Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21385 del 17/10/2011

Cassazione civile sez. I, 17/10/2011, (ud. 11/05/2011, dep. 17/10/2011), n.21385

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23276/2005 proposto da:

B.P. (c.f. (OMISSIS)), non in proprio ma nella

qualità di procuratore di B.C.U., nella qualità

di eredi di B.A., B.S.C. (C.F.

(OMISSIS)), B.L. (C.F. (OMISSIS)),

BA.AN. (C.F. (OMISSIS)), nella qualità di eredi

di L.A., C.M. (C.F. (OMISSIS)) in

proprio, B.L., non in proprio ma nella qualità di

procuratrice di L.M., R.R. (C.F.

(OMISSIS)), R.G. (C.F. (OMISSIS)),

R.P.L. (C.F. (OMISSIS)), non in proprio ma

nella qualità di erede di L.A., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA PRINCIPESSA CLOTILDE 7, presso l’avvocato

TONUCCI Mario, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CAMPAGNI FRANCO BRUNO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI PRATO (C.F. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14,

presso l’avvocato BARBANTINI Maria Teresa, che lo rappresenta e

difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 808/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 23/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2011 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato COMPAGNI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato BARBANTINI che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso

con condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.P., quale procuratore di B.C.U., B.S.C., B.L., C.M., B.L., procuratrice di L.M., R. R., R.G., R.P.L. e B. A., riassumevano con distinti atti di citazione, davanti alla Corte d’appello di Firenze, a seguito della declaratoria di incompetenza funzionale dichiarata dal Tribunale di Prato con le sentenze 25/9-28/11/02 e 14/5-30/7/03, i giudizi instaurati contro il Comune di Prato, per La condanna al pagamento del conguaglio del prezzo di cessione di due appezzamenti di terreno, acquisiti dall’Ente territoriale nell’ambito di una procedura espropriativa, della superficie rispettivamente di mq. 17990, alienato da L. A. (a cui erano succeduti gli eredi B.C.U., S.C., L. ed An.), da L.A. (a cui orano succeduti gli eredi R.G., R. e P. L.) e da L.M., e di mq. 220, alienato da L. A., a cui erano succeduti gli eredi già indicati, e da C. M..

Gli attori sostenevano la natura edificatoria dei terreni e pertanto chiedevano la determinazione dell’indennità di esproprio L. n. 359 del 1992, ex art. 5 bis e dell’indennità di occupazione legittima, con condanna del Comune alla corresponsione della differenza tra quanto già corrisposto in forza del contratto di cessione e l’indennità definitiva, oltre interessi e maggior danno, nonchè all’ulteriore corrispettivo per l’indennità di occupazione, oltre interessi legali e maggior danno, atteso che nelle premesse dell’atto di cessione l’indennità corrisposta era stata espressamente considerata come “provvisorio corrispettivo dei beni espropriati e salvo eventuale conguaglio che risulterà dovuto dopo l’emanazione delle nuove norme che regoleranno la materia”.

Il Comune di Prato si costituiva e resisteva alle domande attoree.

Le due cause venivano riunite ed istruite documentalmente.

La Corte d’appello, con sentenza depositata il 23/5/2005, ha rigettato la domanda degli attori in riassunzione e condannato gli stessi alla rifusione al Comune delle spese di lite.

La Corte fiorentina ha rilevato che: 1) dal certificato di destinazione urbanistica in atti, risultava che i terreni ceduti da L.A., L.M. e C.M. al Comune di Prato, in data 15/6/1981, per la realizzazione della ” (OMISSIS)”, avevano secondo il PRG in vigore alla data della cessione (c.d. Piano Marconi), la destinazione: “mobilità delle grandi tangenziali come definite dall’art. 23 delle NTA”; 2) secondo i riassumenti, il vincolo in oggetto, in guanto finalizzato all’esproprio, non poteva essere valutato ai fini della determinazione della indennità di espropriazione, per cui si sarebbe dovuta valutare l’edificabilità legale alla stregua dello strumento urbanistico preesistente (invero, inesistente, in quante li programma di fabbricazione adottato nel 1963 non era stato mai approvato) ed in difetto, fare riferimento alla edificabilità di fatto, nella specie sussistente, come accertato dal C.T.U.; 3) alla stessa conclusione intendevano pervenire i riassumenti, sostenendo che, essendo decadute per decorso del tempo le norme di salvaguardia del Piano Marconi, attuate in attesa della approvazione dello stesso, avvenuta nel 1971, ed in forza delle quali il Comune aveva deliberato il progetto dell’opera pubblica, le aree all’epoca della cessione erano divenute “zone bianche”, in quanto prive di previsioni urbanistiche, da cui l’adozione del criterio della edificabilità di fatto, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio; 4) in ogni caso, secondo gli atti, all’atto della cessione, il vincolo imposto dal PRG sarebbe decaduto per decorrenza del termine quinquennale L. n. 1137 del 1968, ex art. 2.

La Corte del merito ha quindi ritenuto la rilevanza ai fini indennitari della previsione urbanistica in vigore alla data della cessione del 15/6/1981, da cui l’irrilevanza delle previsioni dello strumento urbanistico precedente, ovvero della mancanza di questo, e dell’approvazione del progetto dell’opera pubblica, avvenuta sulla base dei PRG solo adottato, inlnfluente sul valore del bene, quale vincolo espropriativo.

Ha confutato la tesi degli attori,secondo cui la previsione del Piano Marconi di destinare a “tangenziale” i terreni ceduti, costituiva vincolo espropriativo, rilevando, alla stregua della giurisprudenza dei S.C., che si trattava di opera di grande respiro, tale da interessare, nel suo snodarsi, una innumerevole serie di aree, nè rilevava che i terreni ceduti fossero stati destinati ad una viabilità interna di una zona edificata della città, indicata da uno dei CC.TT.UU. come zona B, atteso che la previsione delle opere di viabilità previste nel piano di zona adottato dal Consiglio Comunale nel 1969, nel vigore quinquennale delle norme di salvaguardia del PRG, e successivamente approvate con ulteriore delibera del 1971, stava a significare che questi atti dell’Amministrazione erano stati emanati proprio in previsione della futura approvazione dello stesso PRG, avvenuta poco dopo la delibera del 1971; occorreva pertanto lare riferimento solo al Piano Marconi ed alle sue previsioni di ordine generale, da cui l’ulteriore conseguenza che all’approvazione del progetto della viabilità riguardante le aree cedute e non alle prescrizioni, sul punto dei PRG doveva essere riconosciuta natura di vincolo preordinato all’esproprio.

Dette argomentazioni, continua la Corte, privavano di rilievo la seconda argomentazione degli attori, perchè, non dovendosi tenere conto del vincolo espropriativo (ritenuto temporalmente decaduto), la natura agricola o edificatoria andava verificata alla data di compimento della procedura ablatoria.

Infine, la decadenza quinquennale dei vincoli contenuti nei PRG riguardava solo quelli eccezionalmente imposti a titolo particolare, e comunque, doveva ritenersi che la destinazione delle aree fosse avvenuta nel rispetto di detto termine, non sedo perchè effettuata con la delibera del 1969 di adozione del piano di zona in periodo di salvaguardia, ma soprattutto perchè approvata dall’organo regionale con la delibera del 19/7/1973.

Avverso detta pronuncia ricorrono per cassazione B.P. quale procuratore di B.C.U. + altri, sulla base di sei motivi.

Resiste con controricorso il Comune.

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 348 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1- Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano vizio di violazione e/o falsa applicazione di legge, con riferimento all’art. 112 c.p.c., e vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, con riguardo alle istanze e/o deduzioni istruttorie.

Secondo i ricorrenti, la Corte del merito avrebbe omesso di valutare, e comunque ignorato, le risultanze delle C.T.U. espletate nella prima fase del giudizio acquisite agli atti e nel giudizio riassunto, come trascritte nei punti essenziali, ed ha omesso di decidere sulle concordi richieste di ammissione di C.T.U..

1.2.- Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per vizio di violazione e/o falsa applicazione di legge e di motivazione, illogica e contraddittoria, per avere la Corte fiorentina ritenuto la natura conformativa del vincolo in quanto “grande viabilità del previsto Piano Regolatore Generale del 1971 c.d. Marconi”, indicando alla data della cessione del 15/7/1981, l’epoca della destinazione urbanistica dei terreni, senza considerare le risultanze de contratto di cessione ed il decreto prefettizio del 18/7/1973 n. 355, di dichiarazione di pubblica utilità delle opere, da cui risulta, in tesi, che l’opera pubblica di cui è causa è stata imposta a mezzo della Delib. comunale n. 144 del 1967 e Delib.

Comunale n. 431 del 1971, quali atti di terzo livello, e che dette opere erano finalizzate alla viabilità di quartiere; è mera affermazione del Giudicante, non suffragata da alcuna prova, l’argomentazione che si trattava di viabilità “funzionale ad un più ampio e generale disegno”.

1.3- Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano vizio di violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e L. n. 10 del 1977, art. 4, e vizio di omessa e/o carente motivazione su punto decisivo della controversia, in quanto, se occorre fare riferimento alle previsioni urbanistiche vigenti alla data della cessione, allora non dovevano ritenersi vigenti le previsioni del Piano Marconi perchè scaduto alla data del 15/7/1981 e non ancora in vigore la Variante Generale di detto P.R.G., adottata con Delib. consiliare 15 luglio 1981, n. 472, per cui, trattandosi di zona bianca, si sarebbe dovuto fare riferimento alla edificabilità di fatto.

1.4.- Con il quarto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per vizio di violazione e/o omessa applicazione della L. n. 865 del 1971, artt. 16 e 19, con riferimento alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, e di omessa e/o carente motivazione, nonchè omessa pronuncia su punto decisivo della controversia, con riguardo alla domanda, ex art. 112 c.p.c..

Secondo il contratto, art. 3, “l’indennità corrisposta con il presente atto è comprensiva della indennità di occupazione fino al 30 giugno 1930”: i Giudici fiorentini si sono limitati a rigettare le domande proposte, in ragione della ritenuta “natura agricola” dei terreni, mentre avrebbero dovuto accertare la congruità delle indennità di esproprio ed occupazione corrisposte a titolo di acconto e rideterminare gli importi alla data del contratto del 15/6/1981, ricalcolando anche l’indennità di occupazione sino alla data di cessione: nella Delib. Consiglio comunale 11 dicembre 1980, n. 885, allegata al contratto, si fa riferimento ai prezzi di cui al prospetto, calcolati in base alle Tabelle regionali pubblicate nel Bollettino Ufficiale della Regione Toscana n. 15 del 29/3/1979, il Comune ha calcolato l’indennità secondo i valori agricoli del 1978 calcolando l’indennità di occupazione sino al 30/6/1980, anzichè al 15/6/1981, mentre il valore agricolo doveva quantificarsi all’anno 1981, attraverso il B.U.R.T. del 29/4/1982 n. 26, nel maggiore importo di L. 760 al mq., e tale censura trova riscontro nel supplemento di C.T.U..

1.5.- Con il quinto motivo, i ricorrenti denunciano vizio di violazione di norme di diritto, art. 1, 1^ Prot. della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, come recepita dalla L. n. 848 del 1955, art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea-Mizza, 7 dicembre 2000, come recepita dalla Convenzione Europea 1366/2003, approvata il 18/6/2004, nonchè vizio di motivazione. Come ritenuto nella sentenza CEDU 29/7/2004, Scordino c. Italia, che nella materia regolata dalla Convenzione costituisce diritto vivente, l’art. 17 della Convenzione va interpretato nel senso che la “giusta indennità” equivale al valore di mercato, per cui la Corte fiorentina nell’applicare retroattivamente al contratto del 1981 la disciplina della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e nel determinare la giusta indennità con riguardo ai valori agricoli anzichè ai valori di mercato, prescindendo dalla effettiva destinazione dell’area, ha violato l’art. 17 CEDU come interpretato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Nella memoria ex art. 378 c.p.c., i ricorrenti, in relazione al quinto motivo, hanno sollevato eccezione di illegittimità costituzionale del combinato disposto della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 4, e della L. n. 865 del 1971, art. 16, commi 5 e 6, per violazione dell’art. 117 Cost., con riferimento all’art. 1 del 1^ Protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nonchè dell’art. 42 Cost., comma 3, ed in subordine, ricorrendo le condizioni di cui all’art. 234, comma 3 Trattato Comunità Europea, hanno chiesto che la Corte adita, previa sospensione del giudizio, voglia rimettere alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale come prospettata.

1.6.- Con il sesto motivo, i ricorrenti denunciano violazione e/o errata applicazione dell’art. 91 c.p.c. e delle disposizioni del D.M. n. 585 del 1994, errata e/o illogica motivazione, per avere la Corte del merito applicato illegittimamente il principio della soccombenza, non considerando che alla data di introduzione del giudizio, il diritto era fondato, ed in ogni caso, per avere violato le Tariffe forensi, liquidando Euro 12.000,00 per onorario, mentre, atteso che il valore della causa è risultato di L. 25.900.000, gli onorari massimi ammontano a Euro 3.400,00.

2.1.- I motivi da uno a cinque dei ricorso, attinenti alle censure relative alla congruità del corrispettivo della cessione, vanno esaminati congiuntamente e devono ritenersi infondati, per le considerazioni di seguito esposte.

La. Corte del merito ha ritenuto le aree in oggetto come non edificabili, alla stregua delle previsioni dello strumento urbanistico in vigore alla data della cessione, che attribuivano alle stesse la destinazione di “mobilità delle grandi tangenziali come definite dall’art. 23 delle NTA”; dalla natura dell’opera da realizzare, la Corte del meri Lo ha tratto il convincimento che si trattava di “un’opera di grande respiro che abbraccia, nel suo snodarsi (nella destinazione urbanistica si parla di “grandi tangenziali”) un’innumerevole serie di aree alle quali non è, per ciascuna di esse, direttamente e strettamente funzionale”.

Così argomentando, la Corte del merito ha reso corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte,secondo i quali, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, l’accertamento delle possibilità legali ed effettive di edificazione prescinde dall’incidenza del vincolo urbanistico preordinato ad esproprio, ma tiene conto del regime urbanistico dell’area al momento del decreto di espropriazione, in attuazione delle cui previsioni generali, mediante la dichiarazione di pubblica utilità, è stato apposto il vincolo, dovendosi escludere che tale regime vada accertato risalendo ad una pianificazione anteriore, non più attuale, nel senso esattamente che la natura del suolo non può essere desunta da un’antica classificazione dell’area o addirittura dalla condizione pre-urbanistica della stessa, occorrendo avere riguardo alla disciplina attribuita alla zona dal piano regolatore generale, sempre che ad essa possano riconoscersi caratteri di generalità ed astrattezza, atti ad escludere il carattere espropriativo del vincolo (così le pronunce 19924/2007, 13199/2006, 11322/2005, tra le tante).

Contenendo detto piano di regola il programma generale di sviluppo urbanistico ed essendo le previsioni necessariamente genetiche in esso contenute subordinate alle caratteristiche fisico-geografiche del territorio comunale, la destinazione di parte del medesimo territorio a determinati usi, pur preludendo ad una possibile acquisizione pubblica dei suoli necessari, resta estranea alla vicenda espropriativa, in modo che, anche se non può escludersi in particolari casi che la destinazione di singole aree, in genere rimessa alle previsioni dello strumento di attuazione, sia direttamente indicata dal piano regolatore generale, l’inserimento delle opere di viabilità nel piano stesso (L. n. 1150 del 1942, art. 7, comma 2, n. 1), pur comportando un vincolo di inedificabilità del le parti del territorio assoggettate a destinazione viaria e di rispetto, con le relative conseguenze nella scelta del criterio di determinazione dell’indennità di esproprio all’interno del sistema costituito dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, basato sulla inedificabilità o meno dei suoli, non concreta un vincolo preordinato all’esproprio, a meno che tale destinazione non sia assimilabile all’indicazione delle reti stradali all’interno ed a servizio delle singole zone (L. n. 1150 del 1942, art. 13), di regola rimessa allo strumento di attuazione, come tale riconducibile ai vincoli imposti a titolo particolare di carattere espropriativo, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione lenticolare di un’opera pubblica, incidente su specifici beni (così la pronuncia 19.924 del 2007, e conf. 13199/06, 20252/2006, tra le tante).

E nel caso,come apprezzato in fatto dalla Corte territoriale, si è trattato non già di un intervento servito ad una porzione circoscritta del territorio comunale, ma di grande viabilità (“grandi tangenziali”), di talchè si appalesa corretta la determinazione del Giudice del merito che non ha tenuto in considerazione le risultanze delle C.T.U., basate su diversi criteri, generiche “verifiche effettuate” e sul Regolamento edilizio del 1911, che non poneva ostacoli alla realizzazione di indici volumetrici diffusi in ogni zona del territorio urbano.

E’ pertanto dirimente il rilievo che la Corte d’appello ha tratto il proprio convincimento in ordine alla destinazione urbanistica, dell’area dal certificato di destinazione urbanistica, si che le generiche osservazioni formulate dai C.T.U., basate su criteri non adottati dalla Corte del merito, non potevano trovare accoglimento.

Nè infine residua il vizio motivazionale dedotto dai ricorrenti, atteso che la decisione è fondata sugli specifici elementi evidenziati, di talchè non è prospettabile in alcun modo il nesso causale tra mancata ammissione dell’incombente richiesto e la decisione.

Assorbiti pertanto gli altri motivi del ricorso,con i quali gli espropriati ripropongono la destinazione edificatoria dei loro terreni in base a criteri ricognitivi diversi da quello introdotto dall’art. 5 bis, e fondati esclusivamente sulla classificazione attribuita all’area dagli strumenti urbanistici di carattere generale, Collegio deve concludere che una volta accertata la natura non edificatoria dei suoli, il ricorso doveva essere dichiarato inammissibile, avendo per oggetto un contratto di cessione volontaria della L. n. 865 del 1971, ex art. 12, comma 1. Ed invero l’opposizione introdotta dal successivo art. 19 della stessa legge è rivolta esclusivamente contro la determinazione definitiva dell’indennità da parte della Commissione provinciale, che presuppone una situazione opposta a quella provocata dalla cessione volontaria: e cioè che l’espropriato non abbia accettato l’indennità, perciò obbligando l’espropriante a chiederne la stima alla Commissione suddetta ed a conseguire il decreto di espropriazione.

Neppure è invocabile la speciale azione di determinazione dell’indennità sostanzialmente introdotta dalla nota sentenza 67/1990 della Corte Costituzionale, richiedendo anch’essa il conseguimento del decreto di espropriazione, che è situazione alternativa ed incompatibile rispetto a quella ipotizzata dal ricordato art. 12 di avvenuta conclusione dei contratto di cessione volontaria (Cass. 7400/2003; 5513/2000; 11370/1999).

Ed infine a nulla rileva l’eventualità di un conguaglio previsto nel contratto suddetto, poichè lo stesso presuppone il carattere provvisorio dell’indennità pattuita tra le parti ed è perciò riferibile esclusivamente all’ipotesi indicata dalla L. n. 385 del 1980, art. 1 (dichiarata incostituzionale dalla nota sentenza 223/1983 della Corte Costituzionale) di terreno edificatale, in cui l’indennità doveva provvisoriamente stimarsi con i criteri peculiari dei suoli agricoli; e la stessa legge ne prevedeva il conguaglio in occasione della nuova disciplina che la rideterminasse.

Conclusivamente, siccome l’opposizione alla determinazione dell’indennità risultava inammissibile, deve essere respinto il ricorso contro la statuizione della Corte di appello che la stima suddetta. ha mantenuto comunque immutata rispetto all’importo stabilito nel contratto di cessione, restando assorbite tutte le ulteriori, censure relative alla congruità del corrispettivo della cessione.

2.2.- Il sesto motivo, nelle due prospettazioni fatte valere, è infondato.

Quanto al primo profilo, premesso che la Corte d’appello ha liquidato solo le spese del giudizio di riassunzione, è dirimente il rilievo che gli attori hanno riassunto la controversia nel 2003, quando erano chiari i connotati normativi della fattispecie di cui è causa.

E’ altresì infondato il secondo profilo del sesto motivo, atteso che la Corte d’appello ha liquidato le spese tenendo conto dello scaglione superiore al prezzo di cessione bonaria, in quanto la domanda di conguaglio era volta ad ottenere una somma maggiore di quella già corrisposta; le pronunce del S.C. richiamate darla difesa dei ricorrenti, 226/201 e 3996 del 2010, attengono al diverso profilo della individuazione dello scaglione tariffario, ai fini della determinazione degli onorari dovuti dal cliente al proprio difensore, mentre nel caso, vertendosi nella diversa fattispecie del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il valore della, controversia va fissato, in armonia con il generale principio di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera professionale effettivamente prestata, quale desumibile nell’interpretazione sistematica dell’art. 6, commi 1 e 2 della Tariffa approvata con D.M. 5 ottobre 1994, n. 585 del Ministro di grazia e giustizia, sulla base del criterio del “disputatimi” (così Cass. 536/2011 e la sentenza delle Sezioni Unite 19014 del 2007).

2.3.- Conclusivamente, il ricorso va respinto.

Attesa la particolarità della situazione di specie, si reputa equo compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

ha Corte rigetta il ricorso; spese del giudizio di legittimità compensate.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2011

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