Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2139 del 29/01/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 29/01/2018, (ud. 24/10/2017, dep.29/01/2018),  n. 2139

Fatto

RILEVATO

1. Che con sentenza del 28.1.2012 la Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello di C.A.M. avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva accolto l’opposizione della società San Raffaele spa al decreto ingiuntivo emesso il 15.3.2007 su ricorso della lavoratrice ed avente ad oggetto l’indennità sostitutiva della reintegrazione che era stata ordinata dal Tribunale di Velletri il quale, con sentenza del 13.6.2006 (depositata il 24.10.2006), aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato alla C. in data 31.5.2004.

2) Che la Corte d’appello ha ritenuto che l’opzione esercitata con lettera del 25.7.2006 dalla lavoratrice era avvenuta dopo che la datrice di lavoro, con lettera del 17.7.2006 (giunta a destinazione il 24.7.2006), aveva intimato alla dipendente un secondo licenziamento per raggiungimento dei limiti di età (licenziamento quest’ultimo non impugnato) e che, sebbene l’opzione in esame potesse essere esercitata anche prima del deposito della sentenza che ordina la reintegrazione, non prevedendo l’art. 18, comma 5 citato un dies a quo ai fini dell’esercizio di detta facoltà, l’attesa della lavoratrice sino al 25.7.2006 aveva di fatto generato il rischio della sopravvenienza di un’ autonoma causa risolutiva del rapporto di lavoro giuridicamente ripristinato, rischio imputabile in via esclusiva alla C..

3) Che, secondo la Corte territoriale, la sopravvenienza di una nuova causa estintiva del rapporto, quale il nuovo licenziamento non impugnato, rendendo giuridicamente impossibile la reintegrazione, estingueva altresì il diritto all’indennità sostitutiva posto che l’attualità dell’esistenza del rapporto di lavoro è presupposto necessario per la facoltà di scelta del lavoratore, presupposto venuto meno nel caso in esame in ragione del secondo licenziamento del 24.7.2006 che aveva determinato l’estinzione immediata del rapporto di lavoro, stante la natura obbligatoria del preavviso, rendendo inefficace l’opzione esercitata dopo l’estinzione del rapporto.

4) Che per la cassazione della sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso la società datrice di lavoro, con successivo deposito di memorie ex art. 378 c.p.c. di entrambe le parti.

5) Che il PG ha depositato conclusioni, richiedendo l’inammissibilità, in subordine il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

6) Che con l’unico motivo di gravame la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5 nella formulazione vigente ratione temporis e dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo la C. la norma di cui al citato art. 18, comma 5 prevede, contrariamente all’assunto della Corte territoriale, un dies a quo da cui far decorrere il termine di decadenza di trenta giorni, collegato alternativamente o alla data di ricevimento dell’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, oppure alla data di comunicazione di deposito della sentenza contenente l’ordine di reintegra; che pertanto ciò che rileva, trattandosi di un diritto potestativo soggetto ad un termine decadenziale, è il termine finale per manifestare la volontà optativa. Nel caso di specie, poichè la sentenza del tribunale di Velletri è stata depositata il 24.10.2006, secondo la ricorrente il termine di 30 giorni sarebbe scaduto il 23.11.2006 e pertanto l’opzione in data 25.7.2006 sarebbe stata effettuata ampiamente prima della scadenza del termine finale previsto dalla legge.

7) Che il motivo di ricorso è fondato. Occorre infatti precisare che è senz’altro vero, come affermato dalla Corte territoriale attraverso il richiamo di precedenti giurisprudenziali (cfr Cass. n. 25210/2006), che la L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5 si limita a fissare un termine di decadenza per l’esercizio della facoltà di opzione ma non stabilisce un dies a quo in relazione all’attivazione di quel potere. Ciò comporta, come peraltro esplicitato nella citata pronuncia della Suprema Corte, che debba ritenersi pienamente valida ed efficace l’opzione esercitata prima del deposito della sentenza che ha accertato l’illegittimità del licenziamento ed ha disposto la reintegra nel posto di lavoro (sul punto cfr. anche Cass.n. 2366/1997).

Tale affermazione, tuttavia, non contrasta con la necessaria previsione di un dies a quo ai fini del decorso del termine di decadenza di 30 giorni di cui al citato art. 18 comma 5.

8) Che il legislatore, pur non individuando un dies a quo per l’esercizio della facoltà di opzione, consentito anche in sede di ricorso di impugnativa del licenziamento o, comunque, prima del deposito della sentenza, ha chiaramente previsto il dies a quo, peraltro duplice e alternativo, ai fini del decorso del termine di decadenza per l’esercizio della citata facoltà.

9) Che occorre considerare che l’accertamento giudiziale dell’illegittimità del licenziamento ed il conseguente ordine di reintegrazione ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18 comportano la ricostituzione “de iure” del rapporto di lavoro il quale va considerato, quindi, come mai risolto. A seguito e per effetto della pronuncia dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento, il rapporto di lavoro tra le parti deve considerarsi ripristinato e, d’altra parte, se così non fosse, non sarebbe possibile l’intimazione di un secondo licenziamento.

10) Che con riferimento alla relazione tra reintegrazione e indennità sostitutiva, costituisce principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui l’indennità prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5 “si inserisce, in connessione con il diritto alla reintegra nel posto di lavoro, in un rapporto obbligatorio avente la struttura di un’obbligazione con facoltà alternativa dal lato del creditore, essendo attribuita al prestatore la facoltà insindacabile di – monetizzare – il diritto alla reintegrazione in una prestazione pecuniaria di ammontare fisso, pari a quindici mensilità di retribuzione”, (cfr. per tutte Cass. n. 25210/2006).

11) Che in particolare è stato evidenziato come “il diritto del lavoratore illegittimamente licenziato di ottenere, in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro, l’indennità sostitutiva deriva dall’illegittimità del licenziamento e sorge contemporaneamente al diritto alla reintegrazione”, (cfr. Cass. n.8015/2000; Cass. n. 2521072006).

12) Che deve pertanto ritenersi che, a seguito e per effetto della sentenza dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento, sorga in capo al lavoratore il diritto alla reintegrazione e, contemporaneamente, il diritto di ottenere, in alternativa, l’indennità sostitutiva, esercitando la relativa opzione nel rispetto del termine di decadenza così come previsto dal comma 5 del citato art. 18 con riferimento alle due ipotesi alternative del ricevimento dell’invito del datore di lavoro o della comunicazione del deposito della sentenza contenente l’ordine di reintegrazione. Ciò in quanto, fino allo scadere del suddetto termine di decadenza, il diritto del lavoratore di ottenere l’indennità monetaria al posto della reintegrazione, effetto delle statuizioni contenute nella sentenza dichiarativa dell’illegittimità del recesso, fa parte del patrimonio giuridico del medesimo e non può subire compressioni o limitazioni per cause sopravvenute, anche ove queste ultime rendano di fatto non più possibile la reintegrazione, come, ad esempio l’intimazione di un nuovo licenziamento da parte del datore di lavoro.

13) Che il richiamo della Corte territoriale al precedente di legittimità di cui alla sentenza del 4.11.2000 n. 14426, non risulta pertinente, atteso che tale pronuncia concerne l’ipotesi in cui, per causa sopravvenuta non imputabile al datore di lavoro, sia divenuto impossibile emettere un ordine giudiziale di reintegra, con conseguente ed inevitabile venir meno del diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva.

14) Che nel caso oggetto della presente causa, l’ordine giudiziale di reintegra era già stato emesso all’epoca del secondo licenziamento, con la conseguenza dell’essere il diritto di opzione già entrato nel patrimonio del lavoratore, come tale esercitabile nel termine di decadenza previsto e insensibile alle cause sopravvenute impeditive del concreto ripristino del rapporto. D’altra parte, ove si accedesse alla tesi fatta propria dalla Corte d’appello romana, si finirebbe per attribuire alla parte datoriale il potere di incidere sul patrimonio dei diritti già acquisiti del lavoratore, vanificando gli effetti della pronuncia giudiziale.

10) Che le considerazioni svolte portano, quindi, ad accogliere il motivo di ricorso e a cassare la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello, in diversa composizione, per un nuovo esame della fattispecie alla luce dei principi di diritto esposti in particolare al punto 12, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 24 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2018

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