Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21394 del 17/10/2011

Cassazione civile sez. I, 17/10/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 17/10/2011), n.21394

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27332/2005 proposto da:

C.A. (c.f. (OMISSIS)), C.R. (C.F.

(OMISSIS)), C.S. (C.F. (OMISSIS)),

P.A. (c.f. (OMISSIS)), T.F.

(C.F. (OMISSIS)), A.M.A. (C.F.

(OMISSIS)), S.G. (C.F. (OMISSIS)),

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

CARONNA Andrea, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI CONTESSA ENTELLINA;

– intimato –

sul ricorso 30897/2005 proposto da:

COMUNE DI CONTESSA ENTELLINA (c.f. (OMISSIS)), in persona del

Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI TRE

OROLOGI 20, presso l’avvocato FUSCO GIANLUCA, rappresentato e difeso

dall’avvocato GURRERA LELIO, giusta procura a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.A., C.R., C.S., P.

A., T.F., A.M.A., S.

G., domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA

CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato CARONNA ANDREA, giusta procura a margine del ricorso

principale;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 933/2004 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 23/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2011 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

GURRERA che ha chiesto il rigetto del ricorso principale,

accoglimento dell’incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 20/4/2001, il Tribunale di Palermo, decidendo sui giudizi riuniti promossi, il primo da C. A., il secondo da C.S., S.G. e C.R. ed il terzo da T.F., P. A. ed A.M.A., condannava il Comune di Contessa Ermellina a restituire agli attori gli appezzamenti di terreno illegittimamente occupati per la realizzazione della strada di collegamento tra il detto comune e lo scorrimento veloce (OMISSIS), nonchè al risarcimento per il periodo di occupazione illegittima, per gli importi, rispettivamente, di L. 16.042.142, L. 8.629.074 e L. 27.119.000, nonchè al pagamento del costo delle opere di riduzione in pristino, rispettivamente, pari a L. 203.385.002, L. 169.127.502 e L. 817.919.513.

Il Tribunale, rilevato che la dichiarazione di pubblica utilità, implicita nell’approvazione del progetto, non indicava i termini di inizio e fine lavori ed espropriazioni, e che il Sindaco non aveva neppure inoltrato all’Assessore competente la richiesta di proroga triennale della dichiarazione di P.U. di cui alla Delib. G.M. n. 457 del 1995, riteneva del tutto illegittima l’occupazione, ed escludeva altresì che le opere avessero comportato l’irreversibile trasformazione; perveniva alle statuizioni risarcitorie e restitutorie, aderendo ai conteggi del C.T.U..

Interponeva appello il comune di Contessa Entellina; gli appellati chiedevano il rigetto e proponevano appello incidentale.

La Corte d’appello, con sentenza depositata il 23/7/2004, ha condannato il Comune a risarcire agli appellati il danno per la riduzione del valore degli immobili di proprietà, negli importi di Euro 32.822,28, a favore di T.F., P. A. ed A.M.A., di Euro 19.391,06, a favore di C.A., e di Euro 10.430,46, a favore di C. S., S.G. e C.R., oltre interessi sugli importi in linea capitale, anno per anno rivalutati, al tasso del 5%, a decorrere dal 22 febbraio 1991 e sino al 31/12/1998, e al tasso legale dal 1/1/1999 al soddisfo, ed a corrispondere le somme rispettivamente di Euro 2.532,95 a favore di T.F., P.A. ed A.M.A., Euro 1495,84 a favore di C.A., ed Euro 804,44 a favore di C. S., S.G. e C.R., per il mancato godimento dei fondi per il periodo dal 20/2/1998 al 6/8/2001, con gli interessi legali sulle somme capitali di Euro 2400,00, Euro 1430,00 e Euro 750,00, dal 20/2/1998 al saldo, nonchè alla corresponsione a favore di ciascun gruppo attore, della maggior somma di Euro 2992,86 per spese vive; ha confermato nel resto le statuizioni della sentenza del Tribunale; ha compensato per un terzo tra le parti le spese del grado, condannando il Comune a rifondere la restante parte agli appellati, appellanti incidentali ed ha posto a carico del Comune per l’intero le spese della C.T.U..

La Corte del merito ha ritenuto infondato il secondo motivo dell’appello principale, con cui il Comune lamentava il vizio di ultrapetizione, atteso che la richiesta risarcitoria, formulata nel petitum con riferimento alle “causali specificate in premessa”, includeva il risarcimento per l’occupazione illegittima ed il costo dei lavori di ripristino, implicando in particolare la proposizione di domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno in forma specifica.

Ha rilevato che nel caso non sussistevano i due elementi caratterizzanti l’occupazione appropriativa, atteso che la dichiarazione di pubblica utilità, in assenza dei termini iniziali e finali per l’esecuzione dei lavori e della procedura espropriativa, doveva ritenersi invalida e che, alla stregua degli accertamenti del C.T.U., non contestati in fatto, non risultava l’irreversibile trasformazione del terreno, a ragione dell’intervento eseguito, di movimento terra con parziale apertura della pista, senza opere di fondazione.

Dovevano quindi ritenersi ab origine illegittime la privazione del godimento del terreno e l’occupazione temporanea d’urgenza dello stesso.

La Corte del merito ha ritenuto legittimato passivo il Comune, e non già l’impresa appaltatrice, atteso che nel caso si discuteva della spettanza del risarcimento dei danni spettante ai proprietari per l’occupazione posta in essere in assenza di valida dichiarazione di pubblica utilità.

Ha ritenuto invece fondato il motivo del Comune, con cui lo stesso si era lamentato del quantum, chiedendo che ai sensi dell’art. 2058 c.c., comma 2, venisse disposto, in luogo del risarcimento in forma specifica, il risarcimento per equivalente, con riferimento alla differenza di valore dei beni, prima e dopo l’occupazione.

A riguardo, la Corte, premesso che l’azione esercitata dagli attori, in quanto basata sull’illecito aquiliano, pur avendo agito in origine per la retrocessione del bene, era da ritenersi a carattere personale, ha rilevato che il C.T.U. aveva stimato il costo necessario per la riduzione in pristino in L. 817.912.513 per la proprietà T., L. 203.385.000 per la proprietà C. A. e L. 169.127.502 per la proprietà C.S., e valutato i terreni a seminativo in L. 20.000.000 ad ettaro, quelli ad uliveto, in L. 25.000.000 ad ettaro, e gli immobili, in totale L. 341.966.000, per il fondo T., L. 174.385.000, per il fondo C. A., e L. 255.324.000, per il fondo C.S., evidenziando che le superfici coinvolte nei lavori erano, rispettivamente, il 12%, il 14% ed il 5% del totale.

Alla stregua del rilievo della eccessiva onerosità per il debitore del risarcimento in forma specifica, la Corte del merito ha ritenuto di potere provvedere, secondo quanto chiesto dal Comune, al risarcimento per equivalente, ex art. 2058 c.c., comma 2, in ragione della differenza di valore dei beni prima e dopo l’occupazione, negli importi quantificati dal C.T.U..

Atteso che la stima era stata effettuata alla data del 22 febbraio 1991, data dell’immissione in possesso, la Corte palermitana ha riconosciuto la rivalutazione ai valori attuali e gli interessi come specificati.

La Corte del merito, in accoglimento del motivo degli appellanti incidentali, ha riconosciuto l’indennità di occupazione legittima sino alla data della riconsegna, del 6/8/01, liquidata sulla base del criterio degli interessi legali, e poichè il saggio relativo era variato nel tempo (5% per il 1988, 2,50% per gli anni 1999-2000, 3,50% per i mesi del 2001), ha ritenuto di utilizzare il saggio medio del 3%, da cui le somme conseguenti; ha riconosciuto la rivalutazione, individuata, per comodità di conteggio, con riferimento al periodo medio dell’ottobre 1999 (coeff. 1,119), da cui gli importi determinati, oltre interessi compensativi al tasso legale sulle somme capitali intermedie, sino al soddisfo.

Ha infine accolto il motivo dell’appello incidentale relativo alla liquidazione delle spese vive del giudizio di primo grado, atteso che il Tribunale aveva omesso di considerare che sul costo totale della C.T.U. andavano computati gli oneri per Iva e Cnpaia.

Avverso detta pronuncia propongono ricorso per cassazione C. A. + 6, sulla base di tre motivi.

Il Comune ha depositato controricorso, ed ha proposto ricorso incidentale, affidato ad unico motivo.

C.A. ed altri hanno depositato controricorso al ricorso incidentale, nonchè memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Con il primo motivo del ricorso principale, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 2058 c.c., comma 2.

Secondo i ricorrenti, la norma in oggetto è inapplicabile e la Corte del merito ha adottato una argomentazione inidonea a sorreggere il decisum, atteso che il risarcimento in forma specifica e per equivalente sono solo delle forme specifiche collegate con l’obbligo nascente dall’art. 2043 c.c., che prevede azione tipicamente personale; l’art. 2058 c.c., comma 2, non si applica nel caso di lesione di diritto reale, come le azioni tendenti alla riduzione in pristino, e quando il creditore non abbia chiesto il risarcimento per equivalente; nella specie, gli attori hanno chiesto le somme necessarie per le opere di ripristino, nella convinzione di non potere ottenere la condanna ad un facere, essendo debitore una pubblica amministrazione.

2.- Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 2058 c.c., comma 2, e vizio di motivazione, rilevando che, in subordine, la Corte del merito ha errato nel valutare l’eccessiva onerosità facendo il raffronto tra il costo dei lavori occorrenti per il ripristino ed il valore del terreno occupato, senza considerare i danni verificatisi nelle parti non occupate dalla P.A..

I ricorrenti deducono che la restituzione, avvenuta sulla base della sentenza di I grado, non ha eliminato i danni alle porzioni non oggetto di occupazione e quindi, al fine di giudicare l’eccessiva onerosità, va tenuto presente l’intero danno causato dal fatto illecito.

1.3.- Con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione dell’art. 1284 c.c.: la Corte del merito ha condannato il Comune alla corresponsione degli interessi, sulle somme capitali via via rivalutate, nella misura del 5%, per il periodo dal 22/2/91 al 31/12/98, mentre il saggio è stato del 10% nel periodo dal 22/2/91 al 31/12/1996.

2.1.- Con l’unico motivo del ricorso incidentale, il Comune di Contessa Entellina denuncia violazione a falsa applicazione dei principi in materia di accessione invertita, nonchè difetto di motivazione.

Secondo il Comune, la Corte del merito ha ritenuto che solo con la comparsa conclusionale, il Comune aveva dedotto il vizio di ultrapetizione della sentenza del Tribunale, mentre in tale scritto conclusivo, la parte, che in atto d’appello aveva sostenuto l’acquisto della proprietà per accessione invertita, si era limitata a chiarire la novità del richiamo da parte avversa alla L. n. 2359 del 1865, art. 13.

Nella specie, sussistono gli elementi caratterizzanti l’accessione invertita, ovvero la dichiarazione di pubblica utilità, la perdita della conformazione originaria, la strada ha assunto la fisionomia prevista nel progetto e la ripristinabilità dello stato originario è attuabile a mezzo di nuovi interventi modificativi dell’attuale fisionomia del bene ormai trasformato.

3.1. I due ricorsi, siccome proposti avverso la medesima sentenza, vanno preliminarmente riuniti ex art. 335 c.p.c..

3.2.- Il ricorso incidentale, da esaminarsi prioritariamente per ragioni di ordine logico, è infondato.

Quanto alla doglianza rivolta nei confronti della ritenuta tardività, da parte della Corte d’appello, della censura di ultrapetizione della sentenza di primo grado, per avere tenuto conto della mancata previsione dei termini di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 13, è agevole rilevare che il motivo, per come già articolato dalla parte, non è idoneo a contrastare l’argomentazione adottata sul punto dalla Corte palermitana, limitandosi la parte a sostenere di avere già con l’atto d’appello “dedotto l’acquisto della proprietà per accessione invertita”, ed è palese che tale deduzione non potrebbe valere quale eccezione di ultrapetizione della sentenza appellata (a tacere dalla carenza di autosufficienza del motivo, per non avere la parte riportato il passo dell’atto d’appello ove è stata avanzata la deduzione in oggetto).

Nel resto, il motivo, inteso a far valere la sussistenza nella specie, dell’accessione invertita e l’ irreversibile trasformazione, è infondato, atteso che la diversità, sotto il profilo della causa petendi, delle figure dell’occupazione appropriativa e dell’occupazione usurpativa, è data dalla presenza, per la prima, dell’irreversibile trasformazione del fondo in assenza del decreto di esproprio, e, per la seconda, della trasformazione in assenza, originaria o sopravvenuta, della dichiarazione di pubblica utilità, proprio come nella specie (sulla distinzione tra le due figure di occupazione, vedi, tra le ultime, le pronunce 13001 del 2005 e 10560 del 2008).

Infine, il Comune si è limitato a riportare massime giurisprudenziali sulla irreversibile trasformazione, senza assumere specifica posizione in relazione alle argomentazioni addotte sul punto dalla Corte territoriale, per concludere nel senso che non era stato realizzato un bene strutturalmente e fisicamente nuovo, nè impresso un vincolo di scopo tra opera e terreno, preclusivo della rimessione in pristino.

3.3.- Il primo motivo del ricorso principale è infondato. Nella specie, l’azione, come già affermato dalla Corte del merito, ha natura personale, in quanto basata sull’illecito aquiliano ex art. 2043 c.c., nè tale statuizione è stata in sè censurata dai ricorrenti, che hanno dedotto che, nel caso concreto, volendo ottenere il ripristino dello stato dei luoghi, avevano potuto chiedere soltanto la somma corrispondente alle spese necessarie, ed hanno richiamato la giurisprudenza che ritiene inapplicabile l’art. 2058 c.c., comma 2, nel caso di lesione di diritto reale, qualora il creditore non abbia chiesto il risarcimento per equivalente.

A riguardo, si rileva che, come affermato tra le ultime, nella pronuncia 11744 del 2003 (e vedi anche la sentenza 2398/2009), l’art. 2058 c.c., comma 2, che prevede la possibilità di ordinare il risarcimento del danno per equivalente anzichè la reintegrazione in forma specifica, in caso di eccessiva onerosità di quest’ultima, non trova applicazione nelle azioni intese a far valere un diritto reale, la cui tutela esige la rimozione del fatto lesivo (Cass. 26.5.1999, n. 5113; 4.11.1993 n. 10932), come quella diretta ad ottenere la riduzione in pristino per violazione delle norme sulle distanze, atteso il carattere assoluto del diritto leso (Cass. 25.6.1991, n. 7124); le azioni suddette sono intese a far valere un diritto reale a carattere ripristinatorio e non già, come nel caso, intese ad ottenere il risarcimento del danno da responsabilità aquiliana, la cui funzione, come è noto, è di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato se l’illecito non si fosse realizzato, per cui è da escludere la legittimità del ricorso alla reintegrazione in forma specifica qualora, per le circostanze del caso concreto, le spese necessarie ad essa sarebbero superiori rispetto alla somma alla quale avrebbe diritto il danneggiato ex art. 2056 c.c., in quanto in tal caso, lo stesso riceverebbe dalla reintegrazione una ingiustificata locupletazione.

Nel caso di specie, con la restituzione del terreno ai proprietari, è stato rimosso l’illecito, e si continua a discutere della quantificazione del danno conseguente all’illecito.

2.2.- Il secondo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

E’ infondato, nella parte in cui prospetta la censura di violazione di legge: come ritenuto da Cass. 5993 del 2007, la differenza tra la “reintegrazione in forma specifica” ed il risarcimento “per equivalente” consiste nel fatto che, nel primo caso, la somma dovuta è calcolata sui costi occorrenti per la riparazione e, nel secondo, è riferita alla differenza di valore tra il bene integro (e, cioè, nel suo stato originario) ed il bene leso o danneggiato, e tale criterio è stato seguito nella specie dalla Corte del merito.

Quanto alla ricorrenza del presupposto della eccessiva onerosità della reintegrazione, la valutazione in tal senso espressa dalla Corte palermitana rientra nell’area dei giudizi di fatto riservati al giudice del merito, non sindacabili, in quanto tali, in sede di legittimità, ove immuni da vizi logici o giuridici di motivazione (sul principio, Cass. 5993/2007); da ciò consegue l’inammissibilità della doglianza dei ricorrenti, in quanto tendente a censurare la valutazione di merito operata dalla Corte palermitana in relazione al presupposto della eccessiva onerosità, argomentata con riguardo ai costi occorrenti per i lavori di ripristino, ed al valore dei terreni occupati, considerati nello stato originario, senza vizi logici o giuridici nella motivazione, nè potrebbe ritenersi il vizio di motivazione in relazione alla omessa considerazione dei pretesi danni alle parti non occupate, in quanto tali assunti danni non concorrono a fondare il giudizio di eccessiva onerosità.

2.3.- Il terzo motivo è infondato, alla stregua dell’orientamento della Corte, espresso nella pronuncia delle sezioni Unite 3747 del 2005, che in massima si è così espressa: “In tema di obbligazione risarcitoria da fatto illecito, che costituisce tipico debito di valore, è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del danno da ritardo conseguente alla mancata disponibilità per impieghi remunerativi della somma di denaro in cui il suddetto debito viene liquidato, da corrispondersi mediante interessi compensativi (da calcolarsi secondo i criteri fissati da Cass., Sez. Un., n. 1712 del 1995 secondo cui gli interessi – ad un tasso non necessariamente corrispondente a quello legale – vanno calcolati alla data del fatto non già sulla somma rivalutata bensì con riferimento ai singoli momenti riguardo ai quali la somma – equivalente al bene perdutosi incrementa nominalmente in base ad un indice medio, in quest’ultimo caso risultando corretti sia il metodo di calcolo degli interessi dalla data del fatto sull’importo costituito dalla media tra il credito originario e quello risultato dalla rivalutazione, sia quello che pone come base di calcolo il credito originario rivalutato secondo un indice medio)”.

3.1.- Conclusivamente, vanno respinti sia il ricorso principale che quello incidentale.

La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2011

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