Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21383 del 24/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 24/10/2016, (ud. 20/07/2016, dep. 24/10/2016), n.21383

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1570/20014 proposto da:

M.A., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato VALFREDO NICOLETTI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

ATM – AZIENDA TRASPORTI MILANESI S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato TRIFIRO’

& PARTNERS, la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIACINTO FAVALLI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 113/2013 della CORT4E D’APPELLO DI MILANO,

depositata il 05/04/2013 r.g.n. 1267/2012;

udita la relazioone della causa svolta nella pubblica udienza del

20/07/2016 dal Consigliere dott. ANTONIO MANNA;

udito l’avv. PANETTA MASSIMILIANO per delega avv. TRIFIRO’ SALVATORE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 19.6.13 la Corte d’appello di Milano rigettava il gravame del conducente di linea M.A. contro la sentenza n. 4743/11 (del Tribunale della stessa sede) che ne aveva respinto la domanda di invalidazione del provvedimento disciplinare della destituzione inflittogli da ATM – Azienda Trasporti Milanesi S.p.A. (qui di seguito, più brevemente, ATM) per aver provocato due sinistri stradali, uno dei quali mortale.

Per la cassazione della sentenza ricorre M.A. affidandosi a cinque motivi.

ATM resiste con controricorso.

Le parti depositano memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di tardività del ricorso sollevata dalla società controricorrente, dal momento che la sentenza impugnata è stata depositata il 19.6.13 e che l’invio della racc. mediante la quale è stato notificato il ricorso è avvenuto il 19.12.13, vale a dire l’ultimo giorno utile alla stregua del termine lungo semestrale previsto dall’art. 327 c.p.c. nuovo testo.

Infatti, per tale termine – come per tutti quelli mensili o annuali – si osserva, a norma dell’art. 155 c.p.c., comma 2 e art. 2963 c.c., comma 4, il sistema di computo civile, non ex numero bensì ex nominatione dierum, nel senso che il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel periodo, allo spirare del giorno corrispondente a quello del mese iniziale (cfr., per tutte, Cass. n. 22699/13).

Inoltre, il principio della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e il destinatario, previsto dall’art. 149 c.p.c., u.c., è applicabile anche alla notificazione effettuata dall’avvocato, munito – come nel caso del difensore dell’odierno ricorrente – della procura alle liti e dell’autorizzazione del Consiglio dell’Ordine cui è iscritto, a norma della L. n. 53 del 1994, art. 1 con la conseguenza che per la tempestività della notifica rileva unicamente la data di consegna del plico all’agente postale incaricato del recapito secondo le modalità stabilite dalla L. n. 890 del 1982 (cfr. Cass. n. 770/16; Cass. n. 15234/14).

2.1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto relative alla competenza dell’organo che aveva assunto sia gli atti di opinamento che quelli di destituzione di cui al R.D. n. 148 del 1931, art. 53, all. A) essendo stata disposta la destituzione con provvedimento a firma del dott. B., direttore del personale, incompetente perchè privo della necessaria delega da parte del direttore dell’ATM, il che – contrariamente a quanto ritenuto dalla gravata pronuncia – era stato già dedotto in primo grado nel momento in cui si era lamentata l’incompetenza dell’organo che aveva adottato il provvedimento.

Il motivo è infondato.

Si premetta il carattere,privatistico del rapporto di lavoro autoferrotranviario (v., ex aliis, Cass. S.U. n. 16218/01). Ciò è ancor più vero oggi che deve ritenersi venuta meno anche la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, originariamente prevista, in materia disciplinare, dall’art. 58 stesso R.D..

Ciò premesso, anche a voler intendere la generica menzione, che si legge nel cit. art. 53, alla figura del direttore come limitata al solo direttore apicale dell’azienda e non anche al direttore del personale, valga l’assorbente rilievo che non si può parlare di vizio di incompetenza a fronte di atti emessi iure privatorum come quelli gestionali del rapporto di lavoro, ancorchè disciplinati dal R.D. n. 148 del 1931.

Invero, il vizio di incompetenza è uno dei vizi di legittimità dell’atto amministrativo, non del negozio giuridico, rispetto al quale si può parlare soltanto di difetto del potere di rappresentanza, ovvero di falsus procurator.

Nel caso di specie – a tutto voler ipoteticamente concedere – ex art. 1399 c.c. la destituzione sarebbe stata comunque ratificata per fatti concludenti dall’ATM, che l’ha fatta propria nel corso dell’intero giudizio (sull’ammissibilità della ratifica anche per fatti concludenti cfr., ad esempio, Cass. n. 11396/99; sull’applicabilità della ratifica ex art. 1399 c.c. anche ad un atto unilaterale come il licenziamento, grazie al rinvio di cui all’art. 1324 c.c., v. Cass. n. 28514/08; Cass. n. 17461/03).

Inoltre, il terzo non può mai eccepire la nullità o l’inefficacia del negozio per difetto del potere di rappresentanza di chi l’abbia posto in essere (cfr., ex aliis, Cass. n. 5105/15; Cass. n. 24133/13; Cass. n. 14618/10; Cass. n. 9289/01; Cass. n. 1443/2000; Cass. n. 410/2000; Cass. n. 13954/99; Cass. n. 11396/99, cit.; Cass. n. 4258/97; Cass. n. 4601/83), eccezione che ex art. 1398 c.c. potrebbe sollevare solo lo pseudo-rappresentato (l’art. 1398 c.c. è pacificamente ritenuto applicabile anche ai casi di rappresentanza organica: cfr. Cass. 13.2.87 n. 1594; Cass. 16.9.86 n. 5623; Cass. 12.1.83 n. 204; Cass. 5.2.75 n. 2500; Cass. 17.6.71 n. 1844).

Nè potrebbe ravvisarsi la nullità ex art. 1418 c.c., comma 1 del licenziamento per violazione di norma imperativa (cd. nullità virtuale), poichè norma imperativa è solo quella che sia definita come tale (e ciò non avviene per il cit. art. 53) o che lo risulti, in via interpretativa, perchè posta a presidio di preminenti e irrinunciabili interessi di ordine generale (cfr. Cass. n. 3266/86).

A quest’ultimo riguardo si consideri che, se il vizio di incompetenza d’un atto amministrativo resta sanato ove non tempestivamente dedotto mediante ricorso in sede amministrativa o giurisdizionale, nonostante il rilievo pubblicistico delta norma violata, non si vede come possa conferirsi valenza di ordine generale ad una violazione che (sempre se si volesse condividere l’interpretazione del cit. art. 53 proposta in ricorso) sarebbe inerente ad un atto negoziale posto a presidio di interessi ormai di natura esclusivamente privatistica e che non coinvolgono valori primari dell’ordinamento.

2.2. Il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla tardività dell’azione disciplinare, atteso che la contestazione dell’illecito era stata effettuata ad anni di distanza dai sinistri, soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna penale emessa a carico del ricorrente.

Il motivo è infondato.

Come asserito dalla sentenza impugnata, l’illecito riguarda (ai sensi dell’art. 45, all. A R.D. n. 148 del 1931) non il sinistro stradale in sè, ma la relativa condanna penale passata in giudicato, cui ha fatto seguito – pochi giorni dopo – la contestazione disciplinare che è all’origine della presente controversia.

Nè valga obiettare che in tal modo si potrebbe sanzionare qualsiasi delitto anche non connesso all’espletamento delle mansioni, poichè il cit. art. 45 va interpretato – appunto – nei senso che, fra i delitti, solo quelli connessi allo svolgimento delle mansioni (come avvenuto nel caso di specie), che abbiano importato la condanna del dipendente, possono costituire illecito disciplinare passibile di destituzione e sempre che il fatto risulti in concreto idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti (ma questa è un’altra ipotesi).

Eventuale condanna per delitto non connesso all’espletamento delle mansioni potrà, all’occorrenza, configurare condotta extralavorativa (ma non è questo il caso) potenzialmente idonea ad integrare altra giusta causa di licenziamento (sempre che in concreto sia suscettibile di compromettere irrimediabilmente il vincolo fiduciario proprio del rapporto di lavoro).

2.3. Il terzo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 175 c.p., nella parte in cui l’impugnata sentenza ha escluso l’illiceità delle indagini dei funzionari dell’ATM, che sono venuti a conoscenza della condanna del ricorrente nonostante che si trattasse di notizia destinata a restare riservata, essendo stato concesso in sede penale il beneficio della non menzione della condanna medesima.

Il motivo è infondato, poichè per espressa dizione normativa il beneficio di cui all’art. 175 c.p. non implica una sorta di segretezza erga omnes della notizia della condanna (peraltro impossibile, giacchè il dibattimento è pubblico), ma ne impone, puramente e semplicemente, la non menzione nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati.

Opera, dunque, su un piano diverso.

2.4. Il quarto motivo prospetta violazione degli artt. 37 e 44, all. A), R.D. n. 148 del 1931 e dell’art. 2106 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha disatteso la lamentata duplicazione della sanzione per il sinistro stradale che è stato poi all’origine della successiva destituzione: obietta il ricorrente che dopo il sinistro del (OMISSIS) egli era stato già retrocesso alle inferiori mansioni di addetto alla manovra scambi e informazione alla clientela, retrocessione che è prevista come sanzione disciplinare dal cit. art. 44, a nulla rilevando (contrariamente a quanto asserito dalla Corte territoriale) che tale provvedimento fosse stato adottato senza previa adozione del prescritto iter disciplinare; pertanto, il ricorrente conclude con il dire che per il medesimo sinistro (per il quale aveva poi riportato condanna in sede penale) non poteva essergli irrogata l’ulteriore sanzione della destituzione.

Il motivo è da respingersi, in virtù del dirimente rilievo che sia il Tribunale sia la Corte d’appello hanno accertato che in realtà la retrocessione è stata disposta non per ragioni disciplinari (e ciò a prescindere dalla mancata adozione del relativo iter), ma per esigenze di servizio di natura organizzativa esplicitate nel documento contrassegnato dal n. 6 nella produzione della società.

Si tratta, dunque, di un apprezzamento nel merito delle risultanze documentali, in quanto tale non suscettibile di essere rivisitato in sede di legittimità.

Nè in contrario valga la dedotta erroneità o contraddittorietà dell’impugnata sentenza là dove parla di mancata impugnazione della retrocessione, censura veicolata non già come vizio di motivazione o di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, ma come violazione di norme di diritto (e, quindi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): in tal senso la motivazione della Corte territoriale va semplicemente corretta, ex art. 384 c.p.c., u.c., evidenziandosi come sostanzialmente ininfluente tale circostanza.

Infatti, una volta accertato dai giudici di merito che la retrocessione è stata adottata per esigenze di servizio di natura organizzativa, poco importa – ai presenti fini – che essa sia stata impugnata o non dall’odierno ricorrente: non avendo natura disciplinare non implica alcuna duplicazione di sanzione rispetto a quella espulsiva di cui si controverte.

2.5. Il quinto motivo denuncia violazione del R.D. n. 148 del 1931, all. A), art. 45, nn. 3 e 11 e art. 53 per genericità della contestazione disciplinare relativa all’episodio del (OMISSIS), riferita solo alla collisione con un bus aziendale ascritta a mera disattenzione del ricorrente, senza alcuna menzione di pregiudizio alla sicurezza dell’esercizio o di danno a cose o persone; pertanto – conclude il motivo – il fatto contestato non era passibile delta sanzione applicata, non essendo riconducibile ad alcuna delle ipotesi elencate nel cit. art. 45, nn. 3 e 11.

Il motivo è infondato.

In primo luogo, va escluso che la contestazione fosse generica, atteso che in essa era contenuto (come accertato nella sentenza impugnata) anche l’espresso richiamo al cit. art. 45, n. 3, che sanziona “chi, nei casi previsti dall’art. 314 c.p., abbia recato pregiudizio alla sicurezza dell’esercizio, causando accidenti nella marcia dei treni con danno delle persone o grave danno del materiale”.

In secondo, l’art. 314 c.p. del codice penale Zanardelli (ancora in vigore all’epoca dell’emanazione del R.D. n. 148 de4l 1931) è stato sostituito (come correttamente notato dalla sentenza impugnata) dagli artt. 449 e 450 c.p., il primo concernente delitti colposi di danno, il secondo delitti colposi di pericolo, delitti che i giudici di merito hanno motivatamente ravvisato nella condotta oggetto di contestazione.

Pertanto, vi è stretta correlazione fra la condotta contestata e la relativa sanzione disciplinare.

3.1. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.600,00 di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2016

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