Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2138 del 31/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 31/01/2011, (ud. 25/11/2010, dep. 31/01/2011), n.2138

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.L., già elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PILO

ALBERTELLI 15, presso lo studio dell’avvocato DE CESARE GIULIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUCCHETTI DINO, giusta delega in

atti e da ultimo domiciliato d’ufficio presso LA CANCELLERIA DELLA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato DE MARINIS NICOLA, che la rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4134/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/08/2006 R.G.N. 8762/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/11/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO LAMORGESE;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI per delega DE MARINIS NICOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 25 agosto 2006, la Corte di appello di Roma ha confermato la decisione del Tribunale della stessa sede, che aveva rigettato l’impugnativa di P.L. avverso il licenziamento a lui intimato, con decorrenza 31 dicembre 2001, in esito alla procedura di mobilità collettiva di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, artt. 4 e 24, in precedenza avviata dalla società Poste Italiane, sua datrice di lavoro.

La Corte territoriale, disatteso il difetto di forma del recesso, eccepito dal lavoratore sotto il profilo dell’illeggibilità della sottoscrizione della lettera di licenziamento, e della conseguente impossibilità di verificare i poteri di rappresentanza di chi aveva sottoscritto quella lettera, ha escluso che,- l’inosservanza del termine dei quarantacinque giorni previsto dal dodicesimo comma dell’art. 4 della citata L. n. 223 per la conclusione della procedura incidesse sulla sua validità ed efficacia; ha poi negato rilevanza alla censura mossa dal lavoratore circa la mancanza, nella informazione di avvio della procedura di specificazione, dei motivi della situazione di eccedenza di personale, non essendo il lavoratore destinatario di detta comunicazione e non potendo costui far valere in giudizio, a sua tutela, l’inadeguatezza della comunicazione, in quanto a tal fine, è necessario dimostrare non solo l’incompletezza o insufficienza delle informazioni rese con la comunicazione, ma anche la rilevanza di esse, ossia la loro idoneità, in concreto, a fuorviare o eludere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti all’organizzazione sindacale, situazione questa neppure allegata dal lavoratore. La Corte di merito ha quindi affermato, richiamando la giurisprudenza di legittimità, l’insindacabilità delle ragioni tecniche, organizzative e produttive, addotte per ridurre il personale.

Per la cassazione della sentenza il lavoratore ha proposto ricorso, con quattro motivi, cui la società intimata ha resistito con controricorso, poi illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia, unitamente a vizio di motivazione, violazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 2 e dell’art. 1399 cod. civ.. Deduce che l’illeggibilità della sottoscrizione della comunicazione del 2 licenziamento precludeva l’identificazione dell’autore di essa, di modo che la lettera di licenziamento, proprio per la mancanza del requisito della forma scritta, non era esente, contrariamente a quanto ritenuto in proposito dal giudice del merito, da vizi di forma e dalla nullità eccepita dal lavoratore;

inapplicabile era, di conseguenza, la ratifica dell’operato del falsus procurator da parte della società Poste Italiane con le deduzioni svolte nella memoria di costituzione in giudizio. Non si comprende, si aggiunge in ricorso, come il giudice del gravame sia pervenuto ad attribuire la sottoscrizione di quella comunicazione al responsabile delle risorse umane di Poste Italiane s.p.a., apparendo sulla lettera di licenziamento esclusivamente la indicazione della medesima società e la sottoscrizione illeggibile.

Il motivo non può essere accolto. L’art. 369 cod. proc. civ., comma 4, nella formulazione risultante dopo le modifiche apportate al processo di cassazione dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prescrive che unitamente al ricorso debbano essere depositati a pena d’improcedibilità “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”. L’adempimento di tale onere è necessario per la decisione della questione posta dal ricorrente, se cioè la sottoscrizione debba essere riferita al responsabile delle risorse umane di Poste Italiane s.p.a., come affermato dalla sentenza impugnata con statuizione confutata dal ricorrente, ma al riferito onere costui non ha adempiuto.

In applicazione della sanzione prevista dal citato art. 369 cod. proc. civ., il ricorso deve essere dichiarato improcedibile limitatamente al suesposto motivo.

Il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 12, e dell’art. 437 cod. proc. civ. e censura la sentenza impugnata per avere disatteso l’eccepita inefficacia dell’accordo fra la società Poste Italiane e le organizzazioni sindacali avente ad oggetto l’individuazione di criteri di scelta dei lavoratori da licenziare differenti da quelli legali, in quanto adottato oltre il termine di legge.

Il motivo è infondato. Si deve infatti osservare che in tema di licenziamenti collettivi, il mancato rispetto dei termini previsti dall’art. 4 della citata L. n. 223 del 1991 per l’espletamento delle varie fasi della relativa procedura non comporta l’illegittimità della stessa e quindi l’inopponibilità ai singoli lavoratori interessati dei provvedimenti conclusivi di essa, atteso che tale effetto non è previsto da alcuna disposizione legislativa, che i suddetti termini non sono posti a tutela dei lavoratori (il cui rapporto di lavoro resta in corso per tutta la durata della procedura senza che il licenziamento possa retroagire), bensì a tutela del datore di lavoro, quale garanzia che la procedura non sia procrastinata oltre il tempo ritenuto dal legislatore congruo per la ricerca di ogni possibile superamento della situazione determinante la necessità di riduzione di personale, e che, infine, non può essere posto a titolo di responsabilità oggettiva a carico del datore di lavoro il superamento, da parte di terzi (quali gli organi pubblici o le associazioni sindacali), di termini che si vorrebbero connotati, oltre ogni previsione legislativa, da effetti decadenziali (Cass. 10 febbraio 2009 n. 3261, Cass. 3 marzo 2001 n. 3125). Per cui resta irrilevante l’interesse “egoistico” prospettato dalla parte a confutazione di tale orientamento.

Il terzo motivo denuncia violazione della predetta L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, e critica la sentenza impugnata per avere ritenuto che nella comunicazione di avvio della procedura in questione erano state compiutamente esposte le ragioni che la giustificavano, soprattutto l’eccedenza del personale, contro il diverso assunto del lavoratore il quale aveva sottolineato l’inadeguatezza della comunicazione, “stante il rinvio, solo per relationem, a generici e non meglio precisati motivi organizzativi, produttivi e tecnici”. E’ inoltre censurata la sentenza impugnata per avere ritenuto sfornita di prova la circostanza dell’effettiva elusione del controllo sindacale determinato dalla inadeguatezza, sotto il profilo del contenuto, della comunicazione di avvio della procedura di mobilità.

Il quarto motivo, nel denunciare vizio di motivazione, addebita alla Corte di merito l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie, che, ad avviso del ricorrente, valevano a dimostrare l’inesistenza delle ragioni tecniche, organizzative e produttive addotte dall’azienda per giustificare l’avvio della procedura di mobilità.

Sostiene che il medesimo giudice ha, di contro, sopravvalutato le prove offerte dalla società, avendo concluso per la necessità della procedura di licenziamento collettivo, conclusione questa “più frutto di una posizione ideologica che non di un’effettiva indagine compiuta obiettiva”.

Anche questi due motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, in materia di licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la legge n. 223 del 1991, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex posi nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale, concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatane di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi, gli specifici motivi della riduzione del personale (a differenza di quanto accade in relazione ai licenziamenti per giustificato motivo obiettivo), ma la correttezza procedurale dell’operazione, con la conseguenza che non possono trovare ingresso in sede giudiziaria tutte quelle censure con le quali, senza contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive” esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva (Cass. 12 ottobre 1999 n. 11455, e numerose altre successive, tra cui Cass. 13 maggio 2004 n. 9134, Cass. 6 ottobre 2006 n. 21541).

Nell’ambito del controllo giudiziale della legittimità del licenziamento collettivo si è altresì precisato che il giudice deve accertare la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento aziendale e i singoli provvedimenti di recesso (Cass. 19 aprile 2003 n. 6385, 6 maggio 2004 n. 8364).

Mentre con riguardo alla verifica del rispetto delle regole procedurali si è affermato che la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, che restano sottratti al controllo giurisdizionale. Si è in particolare evidenziato che, ove il progetto imprenditoriale sia diretto a ridurre l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i diversi profili professionali previsti dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, senza che occorra la specificazione degli uffici o reparti con eccedenza, e ciò tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all’esito della procedura che, nell’ambito delle misure idonee a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio della scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione (cfr. Cass. 26 febbraio 2009 n. 4653, in fattispecie concernente il licenziamento collettivo dei dipendenti di Poste Italiane).

Nella specie, il giudice del merito ha sottolineato come dalla lettera di avvio della procedura di mobilità risultava la compiutezza della comunicazione cui era tenuta la società, che aveva avviato la procedura all’esito dei numerosi incontri con le organizzazioni sindacali, dopo aver delineato per gli anni 1998/2002 un piano d’impresa e tenuto conto delle indicazioni dell’azionista Ministero (all’epoca) del Tesoro circa la riduzione del personale, motivandola con l’esigenza di riequilibrare i costi, ritenuti eccessivi in modo particolare per il personale. Ha quindi affermato, così pienamente adeguandosi ai principi di diritto richiamati, che la decisione imprenditoriale di ridurre il personale restava insindacabile nell’an e vincolata nel quomodo, sicchè ai fini della giustificazione del licenziamento, raggiunto l’accordo sindacale, non rilevavano gli specifici motivi della riduzione del personale ma la correttezza procedurale dell’operazione.

Deve perciò andare immune da censure il rifiuto opposto dal giudice del merito di sindacare la scelta imprenditoriale, dovendosi considerare irrilevante, sia lo svolgimento di lavoro straordinario, sia la circostanza di nuove assunzioni poste in essere dopo i licenziamenti e all’esito della progettata riorganizzazione; e immune da censure è pure la valutazione compiuta dal medesimo giudice, in relazione ai motivi della riduzione del personale, circa la rispondenza delle informazione fornite dall’azienda ai requisiti prescritti dalla legge, in tema di comunicazione di avvio della procedura alle organizzazioni sindacali. Si deve anche qui richiamare, così come la pronuncia di questa Corte del 10 febbraio 2009 n. 3261 resa in analoga fattispecie, il principio di diritto secondo cui, in ragione del fine delle informative sulla procedura di mobilità, che è quello di favorire la gestione contrattata della riduzione di personale, la circostanza che sia stato in concreto raggiunto tale fine, per essere stato stipulato un accordo con le organizzazioni sindacali, assume rilevanza nel giudizio di completezza della comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, mentre le eventuali insufficienze o inadempienze informative possono, in ogni caso, essere fatte valere dalle organizzazioni sindacali e non dai singoli lavoratori, salvo che questi ultimi dimostrino l’idoneità in concreto di siffatte informative a forviare o ledere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti alle organizzazioni sindacali, con ricadute a essi lavoratori pregiudizievoli (Cass. 11 gennaio 2008 n. 528), ipotesi questa che, come già evidenziato nella esposizione in fatto, non era stata neppure prospettata nel corso del giudizio di merito.

Il ricorso va dunque rigettato.

Ricorrono giusti motivi, data la complessità delle questioni trattate, per compensare integralmente fra le parti le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2011

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