Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21391 del 18/09/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 2 Num. 21391 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 7737/12) proposto da:
SANTORO SERGIO (C.F. SNTSGG61502F205E) e SANTORO MARTINA (C.F.
SNTMTN90A65F205M), rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in calce al
ricorso, dall’ Avv. Maria Grazia Battaglia, ed elettivamente domiciliato presso lo studio della
stessa in Roma, Viale Mazzini, n. 119; – ricorrenti contro
SANTORO VINCENZO, (C.F.SNTVCN24E22D612X) rappresentato e difeso, in forza di
procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti Giorgio Tarzia e Lucio De Angelis, ed
elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, Via di Val Gardena, n.
3

controricorrente-

Avverso la sentenza n. 25/2012 della Corte d’Appello di Milano, depositata il 9 gennaio
2012 e notificata il 25 gennaio 2012;

Data pubblicazione: 18/09/2013

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 19 giugno 2013 dal
Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
uditi gli Avv.ti Maria Grazia Battaglia, per i ricorrenti, e Lucio De Angelis, per il
controricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, notificato il 21 dicembre 1992 l’Avv. Vincenzo Santoro conveniva in
giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, il figlio Sergio Santoro e la nipote Martina Santoro,
sostenendo che il suo genitore, Giuseppe Santoro, con testamento pubblico redatto il 23
dicembre 1986, aveva lasciato in eredità tutti i suoi beni ai soli nipoti, nulla disponendo a
suo favore; chiedeva, pertanto, che fosse riconosciuta la sua qualità di legittimario e
ricostruita la sua quota ereditaria con riduzione di quella assegnata agli eredi testamentari,
invocando, inoltre, il riconoscimento di alcuni crediti verso la massa ereditaria.
Nella regolare costituzione dei convenuti, i quali affermavano l’esistenza di asseriti “debiti”
dell’attore verso la massa ereditaria, il Tribunale di Milano con sentenza non definitiva n.
11595/00, dichiarava che l’attore, legittimario pretermesso e leso nella quota di riserva, era
creditore verso la massa della somma di lire 1.098.000, mentre nessun credito verso la
massa veniva riconosciuto a favore dei nipoti, con la reiezione anche della richiesta di
rendiconto dell’attore.
A seguito di gravame promosso da Vincenzo Santoro avverso detta sentenza e nella
costituzione degli appellati (che formulavano anche appello incidentale), la Corte d’Appello
di Milano, con sentenza n. 2317/2004, in accoglimento dell’appello incidentale promosso
da Sergio Santoro e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la
domanda di condanna del convenuto Sergio Santoro “a corrispondere al padre
l’equivalente di £. 900.000 con gli interessi legali”, nonché la domanda degli appellati

2

Maurizio Velardi, che ha concluso per l’accoglimento, per quanto di rag lOne, del ricorso.

Sergio e Martina Santoro, stabilendo che le spese straordinarie sopportate per la
manutenzione dei due appartamenti, facenti parte dell’asse ereditario, dovessero ricadere
su tutte le parti; accoglieva, in ultimo, la domanda dell’appellante Sergio Santoro di
rimborso delle spese sopportate nell’interesse della massa, ritenendola provata per la
somma di L. 10.000.000.

riferimento al quale gli intimati non si costituivano nel giudizio di legittimità.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 14415/2008, depositata il 29 maggio 2008,
accoglieva il terzo ed il quarto motivo di ricorso, respingendo gli altri, cassava la sentenza
impugnata in relazione ai motivi accolti e rinviava, anche per la pronuncia sulle spese, ad
altra sezione della Corte d’Appello di Milano. La Corte di Cassazione, a sostegno della sua
decisione, riteneva che il giudice d’appello, nel riconoscere in favore di Sergio Santoro un
credito di lire 10.000.000 per il rimborso delle spese sopportate nell’interesse della massa
ereditaria, non aveva specificatamente indicato le singole voci di credito e i relativi importi,
richiedendosi, per tali ragioni, un riesame in sede di rinvio degli elementi di prova in
proposito rilevanti.
Con atto di citazione in riassunzione, notificato il 17-20 ottobre 2008, l’avv. Vincenzo
Santoro conveniva, dinanzi alla Corte d’Appello di Milano (in diversa composizione), Sergio
e Martina Santoro, perché, in parziale riforma delle sentenze di primo e secondo grado,
fosse riconosciuto il suo diritto di credito verso la massa ereditaria per la somma di £
21.745.000, oltre interessi, e perché venisse respinta, ove fosse stata riproposta, la pretesa
creditoria di Sergio Santoro verso la massa ereditaria per la somma di £ 10.000.000 e,
comunque, ogni altra domanda dei convenuti, col favore delle spese, diritti e onorari dei
vari gradi del giudizio.
I convenuti in sede di rinvio si costituivano chiedendo il rigetto di tutte le domande
formulate e chiedendo, altresì, che Sergio Santoro fosse accertato e riconosciuto creditore
3

Tale sentenza veniva impugnata da Vincenzo Santoro con ricorso per cassazione, con

verso la massa ereditaria dell’importo di lire 42.948.316 o di quell’altra somma ritenuta
documentata, oltre interessi e rivalutazione dall’apertura della successione.
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 25/2012, depositata il 9 gennaio 2012 e
notificata il 25 gennaio 2012, definitivamente pronunciando, rigettata ogni altra domanda,
dichiarava che Vincenzo Santoro era creditore verso la massa ereditaria della somma di

giudizio di rinvio, disponendo il non luogo a provvedere sulle spese della pregressa fase di
legittimità, nella quale Martina e Sergio Santoro non avevano svolto attività difensiva.
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli stessi Sergio e Martina
Santoro, articolato in tre motivi.
Vincenzo Santoro ha resistito con controricorso.
I difensori di entrambe le parti hanno anche depositato memoria illustrativa ex art. 378
c.p.c. .
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato la supposta violazione degli artt. 345 e
394 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., consistente nell’implicito rigetto dell’eccezione
di inammissibilità della domanda nuova formulata dall’attore in riassunzione, volta a sentirsi
dichiarare creditore verso la massa ereditaria di lire 21.745.000.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione degli artt. 346, 383, 384 e
394 c.p.c., il tutto in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., consistente nel rigetto dell’eccezione di
inammissibilità della domanda formulata dall’attore in riassunzione volta a sentirsi
respingere la pretesa creditoria di Sergio Santoro verso la massa ereditaria per la somma
di lire 10.000.000 e, comunque, di ogni altra domanda di Sergio e Martina Santoro nei suoi
confronti e/o della massa ereditaria.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per asserita
violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., consistente
4

lire 5.133.550; condannava Martina e Sergio Santoro alla rifusione delle spese legali del

nell’omissione dell’esame e della valutazione della produzione documentale in atti dei
ricorrenti; in subordine, hanno inteso confutare la sentenza emessa in sede di rinvio per
omessa applicazione degli artt. 1199 e 2967 c.c. e, in ogni caso, per insufficiente e
contraddittoria motivazione della riduzione del credito dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 360 n.
5 c.p.c. .

Con la censura in esame i ricorrenti hanno, in sostanza, inteso evidenziare che, nel
decidere la causa nel merito mediante il parziale accoglimento della domanda dell’avv.
Vincenzo Santoro diretta all’ottenimento della dichiarazione della sua qualità di creditore
verso la massa, la Corte di appello di Milano, in sede di rinvio, aveva implicitamente
respinto l’eccezione di inammissibilità della predetta domanda sollevata da essi convenuti
con la memoria di replica del 15 novembre 2011, sull’assunto presupposto che si trattasse
di domanda nuova (come tale non proponibile in sede di rinvio), dal momento che il
Santoro Vincenzo aveva svolto, nelle precedenti fasi del giudizio, una domanda di
condanna al pagamento nei confronti degli eredi testamentari, mentre nel giudizio di rinvio
aveva formulato una domanda di accertamento del credito del legittimario verso l’asse
ereditario.
Ciò posto, deve rilevarsi, in via generale, come sia risaputo che nel giudizio di rinvio è
precluso alle parti di ampliare il “thema decidendum” e di formulare nuove domande ed
eccezioni ed al giudice – il quale è investito della controversia esclusivamente entro i limiti
segnati dalla sentenza di cassazione ed è vincolato da quest’ultima relativamente alle
questioni da essa decisa – non è, pertanto, consentito qualsiasi riesame dei presupposti di
applicabilità del principio di diritto enunciato, sulla scorta di fatti o profili non dedotti, né egli
può procedere ad una diversa qualificazione giuridica del rapporto controverso ovvero
all’esame di ogni altra questione, anche rilevabile d’ufficio, che tenda a porre nel nulla o a

5

4. Rileva il collegio che il primo motivo è da considerarsi inammissibile.

limitare gli effetti della sentenza di cassazione in contrasto con il principio della sua
intangibilità.
Pur essendo chiaramente condivisibile tale principio, deve osservarsi, tuttavia, che, nella
controversia in questione, non si versa in una ipotesi di proposizione di domanda nuova in
sede di rinvio da parte del Santoro Vincenzo. Infatti, a parte la sostanziale equipollenza

testamentari in via solidale (anteriormente al riconoscimento della fondatezza dell’azione di
riduzione esercitata dal legittimario leso), va rilevato che — per quanto evincibile anche
dalla sentenza di questa Corte n. 14415 del 2008 – già con la sentenza di primo grado
(confermata sul punto in appello) era stata riconosciuta la fondatezza (per quanto di
ragione) della domanda, così come avanzata dall’originario attore (oggi controricorrente)
relativa alla sua pretesa economica verso la massa ereditaria, sottolineandosi, altresì, che
la questione dell’addebito del credito alla massa anziché solidalmente agli eredi non aveva
formulato oggetto dei motivi di ricorso per cassazione e, quindi, del “thema decidendum”
sottoposto alla Corte di legittimità, che poi aveva provveduto a cassare la sentenza di
appello limitatamente al terzo ed al quarto motivo proposti nell’interesse del Santoro
Vincenzo, i quali, peraltro, attenevano proprio a profili presupponenti il riconoscimento di
suoi crediti verso la massa ereditaria.
5. Il secondo motivo di ricorso è destituito di fondamento e deve, perciò, essere respinto.
Con tale doglianza i ricorrenti hanno inteso censurare il rigetto dell’eccezione di
inammissibilità della domanda formulata dal Santoro Vincenzo in sede di riassunzione
diretta all’ottenimento del rigetto della pretesa creditoria di Santoro Sergio verso la massa
ereditaria per la somma di £ 10.000.000, assumendo che era proponibile nel giudizio dì
rinvio la questione dell’omessa contestazione da parte del riassumente del credito degli
eredi nei confronti della massa di £ 42.948316 e che, in ogni caso, la somma controversa
era limitata all’anzidetto importo di £ 10.000.000.
6

dell’espressione di vantare crediti verso la massa ereditaria ovvero verso gli eredi

E’ noto (come, del resto, ricordato nella stessa sentenza impugnata) che il giudice del
rinvio, cui sia demandato il riesame della controversia in ragione del vizio di motivazione
della sentenza impugnata, nell’ambito della sua discrezionalità di valutazione degli elementi
di prova e dell’apprezzamento dei fatti, non può considerarsi vincolato, se non nei limiti del
dovere di tenere conto anche delle emergenze istruttorie trascurate in sede rescindente, da

assumono valore meramente orientativo e che non valgono a circoscrivere, in una sfera
invalicabile, i suoi poteri, rimanendo egli libero nella valutazione delle risultanze processuali
in forza dei medesimi poteri del giudice di merito che ha pronunciato la sentenza cassata,
con l’unica limitazione consistente nell’evitare di fondare la decisione sugli elementi del
provvedimento annullato ritenuti illogici e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le
contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati. Diversamente opinando si
finirebbe con l’ammettere un apprezzamento dei fatti, precluso al giudice di legittimità, e il
motivo di ricorso, ex art. 360, n. 5 c.p.c., si risolverebbe in un’inammissibile istanza di
revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e, perciò, in una
richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alle
finalità del giudizio di cassazione.
In altri termini, nella ipotesi di cassazione per vizi di motivazione, la sentenza
rescindente, indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà, non limita il
potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti specificati, da considerarsi come
isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le
facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai
poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della
sentenza di annullamento, anche se, nel rinnovare il giudizio, egli è tenuto a
giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o
implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della
7

eventuali indicazioni in ordine al significato da attribuire ad alcuni elementi di prova, che

coerenza logica del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli
stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a
seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi
riscontrati.
La condivisibilità del riferito principio non può, però, comportare l’elusione, a seguito della

decadenze già verificatesi nelle pregresse fasi del giudizio.
Secondo la prospettazione dei ricorrenti la Corte di appello, anziché ritenerla irrilevante in
quanto preclusa dall’intangibilità del giudizio della Corte di cassazione, avrebbe dovuto
prendere in esame l’eccezione dei convenuti in riassunzione in ordine alla circostanza che
non erano mai state sollevate contestazione da parte del Santoro Vincenzo circa le
risultanze del doc. 42 prodotto dai convenuti nel giudizio di primo grado, ed accoglierla
verificandone la fondatezza.
Senonché, al di là dell’insussistenza dell’interesse da parte dei ricorrenti con riferimento
alla censura del mancato accoglimento (sia pure per implicito) di una preliminare eccezione
di inammissibilità della disamina della predetta documentazione sollevata dal Santoro
Vincenzo, occorre evidenziare che la sentenza di rinvio ha limitato la sua pronuncia alla
verifica dei titoli ai fini di valutare la giustificazione del credito di £ 10.000.000 già
riconosciuto al Santoro Sergio nel precedente giudizio di merito, in tal senso conformandosi
al contenuto della sentenza rescindente con la quale era stato accolto, per vizio di
motivazione, il quarto motivo di ricorso sul punto, senza che, nella precedente fase di
legittimità, lo stesso Santoro Sergio si fosse costituito denunciando l’illegittimità della
sentenza di appello in ordine alla limitata determinazione forfettaria del suo credito nella
indicata misura di £ 10.000.000, la quale, perciò, era divenuta intangibile.
6. Il terzo motivo è, invece, da ritenersi fondato e, quindi, da accogliere nei termini che
seguono.
8

sentenza di annullamento della Corte di cassazione, di preclusioni processuali o

Con tale censura i ricorrenti hanno dedotto che, procedendo all’esame della
documentazione da loro versata quali convenuti in riassunzione allo scopo di accertare
l’entità del loro credito verso la massa, la Corte di appello, anziché riesaminare gli elementi
di prova secondo le indicazioni provenienti dalla sentenza di annullamento rescindente, ha
fatto illegittimamente ricorso, quale criterio risolutivo di valutazione a tal fine, al principio

da parte di soggetti detentori diversi dal debitore menzionato e non individuati sulla base di
altri riscontri probatori, atteso che il possesso di quietanze potrebbe essere casuale
soprattutto in ipotesi di successione conflittuali quali quella in esame”. In tal modo, perciò,

la Corte territoriale, a fronte di prove documentali e di pagamenti non rientranti tra i fatti non
specificamente contestasti dalla controparte costituita, aveva erroneamente posto
riferimento al suddetto principio — concepito quale massima di esperienza riconducibile
all’art. 115, comma 2, c.p.c. -, così incorrendo nella violazione degli artt. 1199, 2967 e 2729
c.c. .
In termini essenziali, quindi, i ricorrenti hanno inteso censurare la sentenza impugnata per
omesso esame della produzione documentale da essi allegata nonché la violazione delle
norma da ultimo richiamate, congiuntamente al vizio di motivazione, avuto riguardo
all’affermata applicazione del suddetto criterio valutativo sulla base del quale il mero
possesso delle quietanze non costituirebbe prova del pagamento del relativo credito,
soprattutto in mancanza di contestazione ad opera della parte avversa ed in presenza di
una pretermissione dell’originario attore (ovvero del Santoro Vincenzo) dalla successione e
dell’accertata presentazione, da parte del Santoro Sergio, della denuncia di successione, di
ricevute per spese condominiali anteriori alla disponibilità esclusiva dell’immobile di v.
Numa Pompilio, 7, di Milano, e di bollette di utenze (telefoniche, gas e luce).
Orbene, al riguardo, bisogna, innanzitutto, chiarire che il possesso delle quietanze di
pagamento assume un rilievo diverso a seconda che si controverta in ordine al pagamento
9

secondo cui “il mero possesso di quietanze non costituisce prova dell’avvenuto pagamento

tra il creditore ed in debitore (posto che l’estinzione del credito è opponibile anche se il
pagamento sia stato effettuato da un terzo) ovvero si controverta con terzi per il
riconoscimento del pagamento ai fini del totale o parziale ristoro di essi, che è la situazione
venutasi a verificare nella fattispecie.
Posto che i crediti degli eredi verso la massa fanno riferimento a spese da questi sostenute

logico ritenere che tali somme possano risultare da quietanze emesse da tali terzi,
intestandole agli eredi o all’eredità del defunto, su richiesta del soggetto che provvede al
pagamento ed a cui favore spetta, di norma, il rilascio di apposita quietanza liberatoria, ai
sensi dell’art. 1199 c.c. . Pertanto, è conforme ai principi giuridici in materia ritenere che il
possesso delle quietanze da parte dell’erede testamentario costituisce prova presuntiva del
pagamento da parte di quest’ultimo ai sensi della citata norma, non potendosi ritenere —
come ha fatto apoditticamente la Corte territoriale — che il possesso di quietanze potesse
essere casuale, soprattutto considerando la natura ereditaria della controversia.
Ragionando in questo senso significherebbe svilire il valore presuntivo riconoscibile alla
circostanza del possesso delle varie quietanze da parte del Santoro Sergio, soprattutto in
difetto di una specifica contestazione avversa, così come del tutto logica è l’affermazione
dei ricorrenti in ordine all’individuabilità negli eredi testamentari (identificantisi con i
medesimi ricorrenti, essendo stato il Santoro Vincenzo escluso dalle disposizioni
testamentarie) di coloro che avevano adempiuto agli obblighi fiscali conseguenti alla
successione e, quindi, successivamente legittimati a rivendicare il rimborso delle
corrispondenti spese “pro quota” da parte dell’erede successivamente riconosciuto
pretermesso.
Pertanto, contrariamente a quanto asserito dalla Corte di rinvio, deve affermarsi il principio
secondo cui il possesso delle quietanze (relative ai diversi pagamenti dedotti con la terza
censura), ancorché prive di intestazione ovvero intestate al “de cuius” o alla sua
10

per far fronte al pagamento di debiti del “de cuius” nei confronti di terzi, è congruamente

eredità, costituisce idonea prova presuntiva dei relativi pagamenti da parte del
possessore, sempre che esse si riferiscano a debiti ereditari ed il possessore si
identifichi con uno degli eredi, salva l’allegazione di idonea prova contraria da parte
dell’avente interesse. Allo stesso modo deve ritenersi che, qualora uno degli eredi abbia
provveduto all’adempimento degli oneri economici dipendenti dall’assolvimento degli

quota” nei confronti degli altri eredi. In altri termini,

le spese per la denuncia di

successione sono da comprendere tra i pesi ereditari, cioè tra quegli oneri che
sorgono in conseguenza dell’apertura della successione e, pur dovendo essere
distinti dai debiti ereditari – ossia dai debiti esistenti in capo al “de cuius” e che si
trasmettono, con il patrimonio del medesimo, a coloro che gli succedono per legge o
per testamento – gravano sugli eredi per effetto dell’acquisto dell’eredità,
concorrendo a costituire il passivo ereditario, che è composto sia dai debiti del
defunto sia dai debiti dell’eredità, con la conseguenza che colui che ha anticipato tali
spese ha diritto di ottenerne il rimborso dagli altri coeredi nei limiti della loro quota.
Pertanto, in virtù di quanto esposto, la terza censura formulata dai ricorrenti deve essere
accolta sia in ordine alle dedotte violazioni di legge che alle prospettate carenze ed
illogicità motivazionali.
7. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, vanno rigettati i
primi due motivi mentre deve essere accolto il terzo, con conseguente cassazione, sul
punto, della sentenza impugnata ed il rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di
appello di Milano, che si conformerà ai principi di diritto precedentemente enunciati
(evidenziati in neretto) con riguardo alle violazioni di legge ritenute fondate e riesaminerà la
documentazione relativa alla quietanze riportate nel contenuto della censura accolta alla
luce di tali principi giuridici, rielaborando una motivazione globale in merito ispirata a criteri

11

obblighi fiscali riconducibili alla denuncia della successione, egli ha diritto di rivalersi “pro

di logicità ed adeguatezza. Al giudice di rinvio è rimessa anche la regolazione delle spese
della presente fase di legittimità.
P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi del ricorso ed accoglie il terzo; cassa la sentenza
impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio,

Così deciso nella camera di consiglio della 2” Sezione civile in data 19 giugno 2013.

ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA