Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21387 del 15/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 15/09/2017, (ud. 16/06/2017, dep.15/09/2017),  n. 21387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12845-2016 proposto da:

V.A., domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO

CECCANTI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE TORINO, domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPINA

ISABELLA GIANOTTI in virtù di procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6478/2015 del TRIBUNALE di TORINO, depositata

il 05/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/06/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

V.A. proponeva opposizione dinanzi al Giudice di Pace di Torino avverso l’ordinanza ingiunzione relativa al pagamento della sanzione amministrativa per violazione del C.d.S., assumendo che il credito era estinto attesa la mancata tempestiva notificazione del verbale relativo alla violazione commessa.

Nella resistenza del Comune di Torino, il giudice di prime cure annullava l’ingiunzione di pagamento, ma confermava il verbale di accertamento, disponendo che la sanzione fosse contenuta nel minimo edittale di Euro 330,00.

Avverso tale sentenza proponeva appello con citazione notificata in data 28 gennaio 2014 il V., reiterando i motivi già posti a fondamento dell’opposizione.

Il Tribunale, sempre nella resistenza del Comune appellato, che proponeva a sua volta appello incidentale, con la sentenza n. 6478 del 5 novembre 2015, in accoglimento del gravame incidentale rigettava integralmente l’opposizione come proposta dal V., confermando la validità dell’ingiunzione di pagamento opposta.

Si osservava che il giudice di pace era pervenuto al parziale accoglimento dell’opposizione per la circostanza della mancata rituale notifica del verbale al contravventore, senza però tenere conto dell’effettivo andamento dei fatti.

Ed, infatti, dal verbale di contestazione del (OMISSIS) emergeva che l’autore del verbale aveva immediatamente contestato al V. le infrazioni commesse, ma che non era stato possibile consegnargli una copia del verbale in quanto questi si era allontanato con urgenza.

Dalla relazione di servizio del verbalizzante risultava altresì che l’appellante principale dopo poco si era ripresentato sui luoghi fotografando l’agente intento a compilare il verbale.

A tal fine, ha osservato che deve distinguersi tra la contestazione e la verbalizzazione, la quale ultima rappresenta un’attività materiale volta ad offrire la rappresentazione dei fatti costituenti il comportamento contra legem.

L’art. 200 C.d.S. prevede appunto che la violazione debba essere immediatamente contestata al trasgressore e che debba essere redatto anche un verbale che contenga le eventuali dichiarazioni degli interessati, verbale una cui copia deve essere consegnata al trasgressore, ovvero all’obbligato in solido, se presente.

Tuttavia la giurisprudenza di legittimità, proprio in ragione dell’autonomia tra le due attività, ha ritenuto che una volta avvenuta la contestazione, la mancata consegna del verbale non incide in maniera determinante sulla legittimità del procedimento sanzionatorio.

Ciò avviene sicuramente laddove, come accaduto nella fattispecie, l’autore dell’illecito amministrativo deliberatamente decida di non attendere la stesura del verbale, analogamente a quanto deve opinarsi per la diversa ipotesi in cui il trasgressore esplicitamente rifiuti di ricevere copia del verbale.

Deve quindi ribadirsi l’autonomia tra contestazione, verbalizzazione e consegna del verbale e che ai fini della legittimità della procedura rileva che la contestazione sia avvenuta con immediatezza, come nel caso esaminato.

La mancata consegna del verbale non è quindi imputabile agli agenti accertatori, ma allo stesso appellante, sicchè, avendo questi ricevuto la contestazione immediata delle violazioni commesse, non può addurre a sostegno dell’opposizione la circostanza della mancata consegna del verbale.

V.A. ha proposto ricorso avverso la sentenza del Tribunale sulla base di un motivo.

Il Comune di Torino ha resistito con controricorso.

Preliminarmente deve essere rilevata l’inammissibilità dell’appello a suo tempo interposto avverso la sentenza del giudice di pace.

Infatti, trattandosi di giudizio già intrapreso in primo grado dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011 trova applicazione il principio, affermato da questa Corte, per il quale (cfr. Cass. n. 25061/2015) il giudizio di opposizione a verbale di accertamento di violazione di norme del C.d.S., instaurato successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, è soggetto al rito del lavoro, sicchè l’appello avverso la sentenza di primo grado, da proporsi con ricorso, è inammissibile ove l’atto sia stato depositato in cancelleria oltre il termine di decadenza di trenta giorni dalla notifica della sentenza o, in caso di mancata notifica, nel termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., senza che incida a tal fine che l’appello sia stato irritualmente proposto con citazione, assumendo comunque rilievo solo la data di deposito di quest’ultima.

Ne consegue che nella fattispecie l’appello andava introdotto con ricorso e non come invece avvenuto con citazione, e che sebbene la notifica dell’appello sia intervenuta in data 3/2/2014, l’atto è stato poi depositato in cancelleria (momento in relazione al quale va verificata la tempestività dell’appello per quanto sopra detto) solo in data 12/02/2014, risultando quindi tardivo in relazione alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado avvenuta il 20 giugno 2013, considerata l’applicabilità alla fattispecie del termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c. come novellato dalla L. n. 69 del 2009, e tenuto altresì conto del periodo di sospensione feriale.

Trattasi peraltro di conclusione che si conforma ad un orientamento costante nella giurisprudenza di questa Corte, essendosi affermato: (a) per un verso, che nelle controversie soggette al rito del lavoro, l’inammissibilità dell’impugnazione, perchè depositata in cancelleria oltre il termine di decadenza, non trova deroga nell’ipotesi in cui l’appello sia stato irritualmente proposto con citazione anzichè con ricorso, laddove l’atto, pur suscettibile di sanatoria ai sensi dell’art. 156 c.p.c., u.c., non venga depositato entro il termine per proporre impugnazione (Cass., Sez. lav., 10 luglio 2015, n. 14401); (b) per l’altro verso, che, in forza del D.Lgs. n. 150 del 2011, ai giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione e a quelli di opposizione a verbali di accertamento di violazioni del codice della strada, introdotti dopo il 6 ottobre 2011, si applica il rito del lavoro, e in particolare l’art. 434 c.p.c., sicchè, in detti giudizi, l’appello deve essere proposto in forma di ricorso, con le modalità e nei termini ivi previsti, e ai fini della tempestività del gravame vale la data di deposito dell’atto introduttivo (Cass., Sez. 6-2, 7 novembre 2016, n. 22564).

Nè appare possibile superare la decadenza maturata a carico dell’appellante disponendo la conversione del rito, introdotto con citazione invece che con ricorso, e facendo conseguentemente applicazione, in grado di appello, del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, comma 5, che per il caso di mutamento del rito prevede che “gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento”.

Infatti, tale norma non può trovare qui applicazione, essendo riferita – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. 6-1, 6 luglio 2016, n. 13815; Cass., Sez. 6-1, 16 febbraio 2017, n. 4103; Cass., Sez. 6-1, 12 maggio 2017, n. 11937; Cass., Sez. 6-1, 16 maggio 2017, n. 12133) – al solo mutamento del rito disposto in primo grado, non già in grado di appello, atteso che – come già è stato chiarito da Cass., Sez. 6-1, 18 agosto 2016, n. 17192 – l’art. 4 dispone la salvezza degli effetti processuali della domanda secondo le norme del rito seguito prima del mutamento nel contesto di una disposizione che prevede, al comma 2, che la conversione del rito venga pronunciata “non oltre la prima udienza di comparizione delle parti”. La norma in esame riguarda il solo caso in cui il giudizio sia stato erroneamente instaurato in primo grado secondo un rito difforme da quello previsto dalla legge, e non può quindi essere estesa all’ipotesi in cui l’errore sia caduto sulle modalità di proposizione dell’appello, essendosi correttamente svolto il primo grado nelle forme prescritte.

Ne discende l’inammissibilità dell’appello proposto.

Da ciò consegue altresì che, in assenza di un’espressa decisione del giudice di appello che abbia negato l’esistenza della causa di inammissibilità, questa Corte deve rilevare d’ufficio l’inammissibilità maturata (cfr. ex multis e da ultimo, Cass. n. 15370/2016, per la quale la rilevazione del giudicato formale può avvenire d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, senza che possa ritenersi precluso il suo rilievo ad istanza della parte interessata per effetto della sua precedente inerzia o per effetto del mancato svolgimento di attività difensiva in sede di legittimità). Ne discende che la sentenza impugnata dev’essere cassata senza rinvio ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, perchè l’appello non poteva essere proseguito.

Da tanto deriva altresì che resta ferma la decisione resa dal primo giudice.

Le spese del presente grado e del giudizio di appello seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Poichè l’appello ed il ricorso sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 ed il primo è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le due impugnazioni.

PQM

 

Cassa senza rinvio la sentenza impugnata perchè il giudizio di appello non poteva essere proseguito e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida per il giudizio di appello in complessivi Euro 495,50 di cui 55,50 per esborsi, e per il giudizio di legittimità in complessivi Euro 600,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per l’appello e per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2017

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