Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21392 del 26/07/2021

Cassazione civile sez. III, 26/07/2021, (ud. 09/03/2021, dep. 26/07/2021), n.21392

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 38009-2019 proposto da:

A.O., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCESCO ROPPO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2278/2019 emessa dalla CORTE D’APPELLO DI

BOLOGNA depositata in data 02/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/03/2021 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

A.O., cittadino della (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politica, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di essere ucciso dai parenti della propria fidanzata, deceduta a seguito di un tentativo di aborto;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento A.O. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Bologna, che, con ordinanza del 4/4/2018, in parziale accoglimento del ricorso, ha riconosciuto, in favore dell’istante, un permesso di soggiorno per motivi umanitari;

tale decisione, appellata all’amministrazione dell’interno, è stata riformata dalla Corte d’appello di Bologna che, con sentenza in data 2/8/2019, ha disatteso anche la domanda proposta da A.O. per il conseguimento della protezione umanitaria;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria in favore dell’originario ricorrente, tenendo conto della sostanziale e complessiva inattendibilità del relativo racconto di vita e, in ogni caso, dell’insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la protezione invocata;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da A.O. con ricorso fondato su tre motivi d’impugnazione, illustrati da successiva memoria;

il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con i primi due motivi, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 115 e 324 c.p.c., del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3 e 5, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 nonché per omesso esame di fatti decisivi controversi, per avere la corte territoriale omesso di considerare il carattere incontestato (e la conseguente acquisizione del carattere di cosa giudicata) della circostanza relativa all’attendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente nel corso del procedimento, così come attestato dal giudice di primo grado, nonché per aver in ogni caso condotto in modo erroneo e illegittimo la valutazione della credibilità delle dichiarazioni complessivamente rese dal ricorrente;

entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono infondati;

dev’essere preliminarmente disattesa la censura avanzata dal ricorrente con riguardo al preteso carattere incontestato (e alla conseguente pretesa acquisizione del carattere di cosa giudicata) della circostanza relativa all’attendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente nel corso del procedimento;

al riguardo, varrà sottolineare come quanto dichiarato dall’odierno istante, in relazione al racconto della propria esperienza esistenziale, si sostanzi nella narrazione di un insieme di fatti legittimamente ignorati dell’amministrazione resistente (siccome riferibili alla sfera di esclusiva pertinenza del ricorrente), con la conseguente decisiva incidenza, al riguardo, del consolidato principio della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale l’onere di contestazione – la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova – sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti (cfr. Sez. L, Ordinanza n. 87 del 04/01/2019, Rv. 652044 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 14652 del 18/07/2016, Rv. 640518 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3576 del 13/02/2013, Rv. 625006 – 01), avuto altresì riguardo alla mancata dimostrazione, da parte ricorrente, dell’effettiva e concreta conoscenza, in capo alla controparte, delle circostanze assunte come incontroverse;

ciò posto, osserva il Collegio come l’esame relativo alla credibilità del racconto del cittadino straniero richiedente l’accertamento dei presupposti per la protezione internazionale, mentre costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante (così come formalmente descritti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5);

detta valutazione di credibilità deve ritenersi inoltre censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01);

in particolare, varrà sottolineare come il giudice di merito, nel valutare la credibilità complessiva del richiedente asilo, ben potrà ritenere inattendibili le dichiarazioni rese da quest’ultimo sulla base del significato eloquente anche di una singola circostanza ritenuta di per sé assorbente rispetto alla considerazione di ogni altro elemento di valutazione, purché di detta circostanza se ne sottolinei – o ne emergano con evidenza – i caratteri di decisività, senza limitarsi al richiamo di formule di sintesi o di modelli argomentativi meramente stereotipati;

rimane in ogni caso fermo come la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non sia affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c) D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicché è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 26921 del 14/11/2017, Rv. 647023 – 01);

nel caso di specie, fermo l’oggettivo rilievo della congruità logica del discorso giustificativo articolato nel provvedimento impugnato, varrà considerare come il ricorrente abbia propriamente omesso di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte della corte territoriale, delle occorrenze di fatto asseritamente dalla stessa trascurate, e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto a una sicura diversa risoluzione dell’odierna controversia;

osserva il Collegio, al riguardo, come, attraverso le odierne censure, il ricorrente altro non prospetti se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in coerenza ai tratti di un’operazione critica come tale inammissibilmente prospettata in questa sede di legittimità, dovendo in ogni caso ritenersi che la motivazione dettata dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata sia (non solo esistente, bensì anche) articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo giudice a quo dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, dei contenuti ascrivibili al racconto dell’odierno ricorrente e del grado della relativa attendibilità in conformità ai parametri di valutazione legalmente stabiliti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, e sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica;

l’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;

con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento del proprio diritto permesso di soggiorno per motivi umanitari;

il motivo è fondato;

osserva al riguardo il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria (secondo la disciplina ratione temporis applicabile al caso di specie: v. Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 01), l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02; Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01);

nella ricordata decisione delle Sezioni Unite, si è dunque sottolineata, con riguardo al tema del riconoscimento della c.d. protezione umanitaria, la piena condivisibilità dell’approccio che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva che verrebbe a determinarsi nel paese di origine a seguito del rimpatrio, al fine di verificare se tale rientro non valga a determinare una non tollerabile privazione dell’esercizio dei diritti umani del richiedente, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale;

in particolare, il giudice di merito, nel procedere alla ridetta comparazione, mentre non potrà riconoscere al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dell’isolata e astratta considerazione del suo livello di integrazione in Italia, sarà tenuto a coniugare, quella considerazione, con l’esame del modo in cui l’eventuale rimpatrio (e dunque il contesto di generale compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza) verrebbe a incidere sulla vicenda esistenziale dell’interessato, avuto riguardo alla sua storia di vita e al grado di sviluppo della sua personalità; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale compromissione possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, sanitaria; culturale, etc.;

in questi termini, la considerazione delle condizioni del paese di provenienza (comunque da indagarsi e accertarsi, dal giudice di merito, in termini obiettivi) varrà – non già a tradursi in una valutazione meramente generale e astratta della relativa situazione nazionale bensì a declinarsi e sintetizzarsi in un giudizio personalizzato mediante la ponderazione, di quelle generali condizioni del paese di origine, con l’incidenza che le stesse finirebbero per assumere sulla storia di vita (sulla biografia) del richiedente, alla luce del principio che impone in ogni caso la salvaguardia della dignità della persona;

in tal senso, il giudizio fermato sull’entità della degradazione che l’interessato sarebbe destinato a subire a seguito del rimpatrio chiede d’essere calibrato in rapporto alle modalità concrete e irripetibili della vicenda esistenziale di quella specifica persona, sì che l’esame del modo della compromissione del c.d. nucleo ineliminabile della dignità personale (e dunque il senso della sua specifica vulnerabilità) consisterà propriamente nella verifica del grado di aggressione (qualitativa) della dignità di quella singolare ed unica esperienza individuale, sì da non potersi astrattamente escludere che, con riguardo a uno stesso paese, l’esame diretto al riconoscimento della protezione umanitaria possa anche condurre ad esiti diversi in rapporto a storie di vita differenti e non commensurabili; e ciò, non già in forza di un’inammissibile (e inaccettabile) graduazione qualitativa della dignità umana, bensì in ragione dell’inevitabile conformazione di quest’ultima (anche) in correlazione ai differenti percorsi di vita che sostanziano in modo irripetibile il senso dell’identità individuale, da valutarsi anche in relazione alla situazione psico-fisica attuale del richiedente e al contesto culturale e sociale di riferimento (v., in tal senso, Sez. 1, Ordinanza n. 13088 del 15/05/2019, Rv. 653884 – 02; e Sez. 1, Ordinanza n. 1104 del 20/01/2020);

proprio in forza di tali premesse, dunque, acquista significato il senso (sul piano propriamente esistenziale) della comparazione tra le condizioni del paese di origine del richiedente e la relativa storia di vita, ivi compreso il grado di sviluppo e di integrazione della propria esperienza nel tessuto socio-economico del nostro paese;

nei casi in cui la ricostruzione della storia di vita del richiedente risulti ostacolata dalla ritenuta non credibilità delle relative dichiarazioni, o dall’irriducibile frammentarietà delle informazioni complessivamente acquisite, il giudice di merito dovrà in ogni caso procedere a verificare se le condizioni sociali, politiche o economiche, obiettivamente riscontrate nel paese di origine non appaiano tali da porsi in evidente contrasto con la misura del rimpatrio, avuto riguardo all’incidenza di dette condizioni con la conservazione, in capo al richiedente, del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità umana, al di là di ogni specifica caratterizzazione che valga a qualificarne l’identità;

ciò posto, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche ed economiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver dato atto dell’avvenuta integrazione del richiedente nel nostro paese (pur attestandone l’insufficienza, di per sé, ai fini del riconoscimento della protezione invocata), ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria in favore del ricorrente, rilevando, in modo generico e del tutto apodittico, l’insussistenza di profili di vulnerabilità connessi al proprio rientro in patria (che lo stesso giudice d’appello ha univocamente riconosciuto nella (OMISSIS), rispetto alla quale ha altresì proceduto al riscontro dell’eventuale ricorso di una condizione di violenza indiscriminata dovuta alla possibile sussistenza di conflitti armati interni o internazionali), trascurando integralmente di approfondire e circostanziare gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la concreta situazione personale ed esistenziale attuale del richiedente sul territorio italiano, e la complessiva condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare (anche attraverso l’individuazione ufficiosa delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte in relazione alle condizioni generali del paese di origine, indipendentemente da quanto attestato con riguardo alla sola sicurezza pubblica legata all’eventuale sussistenza di conflitti armati interni o internazionali) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc.;

ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. minimo costituzionale;

sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del terzo motivo (rigettato il primo e il secondo), dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo; rigetta il primo e il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2021

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