Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21381 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/10/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 06/10/2020), n.21381

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. SAJA Salvatore – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1035/2013 R.G. proposto da:

Resett Engineering s.r.l., in persona del suo amministratore unico,

rappresentata e difesa dagli Avvocati Edgardo Verna e Alessandro

Cogliati Dezza, elettivamente domiciliata presso lo studio del

secondo, in Roma, via Alessandro Farnese n. 7, in virtù di delega

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle

Marche n. 122/04/2012, depositata il 17 ottobre 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27 novembre 2019

dal Cons. Marco Dinapoli.

Udito il Pubblico Ministero, che ha concluso per l’accoglimento del

primo motivo di ricorso.

Uditi il Difensore della ricorrente e l’Avvocato dello Stato, che

hanno concluso come negli atti introduttivi del processo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Resett Engineering s.r.l., con sede in (OMISSIS), in persona del suo amministratore unico, ricorreva in primo grado avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) emesso dall’Agenzia delle entrate di Fabriano per l’anno di imposta 2005, con cui veniva accertato un maggio reddito imponibile derivante da costi indeducibili (per Euro 1.580.603,43) relativi alle fatture emesse dalle società Resett srl e Dueffe srl per operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, con conseguente recupero a tassazione di Ires, Irap e Iva oltre sanzioni.

La Commissione tributaria provinciale di Ancona respingeva il ricorso con sentenza N. 276/3/11 depositata il 9.9.2011, avverso cui la società proponeva appello.

La Commissione tributaria regionale delle Marche rigettava l’appello con la sentenza indicata in epigrafe, che esaminava analiticamente le eccezioni processuali, rigettandole, e, nel merito, riteneva che gli elementi indiziari accertati dalla G.d.F., e riassunti in sentenza, fossero idonei a dimostrare che le tre società costituissero in effetti un’unica realtà economica gestita sotto diversa denominazione, apparente composizione sociale e formale amministrazione, l’una (la Reset Engineering, di nuova costituzione), per svolgere l’attività aziendale, le altre due per gravarsi degli oneri fiscali e previdenziali cui non adempivano.

La società ricorre per cassazione con nove motivi e chiede cassarsi la sentenza di appello con ogni consequenziale provvedimento, anche ai sensi dell’art. 384 c.p.c.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso e chiede dichiararsi inammissibile o, in subordine, rigettarsi il ricorso, con vittoria di spese e compensi di difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Motivi del ricorso.

La società ricorrente propone i seguenti 9 motivi di ricorso:

1.-Violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) omessa applicazione del D.L. n. 16 del 2012, art. 8 di cui aveva chiesto l’applicazione con le memorie depositate in appello, ma su cui la sentenza impugnata non si è pronunziata; la norma avrebbe introdotto una sorta di pregiudiziale penale subordinando l’indeducibilità dei costi riconducibili a fatti qualificabili come reato all’esercizio dell’azione penale da parte del P.M..

2.- Violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.) violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12 che prevede che sin dall’inizio della verifica il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata e del suo oggetto.

3.- Violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 10 perchè all’avviso di accertamento non era allegato il PVC emesso nei confronti della società ritenuta interposta Reset srl.

4.- Violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.) violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5 che prevede i tempi massimi della durata dell’accertamento, che nel caso in esame sarebbero stati superati.

5.- Violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) violazione della L. n. 212 del 2000, artt. 10 e 12 perchè erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che lo svolgimento delle operazioni senza il rispetto delle prescrizioni ivi contenute non determini la nullità dell’accertamento.

6.- Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione fra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – costituito dal PVC a carico della Reset srl, acquisito agli atti in fase di appello, ma non esaminato dalla sentenza impugnata.

7.- Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione fra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – costituito dal fatto che le materie prime sono state realmente acquistate e la lavorazione è avvenuta, per cui non può esservi inesistenza oggettiva delle prestazioni fatturate.

8.- Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione fra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – costituito dalla circostanza che la produzione aziendale avveniva distintamente in locali frazionati, tramite propri dipendenti e per prodotti diversi.

9.- Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione fra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – vengono indicate 9 circostanze di fatto su cui il giudice di appello non si sarebbe pronunziato.

10.- L’Agenzia delle entrate eccepisce l’infondatezza dei primi 5 motivi del ricorso e l’inammissibilità degli altri per mancanza di autosufficienza ed altresì perchè attinenti al merito della controversia e non alla legittimità.

Motivi della decisione.

1.1- Il primo motivo di ricorso è inammissibile. Infatti denunzia il vizio di violazione di legge, mentre invece espone doglianze apparentemente inquadrabili nel vizio di omessa motivazione, che però non può essere esaminato in questa sede. Infatti il giudizio di cassazione è fondato sulla critica vincolata della sentenza impugnata, ed è delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa, condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito; ogni motivo di ricorso, dunque, deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri in una delle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.; pertanto non rientra nei poteri della Corte quello di interpretare i motivi di ricorso proposti dalle parti.

1.2- A maggior ragione nel caso in cui la stessa formulazione del motivo sia perplessa, come si ravvisa nella fattispecie, in cui si lamenta l’inosservanza delle prescrizioni di legge relative ai costi per beni e servizi direttamente utilizzati per il compimento di attività qualificabili come delitto non colposo (ipotesi invece non contestata alla contribuente), ma poi si sostiene una diversa ratio, e cioè la deducibilità delle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti (ma la sentenza impugnata ritiene che le operazioni fatturate siano oggettivamente inesistenti), ed infine muta ancora la prospettiva, invocando la mancanza della prova della consapevolezza da parte della contribuente del carattere fraudolento delle operazioni.

2.1-I motivi dal secondo al quinto sono infondati, come già rilevato dal giudice di appello con motivazione esauriente e non contrastata dalla ricorrente, che si limita a ripeterli “tal quale” in questa sede.

2.2- Con riferimento al secondo motivo di ricorso, in particolare, rileva la Corte che nel sistema normativo attinente il procedimento di accertamento tributario non è dato rinvenire alcuna disposizione e/o principio dai quali desumere l’esistenza di specifiche prescrizioni relative al contenuto ed ai limiti del provvedimento che autorizza l’attività di verifica, per altro significativamente non indicati neanche dalla stessa ricorrente.

2.3- Per quanto attiene al terzo motivo, poi, deve ritenersi che anche l’art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente, così come espressamente stabilito dal D.P.R. n. 600 del 1983, art. 42 nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisca esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già legale conoscenza (Cass., sez. 5, 4/7/2014, n. 15327, Rv. 631550), a differenza del caso in questione, in cui, come affermato nella sentenza di appello “l’appellante ha dimostrato di essere a perfetta conoscenza del contenuto di detto p.v.c.”.

2.4- Con il quarto motivo di ricorso la società ricorrente insiste nel prospettare una tesi che non solo è stata motivatamente respinta dal giudice del merito, ma risulta anche contraria alla giurisprudenza di questa Corte, che ha già affermato che in tema di verifiche tributarie la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5 fissando agli accertatori della Amministrazione finanziaria il termine di trenta giorni lavorativi di permanenza presso la sede del contribuente, ancorchè successivamente prorogabili, si riferisce ai soli giorni di effettiva attività lavorativa ivi svolta, escludendo quindi dal computo quelli impiegati per verifiche ed attività eseguite in altri luoghi (Cass., sent. n. 11878/2017; sent. 23595/2011).

2.5- Il rigetto del quinto motivo di ricorso consegue, per necessità logica, al rigetto dei motivi precedenti.

3.1- I motivi di ricorso dal sesto al nono sono inammissibili per diverse ragioni.

3.2-Innanzi tutto detti motivi mancano del requisito dell’autosufficienza, richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6. La ricorrente lamenta infatti l’omessa valutazione da parte dei giudici del merito di documenti ed argomenti che però non indica specificamente, non trascrive nel ricorso nella parte ritenuta rilevante, nè allega ad esso, ed infine non “localizza” nell’ambito del giudizio di merito con l’indicazione dei modi e dei tempi della loro produzione per cui il ricorso non possiede l’autonomia indispensabile per consentire alla Corte, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta individuazione delle questioni proposte.

3.3- In secondo luogo i motivi di ricorso in esame sono inammissibili anche perchè, sotto l’apparenza delle censure mosse, contrastano in realtà la valutazione di merito della sentenza impugnata, e mirano ad una rivisitazione del materiale probatorio acquisito nel corso del processo, inammissibile in sede di legittimità.

4.- In conclusione, per i motivi illustrati, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della società soccombente al pagamento delle spese processuali, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta i motivi da due a cinque del ricorso, dichiara inammissibili i rimanenti e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali dei presente giudizio, liquidate in Euro 15.000 (quindicimila) oltre spese prenotate a debito.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

 

 

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