Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21380 del 13/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 13/08/2019, (ud. 17/04/2019, dep. 13/08/2019), n.21380

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24728-2015 proposto da:

A.M., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato PAOLO FERRERI;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 190, (AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE),

presso lo studio dell’Avvocato ANNA TERESA LAURORA, rappresentata e

difesa dall’avvocato LUIGI CURTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 693/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 04/05/2015 r.g.n. 9/2014.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con sentenza depositata il 4.5.15, la Corte d’appello di Lecce, in riforma della pronuncia di primo gado – che aveva dichiarato illegittimo il contratto a termine concluso tra Poste Italiane s.p.a. e A.M. il 17.11.99 ex art. 8 del c.c.n.l. del 1994, dichiarando la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti a decorrere da tale data- dichiarava risolto il rapporto per mutuo consenso, rigettando così l’originaria domanda.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’ A., affidato a quattro motivi, cui resiste Poste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c. per non avere la sentenza impugnata esaminato l’eccezione di inammissibilità del gravame di Poste, non contenendo l’atto i requisiti di cui all’invocata norma del codice di rito. Il motivo, pur omettendo di denunciare la violazione dell’art. 112 c.p.c., è infondato posto che se è pur vero che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, non occorre tuttavia l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene tuttavia la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. S.U. n. 27199/17).

Occorre poi rimarcare che è altrettanto vero, come evidenziato dalle sezioni unite di questa Corte (sent. n. 8077/12), che il giudizio sul fatto processuale da parte della S.C. è subordinato alla condizione che la censura sia stata proposta in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito, ed in particolare dell’art. 366 c.p.c.

Al riguardo il ricorrente si limita ad allegare l’intero atto di gravame di Poste, evidenziando, in sostanza, che esso non era conforme al modello legale, sicchè il motivo risulta in definitiva inammissibile.

D’altro canto occorre rilevare (come evidenziato da Cass. S.U. n. 5700 del 2014 e Cass. S.U. n. 9558 del 2014), che la Corte di Strasburgo afferma che le limitazioni all’accesso alla tutela giurisdizionale per motivi formali non devono pregiudicare l’intima essenza di tale diritto; in particolare tali limitazioni non sono compatibili con l’art. 6, comma 1 CEDU qualora esse non perseguano uno scopo legittimo, ovvero qualora non vi sia una ragionevole relazione di proporzionalità tra il mezzo impiegato e lo scopo perseguito (v. tra le altre Corte EDU Walchli c. Francia 26 luglio 2007, Faltejsek c. Repubblica Ceca 15 maggio 2008). La stessa Corte EDU ha poi affermato che il vincolo del rispetto del diritto ad un processo equo imposto dall’art. 6, comma 1 della CEDU si applica anche ai provvedimenti di autorizzazione all’impugnazione (Corte EDU, Hansen c. Norvegia, 2 ottobre 2014, Dobric c. Serbia, 21 luglio 2011,punto 50).

Un eccessivo formalismo nella redazione dell’atto di appello, oltre che non prescritto dalla norma, finirebbe per contrastare con i principi esposti.

2.- Con secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c. (e art. 421 c.p.c.) per aver esaminato l’eccezione di risoluzione per mutuo consenso avanzata da Poste senza che essa indicasse adeguatamente gli elementi fattuali da cui poter giungere a tale conclusione.

Il motivo è infondato posto che risulta pacifica la riproposizione dell’eccezione in appello, nonchè la ragione ravvisata da Poste nello straordinario decorso di oltre dieci anni di inerzia dalla cessazione del rapporto di lavoro. A fronte di ciò il giudice del merito è evidentemente libero di valutare i vari elementi di causa al fine di statuire sul punto.

3.- Con il terzo e quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1372 c.c. e la insufficienza e/o illogicità della motivazione in ordine alla ravvisata risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

I motivi sono nella sostanza inammissibili in quanto diretti a censurare l’iter logico seguito dalla corte di merito sul punto, in contrasto col novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Al riguardo è necessario considerare che questa Corte, dopo talune divergenze in materia, ha recentemente affermato che in tema di contratti a tempo determinato, l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici, giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità, secondo le rigorose regole sui motivi che possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5, tempo per tempo vigente (Cass. n. 29781/17).

Nella specie è applicabile il testo novellato del detto art. 360 c.p.c., n. 5 che riduce al minimo costituzionale il sindacato sulla motivazione (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053).

La sentenza impugnata peraltro non si è basata solo sullo straordinario decorso del tempo (nella specie dieci anni di inerzia), ma anche sulla precedente azione giudiziaria, richiamata peraltro dallo stesso odierno ricorrente, con cui egli agì in giudizio (decisa con sentenza n. 408/05 dalla Corte d’appello di Lecce, poi confermata in Cassazione) per ottenere il risarcimento del danno conseguente il recesso ante tempus dal contratto de quo da parte di Poste, basando dunque la richiesta proprio sulla ritenuta legittimità del termine.

4.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 17 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019

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