del domicilio eletto o della residenza o della sede, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 1, sono efficaci nei confronti delle controparti costituite dal decimo giorno successivo a quello in cui sia stata loro notificata la denuncia di variazione; tale onere è tuttavia previsto per la sola ipotesi del domicilio autonomamente eletto dalla parte. Al contrario, poichè l’elezione di domicilio presso lo studio del procuratore ha la mera funzione di indicare la sede dello studio del procuratore medesimo, il difensore domiciliatario non ha a sua volta l’onere di comunicare il cambiamento di indirizzo del proprio studio. In tal caso resta sempre onere del notificante l’effettuazione di apposite ricerche per identificare il nuovo luogo di notificazione, ove quello a sua conoscenza sia mutato, dovendo la notificazione essere effettuata al domicilio reale del procuratore anche se non vi sia stata rituale comunicazione del trasferimento alla controparte, ai sensi dell’art. 17, comma 3, cit. (Cass., 13366/2013; 26313/2005).

Trattasi di un orientamento coerente con quello consolidato nel giudizio civile, in cui si ritiene che il procuratore domiciliatario non ha l’onere di comunicare il cambiamento di indirizzo del proprio studio, essendo previsto tale onere soltanto per il domicilio eletto autonomamente, mentre l’elezione operata dalla parte ha solo funzione di indicare la sede dello studio del procuratore, sicchè in questi casi è onere del notificante ricercare il nuovo luogo di notificazione, ove quello a sua conoscenza sia stato mutato (3297/2003; 743/2000; 7990/1992).

E’ anche vero che il più recente orientamento interpretativo, che presuppone un generale obbligo di comunicazione di variazione di domicilio, escludendo obblighi di ulteriori indagini a carico del notificante per l’ipotesi di notifica non andata a buon fine a causa del mutamento di domicilio non comunicato, invoca un precedente relativo al caso in cui il domicilio di esecuzione della notifica dell’atto d’appello era quello autonomamente eletto dalla contribuente, mutato e non comunicato (Cass., n. 6939/2006). Non si trattava dunque di domicilio eletto presso il difensore, sicchè la fattispecie esaminata, prevista dall’art. 17, comma 1, cit., era riconducibile, nel solco di una giurisprudenza consolidata, all’ipotesi più rigorosa nei confronti del destinatario della notifica, che già esonerava il notificante da ulteriori indagini per l’ipotesi di omessa comunicazione della variazione di domicilio. Stessa fattispecie era trattata in altri precedenti analoghi (ossia 13698/2005 e 8618/2003).

E tuttavia, in materia di contenzioso tributario, questo Collegio ritiene che l’omessa comunicazione del mutamento di indirizzo, ancorchè riferito a quello elettivo presso lo studio del proprio difensore, esoneri comunque e sempre l’Ufficio dal compimento di ulteriori ricerche, e di conseguenza renda corretta e compiuta la comunicazione tramite deposito nella segreteria, prescritto dall’art. 17, comma 3, cit..

Ciò perchè la comunicazione dell’avviso di trattazione d’udienza non corrisponde ad un’attività di notificazione a cura della parte, ma ad una funzione espletata dall’Ufficio pubblico della Commissione tributaria. Si tratta cioè di una attività di comunicazione posta a carico della struttura giudiziaria, che non può essere onerata, per l’ipotesi in cui il difensore abbia omesso di comunicare la variazione del suo domicilio professionale, dell’esecuzione di ricerche al fine della identificazione del nuovo domicilio. E ciò anche nella prospettiva del corretto e celere svolgimento delle attività processuali organizzate dall’Ufficio, cui vanno ricondotte specifiche ricadute sui tempi del processo, e dunque sulla concreta attuazione del principio costituzionale della sua ragionevole durata. A tanto si aggiunga che “l’operatività di una disciplina speciale per il procedimento tributario con riguardo alle notificazioni e comunicazioni (e, in particolare, la disciplina prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, con specifico riguardo all’ultimo comma), preclude la mera trasposizione dei principi di diritto affermati con riguardo al processo civile.” (Cass., 13320/2006).

Sotto tale profilo il motivo non merita accoglimento.

Esso è tuttavia parimenti fondato laddove con esso si denuncia che, non avendo la comunicazione raggiunto il destinatario, l’Ufficio si è limitato alla sua affissione “all’albo”, senza un formale deposito in segreteria.

A parte che non risulta comprensibile in cosa sia consistita tale affissione, non meglio spiegata in sentenza, nè la difesa dell’Amministrazione ha chiarito alcunchè sul punto, è certo in ogni caso che la comunicazione eseguita presso un domicilio non più attuale poteva dirsi formalmente compiuta solo nell’ipotesi in cui essa fosse stata correttamente depositata in segreteria, risultando nel fascicolo d’ufficio del procedimento.

Ciò non è avvenuto nel caso di specie, in contrasto alle prescrizioni normative dettate dall’art. 17 cit., con l’effetto che sotto questo profilo il motivo trova accoglimento.

L’accoglimento del motivo assorbe gli altri. La sentenza va pertanto cassata e il giudizio va rinviato alla Commissione regionale della Sicilia, sez. staccata di Messina, che in diversa composizione provvederà alla decisione anche con riferimento alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. staccata di Messina, che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

 

 

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