Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21388 del 18/09/2013
Civile Sent. Sez. 2 Num. 21388 Anno 2013
Presidente: FELICETTI FRANCESCO
Relatore: D’ASCOLA PASQUALE
SENTENZA
sul ricorso 4463-2010 proposto da:
GUIDI GIUSEPPE GDUGPP47H17L017J, FORNASIERO MASSIMO
FRNMSM57B07H501N, STEFANI MARCO STFMRC61L17H501U,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 42,
presso lo studio dell’avvocato PITZOLU ANNA MARIA,
rappresentati e difesi dagli avvocati MARASCA GIANNI,
2013
GALVAGNO GUIDO ANDREA;
– ricorrenti –
1348
contro
ISMEA ISTITUTO SERVIZI MERCATO AGRICOLO ALIMENTARE
08037790584,
elettivamente
domiciliato
in
ROMA,
Data pubblicazione: 18/09/2013
r,
PIAZZALE AMMIRAGLIO BERGAMINI 12, presso lo studio
dell’avvocato CAMMARERI PIETRO, che lo rappresenta e
difende;
– controri corrente nonchè contro
– intimata –
avverso la sentenza n. 3884/2009 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 07/10/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/05/2013 dal Consigliere Dott. PASQUALE
D’ASCOLA;
udito l’Avvocato PITZOLU Anna Maria, con delega
depositata in udienza dell’Avvocato MARASCA Gianni,
difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento
del ricorso;
udito
l’Avvocato
Sergio
CAMMARERI
con
delega
depositata in udienza dell’Avvocato CAMMARERI Pietro,
difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per
improcedibilità del ricorso, in subordine il rigetto
del ricorso.
FALLIMENTO PRIMA SOCIETA’ COPERATIVA AGRICOLA SRL;
Svolgimento del processo
l) La Cassa Formazione Proprietà Contadina, ora Ismea, nel 1984
vendeva con patto di
riservato dominio
alla Coop Primo maggio
agricolo, poi Prima Società Coop Agricola srl, un fondo con
fabbricati rurali in Civita Castellana, verso corrispettivo di 30
Nel 1991, non avendo ricevuto alcuna rata, chiedeva al tribunale
di Roma la declaratoria di risoluzione del contratto.
Fallita la società e interrotto il processo, la Cassa inoltrava al
giudice delegato “istanza di revindica del fondo; il G.D.
disponeva la restituzione subordinatamente alla liquidazione dei
miglioramenti eseguiti.
La Cassa chiedeva e otteneva nell’aprile 1993 insinuazione al
passivo del Fallimento per un credito di circa 1.194 milioni a
titolo di indennizzo per l’utilizzazione del fondo tra il 1984 e
il 1993.
A seguito di discordanza tra la valutazione del c.t.u, che stimava
in 1.833 milioni di lire il valore dei miglioramenti e quella del
consulente di parte, che stimava la somma spesa per miglioramenti
in 198 milioni di lire, il giudice delegato rigettava l’istanza
della Cassa di restituzione del terreno.
1.1)La Cassa adiva allora, nel 1995, il tribunale capitolino,
chiedendo nei confronti della Cooperativa e dei tre agricoltori:
di dichiarare
la nullità
e comunque l’inefficacia del
contratto di cessione in enfiteusi che la
n. 4463-10 D’Ascola rei
P/k
Cooperativa aveva
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rate mensili di 108 milioni di lire circa ciascuna.
stipulato nel 1990 con i sigg. Giuseppe Guidi, Marco Stefani e
Massimo Fornasiero;
– l’accertamento di non dovere alcuna somma al Fallimento della
Coop per i miglioramenti, vantando un credito di 995 milioni per
differenza tra la somma ammessa allo stato passivo e il valore del
–
la risoluzione per inadempimento del contratto di vendita.
–
la condanna al rilascio dei beni.
Il Fallimento resisteva in giudizio,
tranne che con riferimento
alla domanda di nullità dell’enfiteusi.
Autorizzato, chiamava in causa i concessionari Guidi- Stefani Fornasiero per essere da loro garantito.
1.2) Il tribunale di Roma con sentenza 14 aprile 2003 dichiarava
la nullità del contratto di concessione in enfiteusi.
Dichiarava la
risoluzione del contratto di vendita, con condanna
dei convenuti e dei chiamati in causa al rilascio.
Determinava l’indennità
per i miglioramenti del fondo in euro
144.740.
Condannava il Fallimento al pagamento della somma di 200.000 euro
per
occupazione e sfruttamento del fondo dal 31 marzo 1993 fino
alla data della sentenza.
Condannava Guidi- Stefani – Fornasiero a manlevare il Fallimento
di quanto dovuto alla Cassa.
Investita da appello di Guidi- Stefani – Fornasiero, contumace il
Fallimento, la Corte d’appello di Roma il 7 ottobre 2009 rigettava
l’appello.
n.4463-1O D’Ascola rel
i(i
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migliorato.
Guidi- Stefani – Fornasiero hanno proposto ricorso per cassazione,
notificato il 9 febbraio 2010.
Ismea ha resistito con controricorso. Il Fallimento è rimasto
intimato.
Il 2 febbraio 2012 la discussione del ricorso è stata rinviata per
dell’udienza.
I difensori delle parti costituite hanno partecipato all’odierna
discussione.
Motivi della decisione
2) Il ricorso verte su due motivi, il primo relativo alla
dichiarazione di nullità del contratto di concessione in enfiteusi
stipulato tra la Cooperativa e i tre suoi soci chiamati in causa.
Il secondo volto a contestare l’azione di risoluzione contrattuale
intrapresa da Ismea.
2.1)Preliminarmente va chiarito che i ricorrenti sono legittimati
al ricorso, sebbene controparte contrattuale di Ismea sia stata la
Cooperativa, e il Fallimento sia stato il primo convenuto, per
duplice ordine di ragioni: perchè sono stati evocati in giudizio
da Ismea stessa, evidentemente per far constare anche nei loro
confronti ogni accertamento richiesto; perché sono stati chiamati
in causa dal Fallimento della Cooperativa per essere manlevato.
In tal caso, è applicabile la giurisprudenza di questa Corte,
secondo la quale: in tema di garanzia impropria, l’azione
•
principale e quella di garanzia sono fondate su due titoli diversi
e le relative cause sono scindibili, con la conseguenza che quando
n. 4463-10 D’Ascola rei
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il mancato perfezionamento dell’invio dell’avviso di fissazione
manchi da parte del convenuto soccombente l’impugnazione della
pronuncia sulla causa principale, su quest’ultima si forma un
giudicato, che non estende i suoi effetti a colui che risponde a
titolo di garanzia impropria. Pertanto, il terzo chiamato puo’
impugnare la sentenza anche rispetto alla statuizione sul rapporto
sul diverso rapporto che intercorre tra garante e garantito (Cass.
1680/12; 11454/03; 546/97).
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3)Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione
degli artt. 1357 cc. e segg.
La Corte di appello ha negato che nella vendita con riserva di
proprietà l’acquirente consegua immediatamente il diritto al
godimento, con possibilità di trasferirlo mediante enfiteusi.
Ha affermato che, ai sensi dell’art. 1357 cc.
rubrica
(il quale, sotto la
-Atti di disposizione in pendenza della condizione-
recita: “Chi ha un diritto subordinato a condizione sospensiva o
risolutiva può disporne in pendenza di questa; ma gli effetti di
ogni
atto
di
disposizione
sono
subordinati
alla
stessa
condizione”), poiché la vendita con riserva di proprietà è
contratto sottoposto a condizione sospensiva, la dazione in
enfiteusi era inefficace.
Inoltre ha osservato che le clausole 8 e 9 del contratto vietavano
la alienazione o la cessazione della coltivazione diretta del
fondo, nonché ponevano un vincolo trentennale di indivisibilità.
Ha rilevato che secondo l’art. 9 in caso di assegnazione del fondo
n. 4463-10 D’Ascola rei
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ilk
principale, ma soltanto nei limiti in cui questa abbia incidenza
ai soci il prezzo convenuto e le rate annuali dovevano consistere
in una quota del prezzo complessivo da ripartire tra assegnatari
secondo il vincolo di indivisibilità.
Ha ritenuto che
vi fosse stata violazione di queste clausole,
perché tale era una cessione in enfiteusi in perpetuo a soggetti
coltivazione del fondo, come soggetti distinti e non per conto
della Cooperativa. Ha ritenuto anche che l’assegnazione ad essi
violerebbe il vincolo di indivisibilità, non rispettando anche la
ripartizione del prezzo tra i soci. Ha concluso per la nullità
della enfiteusi.
Parte ricorrente censura questa decisione osservando che nella
vendita con riserva solo l’effetto traslativo è differito, mentre
gli altri effetti (consegna e godimento del bene) sono immediati,
con la conseguenza che il godimento potrebbe essere trasferito e
che l’enfiteusi sarebbe compatibile con il contratto di vendita
con riserva di proprietà.
Quanto alla clausola 9 osserva che la tenuità del canone trovava
la giustificazione nell’obbligo dell’enfiteuta di migliorare il
fondo e che il capitale per l’affrancazione era superiore al
prezzo dovuto alla Cassa.
Quanto alla clausola 8
sul divieto di alienare o cessare la
coltivazione sostiene che a coltivare erano soggetti soci della
Cooperativa.
3.1) Le doglianze sono prive di fondamento.
n. 4463-10 D’Ascola rei
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che, pur essendo soci, acquistavano ed esercitavano in proprio la
E’ noto che l’enfiteusi si configura come un diritto reale di
godimento a favore del concessionario o utilista sul fondo che
rimane di proprieta L del concedente, che si usa denominare titolare
del dominio diretto (cass 323/73; 4231/76).
Essa può essere istituita soltanto dal proprietario e giammai
poiché ex art. 1523 il compratore acquista la proprietà della cosa
soltanto con il pagamento dell’ultima rata di prezzo.
Egli non può pertanto esercitare il diritto nel senso di concedere
limitazioni che graverebbero sul diritto del venditore che è
ancora proprietario.
3.2)Va aggiunto che la Corte d’appello ha respinto l’appello
anche sulla base del rilievo che era contrattualmente vietata la
cessione a soggetti che, pur essendo soci, acquistavano ed
esercitavano in proprio la coltivazione del fondo, come soggetti
distinti e non per conto della Cooperativa.
Il cuore di questa
ratio decidendi,
costituito dall’esercizio in
proprio, cioè nell’interesse diretto dei concessionari e non della
Cooperativa, non è stato attaccato. Il ricorso non riesce ad
addurre nulla sul punto se non che i tre agricoltori erano anche
soci della Cooperativa, ma resta incontroverso che essi in forza
del singolare contratto di enfiteusi acquisivano un interesse
proprio prevalente su quello della Cooperativa stessa, almeno per
quanto riguarda la relazione con il fondo e quindi con la
proprietà.
s
n. 4463-10 D’Ascola rei
8
dall’acquirente in forza di vendita con riserva di proprietà,
4) Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 360 n. 3, 4, 5
in relazione alle norme relative all’equo compenso ed all’art.
1526 c.c..
(allora Cassa per la formazione della proprietà contadina) si era
insinuata nel fallimento per 1.194.497.359 lire, somma
comprendente tutte le rate di prezzo del suolo ed interessi di
mora.
Dalla sentenza emerge invece l’espresso accertamento che il
suddetto importo “non attiene al prezzo non corrisposto ma
all’equo compenso ed al risarcimento per l’occupazione e
l’utilizzo del bene” da parte del promissario acquirente, che non
avrebbe potuto conseguire l’acquisto a causa della domanda di
risoluzione contrattuale.
La domanda di ammissione al passivo non è quindi interpretabile,
come vorrebbe il ricorso, alla stregua di domanda di adempimento
per far valere il credito per il prezzo ex art. 72 L. Fall..
La censura viene però raddrizzata in prosieguo (pag. 12), laddove
si aggiunge che l’azione di risoluzione per inadempimento del
contratto di vendita non poteva essere proposta successivamente
all’apertura della procedura fallimentare.
Questa doglianza merita accoglimento.
Si desume dalla sentenza impugnata, e dalla stessa sequenza
ricostruita in controricorso, che l’azione di risoluzione per
n. 4463-10 D’Ascola rei
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La premessa della censura è errata, perché si afferma che Ismea
inadempimento proposta nel 1995 (cfr conclusioni riportate nella
sentenza di primo grado), che ha portato alla pronuncia di
risoluzione del contratto, non costituisce mera riassunzione
dell’azione intrapresa nel 1991, ma nuova iniziativa giudiziale.
A seguito della interruzione di quel giudizio , la Cassa tentò
dicembre 1992, di ottenere bonariamente la restituzione
dell’immobile, che fu disposta dal giudice delegato, ma
subordinatamente alla liquidazione dei miglioramenti. In esito
alla perizia all’uopo disposta, fallito l’accordo sull’entità
dell’importo spettante al fallimento per i miglioramenti, fu
avviata la causa che chiedeva la risoluzione del contratto,
unitamente alla declaratoria della nullità dell’enfiteusi,
all’accertamento negativo circa l’obbligo di rimborsare i
miglioramenti e alla liquidazione delle spettanze per
l’occupazione e lo sfruttamento del fondo.
4.1)
L’azione
di
risoluzione
però,
come
invano
dedotto
dall’appellante (cfr sentenza impugnata pag 4), era improponibile.
Consta infatti che
nella vendita con riserva di proprieta’ in
corso alla data della dichiarazione del fallimento del compratore,
il venditore ha facolta’: di richiedere la restituzione della cosa
(eventualmente anche dopo aver gia’ ottenuto l’ammissione al
passivo della parte di prezzo ancora dovutagli) nell’ipotesi di
scioglimento del contratto per non essersi il curatore (o
commissario) avvalso della facolta’ di subentrare nello stesso; di
proseguire l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento
n. 4463-10 D’Ascola rei
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infatti (controricorso pag. 21 e segg), con istanza del 29
del fallimento; non puo’, invece,
dopo tale dichiarazione, ove il
curatore si sia avvalso della facolta’ di subentrare nel contratto
in corso,
chiedere la risoluzione dello stesso per il pregresso
inadempimento del fallito,
perche’ il fallimento determina la
destinazione del patrimonio di quest’ultimo al soddisfacimento
posizioni giuridiche, con la conseguenza che la pronunzia di
risoluzione non puo’ produrre gli effetti restitutori e
risarcitori suoi propri, che sarebbero lesivi della “par condicio”
(Cass 2261/04)
Opportunamente il ricorso ricorda, citando Cass 376/98,
che non e’
idonea a costituire eccezione a tale principio la domanda di
risoluzione contrattuale fondata su di una clausola risolutiva
espressa riferita ad un inadempimento verificatosi in epoca
anteriore alla dichiarazione di fallimento
(come nella specie ha
stabilito la sentenza del tribunale confermata dalla Corte
territoriale),
se la domanda medesima risulti proposta dopo
l’apertura della procedura fallimentare
(Cass. 6952/00; 4365/01).
Ed è palese dal tenore dell’atto di citazione del 1995, che non fa
alcun cenno alla riassunzione del giudizio precedente al
fallimento (interrotto peraltro da tre anni), dal decorso di ogni
termine utile per una valida riassunzione e dalla richiesta di
risoluzione per inadempimento – e non di accertamento di avvenuta
risoluzione che la nuova iniziativa era slegata dalla
precedente.
n. 4463-10 D’Ascola rei
il
paritario di tutti i creditori e la cristallizzazione delle loro
Il secondo motivo va quindi accolto in questi limiti, ribadendo il
principio di diritto che il giudice di rinvio dovrà applicare,
come riassunto nelle massime di Cass. 2261/04 e 376/98 (e
successive conformi) sopraevidenziate graficamente.
Giova chiarire che l’accoglimento del motivo opera nei limiti
declaratoria di risoluzione del contratto nei confronti della
Cooperativa, sancita da sentenza di appello che il Fallimento
della Cooperativa non ha impugnato. Opera nei limiti in cui la
decisione ha effetto sul rapporto tra gli odierni ricorrenti e il
Fallimento, che li aveva citati per essere garantito da essi in
relazione alle domande svolte dalla ISMEA nei suoi confronti.
5) Vanno respinte altre due censure contenute in questo motivo.
La prima, relativa al vizio di ultrapetizione, concerne la
statuizione sull’equo compenso per l’uso del bene successivamente
al 1993.
Il vizio denunciato non sussiste, giacchè dall’atto di citazione è
ben leggibile (pag. 9 terzo rigo e segg.) che tali somme erano
state chieste sin dall’avvio del giudizio.
6) La seconda concerne la pretesa incompetenza del giudice adito
circa crediti già oggetto di domanda di ammissione al passivo.
In proposito il ricorso è carente quanto a specificità, perché non
riporta né puntualizza, con il debito confronto degli atti, a
quali domande si riferisca, a quali atti e dove siano stati
prodotti
(SU
22726/11;
20535/09).
Non
allega
neppure
la
tempestività della proposizione dell’eccezione di incompetenza.
n. 4463-10 D’Ascola rei
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fissati nel paragrafo 2.1), cioè non pone nel nulla la
Immeritevole di considerazione è poi il richiamo ai motivi di
appello “da intendersi qui trascritti integralmente”, vano
tentativo di trasformare il giudice di legittimità in giudicante
di un inesistente terzo grado di giudizio di merito.
Discende da quanto esposto la cassazione della sentenza impugnata
sezione della Corte di appello di Roma, che provvederà anche sulle
spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale.
Accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo motivo di
ricorso.
Cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e
rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che
provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di
legittimità.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della Sezione tenuta
il 21 maggio 2013
in relazione al motivo accolto e il rinvio della causa ad altra