Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21393 del 17/10/2011

Cassazione civile sez. I, 17/10/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 17/10/2011), n.21393

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28628/2005 proposto da:

C.G. (C.F. (OMISSIS)), C.V.

(C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA N.

RICCIOTTI 11, presso l’avvocato SINIBALDI Michele, che li rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MANNI ROBERTO, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.A.I.A. SOCIETA’ AREE INDUSTRIALI E ARTIGIANALI S.P.A. (C.F.

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALADIER 52, presso l’avvocato

MANCINI Claudio, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CIACCIA FRANCESCO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

CONSORZIO SERVIZI VCO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 907/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 06/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/05/2011 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato SINIBALDI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato MANCINI che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato l’8/4/94, C.G. e C.V. convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Verbania il Consorzio per lo Sviluppo del Basso Toce, esponendo: di avere acquistato da C.C., il 12/5/1975, per atto a rogito notaio Bartoli Rep. 22736,un appezzamento di terreno, sito in parte in (OMISSIS), a catasto al Foglio 10, mapp. 228, 2, 406, 407 e 450, ed in parte nel comune di Verbania, a catasto al Foglio 64, mapp. 27; che nel rogito si dava atto di alcune servitù a carico del fondo, ed in particolare, della servitù di passo pedonale e carraio a favore di terzi, gravante sulla striscia individuata in colore giallo nella planimetria allegata all’atto di rep. 22735, con il quale, in pari data, D.A.A. e T.V. avevano ceduto alla C. a titolo di permuta, una striscia di terreno, individuata con colore azzurro nella detta planimetria, già occupata dal canale (OMISSIS) ed utilizzata come strada; che successivamente, il Consorzio per lo Sviluppo del Basso Toce, costituito da alcuni comuni fra i quali Verbania e Gravellona Toce, nell’ambito della realizzazione del Piano per insediamenti produttivi (PIP), approvato con D.P. Giunta Regionale Piemonte 12 febbraio 1979, relativo alla zona denominata Piano Grande nel comune di Verbania, aveva occupato la striscia di terreno in oggetto, nonchè altra parte limitrofa del terreno degli attori, e costruito su di esse, al di fuori dell’area oggetto del PIP, una strada asfaltata di metri 13 di larghezza, oltre la banchina del marciapiede larga metri uno, una condotta interna per cavi elettrici ed una condotta fognaria, senza interpellare i proprietari e senza alcun provvedimento ablativo o comunque di autorizzazione all’occupazione d’urgenza.

Tanto premesso, gli attori chiedevano dichiararsi che la parte di terreno occupata con la strada era di loro proprietà e condannarsi il Consorzio alla rimozione delle opere ed al risarcimento dei danni.

Il Consorzio si costituiva, riconosceva che il sedime apparteneva ai C., sosteneva di avere realizzato le opere senza dolo o colpa, nella consapevolezza di esservi tenuto, senza cagionare alcun danno ai proprietari, perchè l’area era gravata da servitù di uso pubblico pedonale e carraio; chiedeva il rigetto della domanda attrice.

Con ordinanza del 16/4/96, ad istanza di parte attrice, veniva autorizzata la chiamata della Società Aree Industriali Attrezzate s.p.a. (S.A.I.A.), quale impresa esecutrice delle opere stradali, che si costituiva, deducendo che i lavori stradali erano stati eseguiti prima che l’area oggetto del PIP le fosse stata trasferita dal Consorzio, e che comunque,preesisteva servitù pubblica di passo;

instava per il rigetto della domanda attrice e in subordine, in riconvenzionale, chiedeva di essere manlevata dal Consorzio.

Veniva disposta ed espletata C.T.U..

Il Tribunale, con sentenza depositata il 28/3/2002, condannava il Consorzio e la S.A.I.A. in solido a risarcire agli attori il danno, liquidato in via equitativa in L. 10.000.000, da devalutarsi al 1982 e quindi rivalutarsi anno per anno, oltre interessi legali, ritenendo che quanto realizzato dalla S.A.I.A., in attuazione di quanto previsto nella convenzione con il Consorzio, costituiva illecito permanente ed aveva cagionato agli attori un danno (aggravamento del passaggio preesistente, peso derivante dall’impianto di illuminazione, linee elettriche interrate, canalizzazioni fognarie, maggior separazione dal fondo posto a nord della strada).

Interponevano appello i Calderoni; si costituiva solo la S.A.I.A., chiedendo il rigetto del gravame; rimaneva contumace il Consorzio.

La Corte del merito, con sentenza depositata il 6/6/2005,ha respinto l’appello e condannato i C. alla rifusione alla S.A.I.A. del 50% delle spese del grado, compensando le spese nel resto.

La Corte d’appello, al fine di verificare la situazione dei luoghi nei primi mesi del 1982, ha valutato gli atti notarili del 12/5/1975;

con l’atto avente n. rep. 22735, tra D.A., T. e C., le parti avevano localizzato diversamente il passaggio a favore dei fondi limitrofi, gravante sul fondo della Cu. ed avevano previsto che il nuovo sedime sarebbe stato successivamente occupato da una strada pubblica; con l’atto avente il n.rep. 22736, gli acquirenti C. riconoscevano l’esistenza della servitù di passaggio pedonale e carraio sulla striscia di terreno indicata nella planimetria allegata e concedevano il diritto di passo carraio anche a favore dei fondi rimasti in proprietà della Cu.; come rilevato dal C.T.U., la striscia di terreno indicata nei due atti corrisponde al sedime della strada realizzata dalla S.A.I.A. per conto del Consorzio; gli appellati per costruire la strada (o meglio, per sistemarla e migliorarla) non avevano occupato una porzione di terreno utilizzabile dai C. per finalità agricole o edificatorie, ma la porzione di terreno che stessi C., aderendo a quanto convenuto con la venditrice e con D.A. e T., avevano destinato a strada, prevedendo un successivo uso pubblico della stessa e nel frattempo, riconoscendo servitù di passaggio a favore dei fondi limitrofi, nonchè a favore dei fondi appartenenti alla Cu..

Secondo la Corte, anche prima della esecuzione dei lavori da parte degli appellati, il sedime in oggetto aveva un’utilità minima per i C., dunque il danno da indennizzare era pari alla minima differenza tra il valore dell’area già destinata a strada aperta a pluralità di soggetti ed area destinata al pubblico passaggio;

irrilevante era il vantaggio conseguito dagli appellati, e quindi era corretta la valutazione del Tribunale; anche per la porzione rimasta isolata a nord della strada, il risarcimento non poteva essere correlato al valore di mercato per area edificabile,data la presenza della strada, che impediva le costruzioni industriali, e meramente ipotetice ed inverosimile era il trasferimento del passaggio in altra sede; irrilevante era la rinuncia alla domanda di rimessione in pristino, da cui non deriva acquisto della proprietà del sedime,e danno risarcibile è quello derivante dalla costruzione della strada e non dall’ ipotetica perdita della proprietà dell’area occupata.

Contro detta sentenza propongono ricorso per cassazione i C. sulla base di un unico articolato motivo. Si difende con controricorso la sola SAIA; il Consorzio non ha svolto difese.

I ricorrenti C. hanno depositato la memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Con l’unico articolato motivo, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1223, 1226, 1038 e 2058 c.c., art. 2933 c.c., comma 2, e vizio di omessa insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia.

Secondo i Calderoni, la sentenza è basata su di un principio di diritto errato, per avere dimenticato che nel caso gli enti hanno posto in essere un’occupazione usurpativa, mancando qualsiasi dichiarazione di pubblica utilità, e l’impossessamento della porzione di terreno dei C. è avvenuto da parte delle resistenti sine titulo, in virtù di comportamento meramente materiale, inquadrabile nell’ambito della responsabilità ex art. 2043 c.c., da cui in capo al proprietario il permanere del diritto dominicale sul fondo, e quindi il potere di chiedere la restituzione dello stesso, a meno che lo stesso non preferisca abbandonarlo definitivamente, conseguendo in cambio la completa reintegrazione del pregiudizio sofferto.

Nella specie, i C. hanno esplicitamente rinunciato al ripristino e abbandonato il suolo di proprietà; la manipolazione fisica ha comportato l’azzeramento di ogni forma di disponibilità del terreno, donde la totale irrilevanza del fatto che fosse gravato di servitù di transito a favore di fondi limitrofi, ma non di uso pubblico(non provato).

Secondo i ricorrenti, è assurdo ipotizzare che nel valore di mercato il prezzo sarebbe pari alla minima differenza tra strada assoggettata a servitù prediale a favore dei proprietari limitrofi e area di pubblico transito; il manufatto strada comporta acquisto di valore delle altre porzioni servite; anche a seguire, in via di mera ipotesi, i criteri di determinazione dell’ indennità di espropriazione, non cambierebbe il riferimento al valore di mercato della porzione illecitamente occupata, in quanto si tratta di area a destinazione attività artigianale, ed anche a ritenere l’inedificabilità dell’area, il valore della stessa sarebbe determinato, sia pure principalmente, dalla destinazione urbanistica e dalle opere in essa insistenti, senza distinguere il valore delle porzioni in concreto destinate alle strade indispensabili per l’utilizzazione degli edifici insediati.

Infine, la rinuncia al ripristino riguardava anche la piccola area rimasta isolata a nord, con conseguente diritto al risarcimento integrale del danno anche per detta porzione.

2.1.- Va rapidamente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, per mancata esposizione dei fatti di causa, ex art. 366 c.p.c., n. 3, sollevata dalla S.A.I.A., per avere i ricorrenti riportato la parte espositiva della sentenza della Corte del merito.

L’eccezione è infondata.

Come ritenuto nelle pronunce 19237/2003, 3747/03, e 11338 del 2004, il disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 3, può ritenersi osservato quando nel ricorso stesso sia stata trascritta la sentenza impugnata, purchè se ne possa ricavare la cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle parti, senza necessità di ricorrere ad altre fonti, e la parte può utilizzare la parte espositiva della sentenza impugnata, inserendola nel testo del ricorso.

Diversa è la fattispecie valutata negativamente in termini di inammissibilità dalle S.U. nella sentenza 19255 del 2010, atteso che nel caso la parte si era limitata a riportare pedissequamente gli atti del giudizio di merito, atto di citazione, comparsa di costituzione e risposta, istanza di chiamata in causa ed atto di chiamata,comparsa di costituzione del chiamato, di talchè tale assemblaggio degli atti avrebbe costretto la Corte ad attingere da tali atti, esterni al ricorso, il requisito proprio del ricorso.

2.2.- Nel merito, premesso che la nozione di opera pubblica è andata espandendosi sino a ricomprendere qualsiasi intervento del pubblico potere, inteso ad ottenere nell’interesse della collettività, una modificazione durevole del mondo fisico (così Cass. 9173 del 2000), va riportato l’orientamento di questa Corte, come espresso nella pronuncia 1814 del 2000, seguito dalle conformi sentenze 9361 del 2005, 13585 del 2006, 12541 del 2007, 7206 del 2009, secondo cui, in mancanza del collegamento teleologico tra occupazione e finalità pubbliche perseguite con la procedura espropriativa, che costituisce il presupposto comune dell’occupazione e dell’espropriazione, gli effetti dell’ingerenza in re aliena non possono anticipare i risultati di alcuna legittima procedura, di cui mancano i presupposti; nell’occupazione usurpativa, il giudice si occupa della domanda risarcitoria sotto l’aspetto delle non consentite trasformazioni che l’occupante abusivo abbia apportato al fondo, e l’acquisizione del bene alla mano pubblica resta estranea alla fattispecie, dipendendo da una scelta del proprietario usurpato, ed è inquadrabile in azione logicamente e temporalmente successiva alla definitiva trasformazione del fondo; la piena reintegrazione del patrimonio del danneggiato si impone come regola generale in conseguenza della connotazione di illecito generatore di danno, anche a sottolineare la distanza concettuale della domanda rispetto agli istituti espropriativi, e “il parametro di liquidazione è costituito dal valore di mercato del bene, non già sul presupposto del suo trasferimento, bensì esclusivamente come perdita di utilità per il proprietario: l’attività manipolatrice del bene appare avere compromesso la realtà materiale ed economica del fondo, fino a cancellare ogni possibile utilizzabilità connessa alla qualità del soggetto privato titolare del bene”.

Alla stregua di tali principi, la Corte del merito ha provveduto alla valutazione in concreto del valore della strada, avuto riguardo alla situazione preesistente, di area già destinata a strada aperta al passaggio di una pluralità di soggetti ed a quella conseguente all’illecito, di area destinata al pubblico transito.

Infine, la Corte del merito ha valutato la correttezza del ragionamento del Tribunale, in relazione alla piccola porzione di terreno rimasta isolata a nord, con motivazione congrua e logicamente argomentata, sempre tenendo presente il raffronto tra la situazione preesistente e quella conseguente all’illecita occupazione; nel resto, si tratta di valutazioni di merito, sottratte al sindacato di legittimità.

3.1. – Conclusivamente, il ricorso va respinto Le spese del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti a rifondere alla resistente S.A.I.A., Società Aree Industriali e Artigianali s.p.a., le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2000,00, oltre Euro 200,00 per spese; oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2011

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