Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21395 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/10/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 06/10/2020), n.21395

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 21555 del ruolo generale dell’anno 2013

proposto da:

Montebello Real Estate s.r.l., in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Miccinesi Marco,

Pistolesi Francesco e Puri Paolo per procura speciale a margine del

ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, via XXIV Maggio, n. 43,

presso lo studio di quest’ultimo difensore;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa ex lege dell’Avvocatura generale dello Stato,

presso i cuì uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è

domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Toscana, n. 19/29/2013, depositata in data 6

febbraio 2013;

udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 15 gennaio

2020 dal Consigliere Triscari Giancarlo.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Montebello Real Estate s.r.l. un avviso di accertamento con il quale, con riferimento all’anno di imposta 2005, aveva recuperato l’Iva detratta in relazione all’acquisto, da parte della medesima società, di un fabbricato a destinazione abitativa, in quanto ritenuta oggettivamente indetraibile attesa la suddetta destinazione e la mancanza dei requisiti soggettivi di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19-bis, comma 1, lett. i); avverso il suddetto atto impositivo la società aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Prato che lo aveva accolto, avendo ritenuto che era stato violato l’obbligo di contraddittorio preventivo e, in ogni caso, che l’acquisto delle unità immobiliari da destinare a “casa vacanza” consentisse la detrazione Iva; avverso la pronuncia del giudice del gravame l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Toscana ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: non era stato violato l’obbligo del contraddittorio preventivo; la società non aveva mai destinato le unità immobiliari a “casa vacanza” e non le aveva mai utilizzate come tali, sicchè non poteva ritenersi che gli immobili fossero strumentali al momento in cui erano stati acquistati;

avverso la pronuncia del giudice del gravame ha proposto ricorso la società affidato a cinque motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso;

la società ha altresì depositato memoria;

il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. Giacalone Giovanni, ha deposito le proprie osservazioni scritte con le quali ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, e, in generale, del principio del contraddittorio, anche alla luce del principio comunitario del legittimo affidamento, sancito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10;

il motivo di ricorso in esame, in particolare, si struttura sulla base di due ragioni di censura sostanzialmente connessi;

in primo luogo, parte ricorrente censura la sentenza per avere ritenuto che non era stato violato l’obbligo del contraddittorio preventivo sebbene la società non era stata messa nelle condizioni di esporre le proprie ragioni prima dell’emanazione dell’avviso di accertamento; tale ragione di censura è stata, poi, ulteriormente illustrata nella memoria, ove la ricorrente ha posto l’attenzione sulla circostanza che, secondo la giurisprudenza unionale, sussiste un obbligo del contraddittorio preventivo in materia di tributi armonizzati, quale quello in esame, e che, nella fattispecie, il processo verbale di constatazione non recava le contestazioni mosse alla società, ma era stato adottato a seguito della mera acquisizione di documenti;

in secondo luogo, con il presente motivo di ricorso si prospetta, altresì, la violazione del principio del legittimo affidamento, tenuto conto della circostanza che, dopo l’acquisizione della documentazione, l’amministrazione finanziaria aveva disposto la sospensione del rimborso dell’Iva ma, successivamente, aveva comunicato la revoca del provvedimento di sospensione ed erogato il rimborso, senza alcuna segnalazione di anomalie riscontrate in sede di analisi dei documenti acquisiti;

il motivo è infondato;

procedendo sulla base di quanto illustrato dalla parte ricorrente nella propria memoria, cioè della circostanza che l’accesso da cui era derivato il processo verbale di constatazione del 31 maggio 2006 aveva la sola finalità di acquisizione della documentazione, va osservato che questa Corte (Cass. civ., 8 maggio 2019, n. 12094) ha precisato, sul punto, che, in materia di garanzie del soggetto sottoposto a verifiche fiscali, il processo verbale, redatto ai sensi della L. n. 4 del 1929, art. 24, deve attestare le operazioni compiute dall’Amministrazione, sicchè, nel caso di accesso mirato all’acquisizione di documentazione fiscale, è sufficiente l’indicazione, in esso, dei documenti prelevati, ferma restando la decorrenza del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, dal rilascio di copia del predetto verbale, senza che sia necessaria l’adozione di un’ulteriore verbale di contestazione delle violazioni successivamente riscontrate;

il suddetto principio muove dalla considerazione che le garanzie statutarie operano già in fase di accesso, concludendosi anche tale attività con la sottoscrizione e la consegna del processo verbale di chiusura delle operazioni svolte, e ciò alla stregua delle prescrizioni del decreto IVA, art. 52, comma 6 ovvero dell’art. 33 decreto sull’accertamento; siffatte garanzie si applicano anche agli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione, sia perchè la citata disposizione non prevede alcuna distinzione in ordine alla durata dell’accesso, ed è comunque necessario, anche in caso di accesso breve, redigere un verbale di chiusura delle operazioni (in senso conf. Cass. 2593/14 e Cass. 15624/14), sia perchè, anche in caso di “accesso breve”, si verifica quella peculiarità che, secondo Cass. sez. unite n. 24823/2015, giustifica, quale controbilanciamento, le garanzie di cui al cit. art. 12, peculiarità consistente nella autoritativa intromissione

dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli” (Cass. civ., n. 11471/2017);

pertanto, si è ritenuto che “in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, impone la redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni in ogni caso di accesso o ispezione nei locali dell’impresa, ivi compresi gli atti di accesso finalizzati alla raccolta di documentazione, e solo dal rilascio di copia del predetto verbale decorre il termine di sessanta giorni trascorso il quale può essere emesso l’avviso di accertamento ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. dal rilascio del verbale di consegna, senza che possa, invece, ritenersi che lo stesso debba ricevere un successivo verbale di chiusura delle operazioni di verifica ove le stesse non siano state compiute presso la sede del contribuente, ma presso gli uffici finanziari 212, art. 12, comma 7” (Cass. civ., 17 aprile 2015, n. 7843);

ne consegue che, in caso di accesso mirato, la garanzia al contraddittorio endoprocedimentale per il contribuente è assicurata dalla concessione del termine dilatorio di sessanta giorni decorrente dal rilascio del verbale di consegna, sicchè è il riconoscimento di tale termine in favore del contribuente che costituisce la modalità attraverso cui il legislatore interno garantisce la tutela del contraddittorio preventivo;

nè è corretta la ragione di censura relativa alla violazione del legittimo affidamento di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10,;

in primo luogo, va osservato che la questione della violazione del legittimo affidamento, di per sè autonoma rispetto a quella della violazione del contraddittorio preventivo, non risulta prospettata nei precedenti gradi di giudizio, sicchè, sotto tale profilo, non è stato osservato l’obbligo di specificità del motivo di ricorso;

in ogni caso, va precisato che il principio del legittimo affidamento postula che la condotta del contribuente sia successiva a quella tenuta dall’amministrazione finanziaria esplicitata mediante atti cui lo stesso si sia conformato;

tale principio, dunque, non può essere fatto valere nel caso di specie, in cui il comportamento della contribuente, consistente nella detrazione dell’Iva sull’acquisto di fabbricati destinati a civile abitazione, non è stato in alcun modo il riflesso o la conseguenza di atti della pubblica amministrazione, ad esso precedenti, che avevano indotto la società a fare affidamento sulla legittimità del suddetto comportamento; ciò, peraltro, a prescindere dai limiti di applicabilità della medesima previsione normative a fattispecie diverse da quelle relative alla irrogazione di sanzioni o richiesta di interessi, cui fa esplicito riferimento la previsione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2,;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, nonchè della Direttiva n. 112 del 2006, artt. 167 e 168, , per avere negato il diritto alla detrazione dell’Iva, non essendo ostativa la circostanza, valorizzata dal giudice del gravame, che la società non aveva utilizzato le unità immobiliari acquistate per l’esercizio dell’attività di “casa vacanze”; il motivo è infondato;

la pretesa impositiva si fonda sulla circostanza che la detrazione dell’Iva relativa all’acquisto di fabbricati con destinazione abitativa si poneva in contrasto con la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19-bis1, che prevede una deroga all’ordinaria detraibilità dell’Iva disciplinata dall’art. 19;

in particolare, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19-bis1, prevede, alla lett. i), la preclusione della detrazione dell’Iva in caso di acquisto di fabbricati (…) a destinazione abitativa, salvo che per le imprese che hanno ad oggetto esclusivo o principale dell’attività la costruzione o la rivendita dei predetti fabbricati. Al periodo successivo prevede, inoltre, che la disposizione non si applica per i soggetti che esercitano attività che danno luogo ad operazioni esenti di cui all’art. 10, n. 8), che comportano la riduzione della percentuale di detrazione a norma dell’art. 19, comma 5, dell’art. 19bis;

la suddetta previsione normativa preclude, quindi, in linea di principio, la detrazione dell’Iva assolta in relazione all’acquisto di immobili a destinazione abitativa, mentre la suddetta preclusione non opera per le imprese di costruzione o di rivendita e va precisato che l’indetraibilità dell’imposta riguarda i fabbricati abitativi che risultano tali secondo le risultanze catastali e, in linea generale, prescinde dall’utilizzo effettivo degli stessi;

questa Corte (Cass. civ., 8 aprile 2016, n. 6883) ha precisato, sul punto, che, “in tema di Iva, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19-bis, comma 1, lett. i), esclude che l’imprenditore possa portare in detrazione l’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando l’operazione sia relativa a fabbricati a destinazione abitativa, salvo che per le imprese che hanno ad oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la costruzione dei predetti fabbricati; ne consegue che, ove l’operazione non rientri nell’oggetto esclusivo o principale dell’attività, il compratore non ne dovrà dimostrare solo l’inerenza e la strumentalità in base a elementi oggettivi e in concreto, secondo la generale previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, ma dovrà dimostrare anche che il bene non rientra più nella categoria dei beni a destinazione abitativa, per i quali, in base ad un criterio legale oggettivo è prevista l’esclusione della detrazione”;

pertanto, le suddette previsioni normative, inerenti quindi alla materia della detrazione dell’Iva e dei limiti della stessa, comportano, unitariamente considerate, che, ove l’impresa non svolga attività di costruzione o di rivendita (non applicandosi quindi la deroga alla preclusione), la stessa deve provare, sulla scorta di elementi oggettivi, che l’operazione in concreto sia inerente all’esercizio effettivo dell’attività di impresa e sia destinata, almeno in prospettiva, a procurarle un lucro, e tale onere probatorio risulta, peraltro, rafforzato laddove l’operazione, come nel caso di specie, consista nell’acquisto di un bene per il quale vige espressamente il regime dell’esclusione della detrazione in quanto fabbricato ad uso abitativo, perchè compiuto da parte di un’impresa che svolge l’attività di locazione immobiliare;

in definitiva, in tal caso, oltre che porsi un problema di inerenza dell’acquisto per l’attività di impresa, assume rilevanza il profilo della effettiva riconduzione del bene (fabbricato ad uso abitativo) ad una categoria per la quale non vige l’esclusione della detrazione;

la previsione normativa di cui all’art. 19-bis, cit., va pur sempre ricondotta nell’ambito dei principi unionali di limiti alla detraibilità dell’Iva ove gli acquisti non siano inerenti all’esercizio dell’attività di impresa, in quanto specifica che, quando l’oggetto dell’acquisto è un bene immobile avente destinazione abitativa, il requisito dell’inerenza, genericamente previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, va valutato in ragione della specifica attività esercitata dall’impresa;

va precisato, a tal proposito, che il sistema dell’Iva è volto ad esonerare l’imprenditore dall’Iva dovuta o assolta in tutte le sue attività economiche, per garantire la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività in questione, purchè esse siano a loro volta soggette ad iva (Corte giust. 16 febbraio 2012, C-118/11, EON Aset Menidjmunt, punto 43);

in questo contesto, la Corte di giustizia ha fatto particolare riferimento alla necessità di verifica dell’intenzione del soggetto passivo di destinare all’attività d’impresa l’immobile acquistato (Corte giust. 19 luglio 2012, causa C-334/10);

sicchè, la questione va risolta, ai fini della corretta interpretazione della previsione normativa in esame nell’ambito della disciplina unionale, nella necessaria verifica, in concreto, dell’inerenza del bene immobile acquistato con l’attività di impresa, anche tenendo conto di una valutazione meramente prospettica;

la pronuncia del giudice del gravame, quindi, è in linea con i suddetti principi, in quanto ha accertato che, in concreto, il fabbricato acquistato, al di là della configurazione della destinazione abitativa, non avesse le caratteristiche per l’utilizzo a “casa vacanza” e non era mai stato utilizzata tal fine, pervenendo alla considerazione conclusiva della non strumentalità degli stessi all’attività imprenditoriale svolta dalla ricorrente, sicchè non sussiste alcuna violazione della previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, ovvero dei principi unionali in materia di neutralità dell’imposta;

con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 543, comma 2;

in particolare, parte ricorrente censura la sentenza per non avere correttamente applicato i principi in materia di presunzione della prova, non potendo, dagli atti del giudizio, valorizzati dal giudice del gravame, evincersi la sussistenza di un fatto noto da cui inferire la considerazione conclusiva della mancata effettiva destinazione dell’immobile a “casa vacanze”;

il motivo è infondato;

il giudice del gravame, tenuto conto della documentazione in atti, è pervenuto alla considerazione conclusiva che: a) l’immobile non aveva le caratteristiche fisiche che ne consentisse l’uso per casa vacanze, b) l’acquirente mai le ha destinate a tale impiego produttivo e mai le ha utilizzate come tali; c) infine, quel che conto ai fini fiscali è ciò che è stato acquistato e la destinazione che al complesso fu impressa subito dopo l’acquisto, escludendo, quindi, che i 14 appartamenti fossero beni strumentali “ab initio”;

alle suddette considerazioni conclusive, dirette ad escludere non solo la destinazione a casa vacanze del fabbricato, ma anche il mancato effettivo utilizzo dello stesso secondo la suddetta destinazione, il giudice del gravame è pervenuto indicando una serie di circostanze fattuali, espressamente indicate a supporto dell’argomento logico seguito;

in particolare, oltre che fare richiamo alla lettera del 15 dicembre 2005, nella quale non si fa riferimento alla struttura para-alberghiera “casa per vacanze”, ma a “residence”, all’abbandono della richiesta di subentro nell’autorizzazione, alla mancanza di documentazione attestante lo svolgimento di una qualche attività produttiva riferita al suddetto immobile, il giudice del gravame ha fatto riferimento, altresì, al contenuto della comparsa di intervento nel giudizio promosso da B.M. nei confronti della società venditrice, ed ha, in questo contesto, valorizzato quanto affermato dalla stessa società ricorrente in ordine al fatto che era da considerarsi mera clausola di stile quella, contenuta nell’atto preliminare di vendita, in cui si era precisato che l’immobile era in regola con le norme urbanistiche e che erano stati rispettati tutti gli adempimenti previsti dalla attuali norme per la gestione delle c.a.v.; il giudice del gravame, inoltre, ha tenuto conto del fatto che la ricorrente, al momento di concedere in locazione a due società l’immobile per uso esclusivo di casa vacanze, non stipulò un contratto di affitto di azienda di due rami di essa;

sicchè, le considerazioni conclusive, come sopra delineate, hanno trovato supporto su di una serie di elementi presuntivi singolarmente e complessivamente valutati nella loro valenza inferenziale;

differentemente da quanto sostenuto dalla parte ricorrente, la questione da essa prospettata non attiene alla non sussistenza di un fatto noto dal quale pervenire alle considerazioni conclusive, quanto alla valutazione dei diversi documenti, valorizzati dal giudice del gravame, sulla cui base lo stesso ha ritenuto che, nella fattispecie, non era stata provata la destinazione a casa vacanze del fabbricato e l’effettivo utilizzo dello stesso secondo la suddetta destinazione;

le questioni, quindi, prospettate dalla ricorrente, in ordine alla non idoneità dei documenti a provare la destinazione a casa vacanze del fabbricato e l’effettivo utilizzo dello stesso secondo la suddetta destinazione, implicano, piuttosto, una rivalutazione di merito della suddetta documentazione ed una richiesta di riesame del contenuto degli stessi non consentiti in questo giudizio;

con il quarto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa o comunque insufficiente motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nel fatto che gli immobili acquistati dalla ricorrente non avessero le caratteristiche fisiche che ne consentissero l’uso per casa vacanze;

il motivo è infondato;

va infatti precisato che nel presente giudizio trova applicazione la previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella riformulazione disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. con L. 7 agosto 2012, n. 134 e, a tal proposito, questa Corte ha più volte precisato (da ultimo, Cass. civ., 22 agosto 2019, n. 21572; Cass. civ., 8 ottobre 2014, n. 21257) che, in conseguenza della suddetta modifica, è denunciabile in cassazione solo l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;

sicchè, il vizio motivazionale previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico;

sotto altro profilo (Cass. Sez. Un., n. 8053/2014) la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè può essere denunciata in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;

tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione;

nel caso di specie, non si ravvisa, in primo luogo, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, avendo il giudice pronunciato specificamente non solo sulla questione della mancanza della destinazione a “casa vacanze” del fabbricato, ma anche su quella dell’effettivo utilizzo dello stesso secondo la suddetta destinazione, avendo espressamente escluso, sulla base della documentazione agli atti, che l’acquirente mai le ha destinate a tale impiego produttivo e mai le ha utilizzate come tali; sicchè, proprio in ordine alla suddetta questione, il giudice del gravame si è pronunciato;

nè è dato ravvisare un’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, risultando, per quanto detto, illustrato il percorso motivazionale seguito ed esternato il ragionamento logico sulla cui base ha fondato la legittimità della pretesa;

con il quinto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116, c.p.c., per avere il giudice del gravame omesso l’apprezzamento della prova consistente nell’avvenuta applicazione dell’aliquota al 10%, tipica delle attività ricettizie, sulla fattura di Euro 705,00, rendendo una motivazione apparente, non avendo motivato sulle ragioni per cui ha ritenuto non rilevante la suddetta circostanza ai fini dell’effettivo esercizio dell’attività;

il motivo è inammissibile;

va osservato, a tal proposito, che il giudice del gravame ha espressamente tenuto in considerazione la questione della fattura in esame, ritenendo che la stessa, peraltro non prodotta, non potesse essere riconducibile alla gestione di “casa vacanze”, anche tenuto conto del fatto che, negli anni successivi, nessun altro ricavo o provento era stato registrato, sicchè ha ritenuto che quell’incasso, di per sè isolato, non potesse assumere alcuna rilevanza al fine di sostenere la tesi difensiva di parte ricorrente;

in sostanza, il giudice del gravame ha espresso la propria valutazione in ordine alla non rilevanza a fini probatori del ricavo di Euro 705,00, tenuto conto del fatto che dalla dichiarazione dei redditi si evinceva solo l’indicazione del suddetto importo e che non risultando la produzione della fattura, non vi erano elementi per ricondurre il suddetto importo, peraltro isolato e così modesto, ad una attività di gestione di una casa-vacanze;

non può quindi ragionarsi in termini di motivazione apparente, nè sussiste violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., posto che essa non presuppone una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione;

di conseguenza, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione oramai all’interno del perimetro delineato dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5);

in conclusione, i primi quattro motivo sono infondati, il quinto inammissibile, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 13.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

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