Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21390 del 17/10/2011

Cassazione civile sez. I, 17/10/2011, (ud. 18/05/2011, dep. 17/10/2011), n.21390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 26965 dell’anno 2005 proposto da:

S.R.T.M. (c.f. (OMISSIS)), S.

M.T.D., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliate in Roma, Via della Giuliana, n. 44, nello studio degli

Avv. MIGLINO Franco ed Arnaldo, che le rappresentano e difendono,

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI CHIAROMONTE c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in Roma, Piazzale Clodio, n. 14, nello studio dell’Avv. Tiziana

Ciminelli; rappresentato e difeso dall’Avv. CARLUCCIO Pasquale,

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonchè sul ricorso n. 31084 del 2005 proposto da:

COMUNE DI CHIAROMONTE, come sopra rappresentato;

– ricorrente in via incidentale –

nei confronti di:

S.R.T.M., S.M.T.D.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Potenza, n. 305,

depositata in data 21 dicembre 2004;

sentita la relazione all’udienza del 18 maggio 2011 del Consigliere

Dott. Pietro Campanile;

Sentito l’Avv. Arnaldo Miglino, il quale ha chiesto l’accoglimento

del ricorso principale;

Sentita per il Comune l’Avv. Meliambro Silvana, munita di delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso incidentale;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Ignazio Patrone, il quale ha concluso per l’accoglimento dei

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – S.M.T.M. e S.M.T. D., quali eredi della Madre R.G., convenivano il Comune di Chiaromonte davanti al Tribunale di Lagonegro per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti all’occupazione di alcuni terreni, effettuata per la realizzazione della strada (OMISSIS).

Il Tribunale adito, espletata consulenza tecnica d’ufficio, determinata in complessivi mq 4920 la superficie complessiva dell’area occupata, condannava il Comune al pagamento della somma di L. 195.878.000, oltre interessi al tasso legale sulla somma rivalutata con decorrenza dal 28.3.1987.

1.1 – La Corte di appello di Potenza, con la decisione indicata in epigrafe, pronunciando sulle impugnazioni proposte dal Comune di Chiaromonte, nonchè, in via incidentale, dalle proprietarie, ritenuto che ricorresse l’ipotesi della c.d. occupazione usurpativa, affermava, sulla base dei disposti accertamenti peritali, che la valutazione effettuata dal consulente tecnico d’ufficio, considerato il valore venale dei terreni sulla base della loro natura agricola, fosse inadeguata per eccesso, ragion per cui veniva determinata in Euro 55.136,94 la somma dovuta alle S. a titolo di risarcimento, già rivalutata con riferimento al momento della proposizione della domanda giudiziale, dal quale veniva fatta decorrere la rivalutazione e gli interessi.

1.2 – Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione le Sigg.re S., deducendo due motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Chiaromonte, che propone ricorso incidentale, affidato ad unico motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti nei confronti della medesima decisione.

2.1 – Con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1223 e 1226 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, deducendosi che la Corte territoriale si sarebbe discostata dalle valutazioni del consulente tecnico d’ufficio, pervenendo a una stima del terreno sostanzialmente riduttiva, travisando le risultanze della consulenza stessa e non fornendo, in merito alla propria scelta, adeguata motivazione.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Deve porsi in evidenza, invero, come attraverso la denuncia della violazione di legge, senza per altro indicare le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che si assumono in contrasto con le disposizioni richiamate, o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, si proponga una censura di merito, attinente alla determinazione del valore del terreno.

Sotto tale profilo, attesa la natura incontestabilmente agricola delle aree in questione, deve richiamarsi il costante orientamento di questa Corte secondo cui la valutazione del danno deve essere compiuta sulla base della classificazione urbanistica, senza che i criteri di classificazione dell’area possano essere obliterati per dare prevalenza ai criteri di effettualità; tuttavia, la riconosciuta inedificabilità “ex lege”, e la conseguente esclusione della valutabilità del bene come edificatorio, non comportano che necessariamente i suoli che tale qualifica non posseggono debbano essere valutati in base alla loro utilizzazione agricola, essendo tale conseguenza stabilita soltanto nei giudizi di opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione; pertanto, al proprietario è consentito di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini del fondo, in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo dei terreno, all’interno della categoria di suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità, e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un’effettiva valutazione di mercato che rispecchi siffatte possibilità di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria (Cass., 12 giugno 2006, n. 13581; Cass. 28 maggio 2004 n. 10280; Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2003, n. 19551).

In realtà le ricorrenti si dolgono delle scelte della corte territoriale che, in presenza dell’accertata natura agricola dell’area – non essendo per altro vincolante la stima risultante da una precedente liquidazione giudiziale di una porzione di terreno adiacente – ha adottato valori unitari di gran lunga superiori a quelli agricoli medi, pur in assenza della deduzione di una concreta ed attuale possibilità di sfruttamento ulteriore. Sotto questo profilo, la motivazione con la quale la corte territoriale si è discostata dalla stima del consulente tecnico d’ufficio, ponendo in rilievo, fra l’altro, come le meramente eventuali quanto future possibilità di edificazione in base a modifiche degli strumenti urbanistici non potessero essere prese in seria considerazione, appare corretta sia sotto il profilo logico che giuridico.

Quanto alla individuazione del valore del suolo da parte della stessa corte territoriale, si rinvia all’esame che verrà effettuato in relazione allo scrutinio del ricorso incidentale.

2,2 – Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1223 e 1226, in relazione alla decorrenza della rivalutazione e degli interessi, che nella decisione impugnata vengono fatti decorrere dalla data della domanda giudiziale.

Si sostiene che, ancorchè nell’occupazione usurpativa la proposizione della domanda risarcitoria segni il displuvio fra l’esercizio di tale facoltà e la possibilità di chiedere la riduzione in pristino del bene e la sua restituzione, il danno certamente si è verificato in una momento anteriore, coincidente con la irreversibile trasformazione del bene.

Il motivo è fondato.

Deve in proposito richiamarsi l’orientamento, che il Collegio condivide ad al quale,anzi, intende dare continuità, secondo cui il momento della maturazione del credito risarcitorio da occupazione “usurpativa” va individuato nella data della irreversibile trasformazione dell’area (Cass., 21 aprile 2006, n. 9472; Cass., 15 maggio 2003, n. 7643; 18 febbraio 2000, n. 1914).

Va infatti considerato che nelle ipotesi in esame – nelle quali la piena reintegrazione del patrimonio del danneggiato si impone come regola generale in conseguenza della connotazione del comportamento del soggetto pubblico quale ordinario fatto illecito generatore di danno – il parametro per la liquidazione del danno è costituito dal valore di mercato del bene, non già sul presupposto di un suo trasferimento, ma esclusivamente come perdita di utilità per il proprietario, in quanto l’attività manipolatrice, attraverso la progressiva trasformazione fisica del bene, risulta aver compromesso ogni possibilità presente e futura di destinazione dello stesso verso qualsiasi impiego difforme da quello ad esso impresso dall’occupante. Il relativo danno va, pertanto, liquidato in misura corrispondente al valore venale del bene nel momento in cui ne è localizzabile l’annullamento fisico-giuridico, e, cioè, quello della irreversibile trasformazione.

2.3 – Con il ricorso proposto in via incidentale il Comune di Chiaromonte denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la decisione impugnata in alcun modo indicato gli elementi in base ai quali, pur riducendo il valore attribuito alle particelle di terreno dal consulente tecnico d’ufficio, abbia operato le rispettive stime.

La censura è fondata, in quanto nella decisione impugnata, dopo la condivisibile la critica al criterio fondato sulla c.d. vocazione edificatoria meramente potenziale dell’area, si afferma, senza l’indicazione di alcuna giustificazione argomentativa (e, come già posto in evidenza, in misura notevolmente eccedente rispetto ai valori agricoli medi), “che il valore venale dei terreni in oggetto deve essere abbattuto rispetto alla stima effettuata dal consulente tecnico d’ufficio e così attestarsi su L. 21.000 a mq per i complessivi 3.200 mp relativi alle particelle 331 e 332 (la cui riconduzione nell’occupazione usurpativa non risulta censurata) e su L. 23.000 per i restanti mq 1.720 delle particelle 24, 27 e 345”.

Deve in proposito richiamarsi il principio secondo cui rientra nel potere discrezionale del giudice disattendere le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio – senza dover disporre un’ulteriore perizia – purchè egli disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozione di comune esperienza sufficienti a dar conto della decisione adottata, la quale può esser censurata in sede di legittimità ove la soluzione scelta non risulti sufficientemente motivata (Cass., 5 marzo 2007, n. 5302;

Cass., 4 gennaio 2002, n. 71).

Appare del tutto evidente, sulla base dell’affermazione sopra riportata, l’assenza di qualsiasi indicazione atta a giustificare la misura della riduzione della pur ritenuta iperbolica valutazione del consulente tecnico d’ufficio.

2.4 – La sentenza impugnata, pertanto, va cassata in relazione ai motivi accolti; il giudizio va rinviato alla stessa Corte di appello di Potenza, che in diversa composizione applicherà i principi sopra enunciati, determinando l’entità del risarcimento sulla base degli elementi acquisiti e disponendo, eventualmente, nuovi accertamenti peritali, provvedendo, altresì, al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il primo motivo del ricorso principale, accoglie il secondo e il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 18 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2011

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