Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2138 del 29/01/2010

Cassazione civile sez. I, 29/01/2010, (ud. 23/10/2009, dep. 29/01/2010), n.2138

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20444-2008 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.R. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 71, presso l’avvocato ACETO

ANTONIO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

07/01/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/10/2009 dal Consigliere Dott. RENATO BERNABAI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI MAURIZIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto emesso il 7 gennaio 2008 la Corte d’appello di Roma condannava il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di C.R. della somma di 4.350,00, oltre interessi e spese processuali, a titolo di riparazione per il danno subito in conseguenza della violazione del termine ragionevole del processo avente ad oggetto la costituzione di servitù di elettrodotto, promosso nei confronti dell’Enel, dinanzi al Tribunale di Benevento, dai propri danti causa a titolo particolare C.C. e C.O. con atto di citazione notificato il 16 maggio 1983 e definito in primo grado con sentenza 9 dicembre 1994; laddove il successivo gravame dinanzi alla Corte d’appello di Napoli era stato abbandonato a seguito di composizione bonaria con transazione stipulata il 3 febbraio 2006.

Avverso il provvedimento, notificato il 15 maggio 2008, il Ministero della Giustizia proponeva ricorso per cassazione deducendo:

1) la violazione degli artt. 2934 e 2947 c.c. nel non rilevare che il diritto all’equa riparazione preesisteva nell’ordinamento interno alla L. n. 89 del 2001, che non aveva natura speciale rispetto all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, salva la diversità della sede giurisdizionale in cui esercitare la tutela e consentiva l’esercizio dell’azione già in pendenza del giudizio: con la conseguente applicabilità del termine quinquennale di prescrizione estintiva del credito indennitario progressivamente maturato in corso di causa;

2) la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 e degli artt. 2934, 2935, 2941 e 2942 cod. civ.;

Resisteva con controricorso il sig. C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due motivi di ricorso, da trattare congiuntamente data la sostanziale identità di contenuto, sono infondati.

Punto di partenza delle argomentazioni difensive è il diniego del carattere unitario della fattispecie costitutiva del diritto all’equo riparazione (definita, per contro, dal ricorrente a formazione progressiva). Il fondamento positivo della ricostruzione interpretativa è ravvisato dal ricorrente nel potere d’agire del soggetto già in pendenza del processo presupposto (L. n. 89 del 2001, art. 4): cui verrebbe ad essere correlato il dies a quo del periodo di prescrizione, coevo al primo verificarsi del ritardo processuale, in base al principio generale di cui all’art. 2935 c.c..

In contrario si osserva come la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, si ponga come norma speciale ed autosufficiente: come, già prima facie, rivelato non solo dalla sua collocazione toponomastica, ma anche e soprattutto dalla rubrica “Termini e condizioni di proponibilità”, di portata letterale onnicomprensiva nel delineare i tempi dell’edictio actionis. Il dato letterale (primo elemento da scrutinare in sede ermeneutica: art. 12 disp. att. cod. civ., comma 1) non offre quindi appigli per il recupero, in forma di richiamo esplicito, della disciplina e del bagaglio concettuale propri della prescrizione.

Resta da saggiare la conclusione negativa di una disciplina ancipite, in subiecta materia, sotto il concorrente profilo teleologico dell’intenzione del legislatore.

Ma anche tale vaglio induce ad escludere qualsiasi evenienza estintiva del diritto anticipata rispetto all’ultimo (e normale) termine utile per la proposizione della domanda di sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il procedimento, è divenuta esecutiva.

Al riguardo, si deve rilevare, in sede dogmatica, l’incompatibilità tra la decadenza e la prescrizione se riferite al medesimo atto – nella specie, processuale – da compiere.

La disciplina della decadenza – che è una novità del codice del 1942 – postula, al pari della prescrizione, una combinazione dell’inerzia soggettiva con l’elemento oggettivo del tempo; anche se, secondo un’autorevole dottrina (di cui si rinviene qualche eco in giurisprudenza: Cass., sez. 1^, 6 novembre 1976 n. 4043), sanziona l’inadempimento di un onere, piuttosto che di un obbligo, per l’esercizio di un diritto (di regola, potestativo), in base al principio di autoresponsabilità. Il termine decadenziale, in tesi generale, consiste in un punctum temporis da rispettare: fino a che non sia trascorso, neppure si può parlare d’inerzia soggettiva, perchè il tempo, che nella prescrizione viene in considerazione come durata, nella decadenza vale invece come distanza: diversità ontologica, rispecchiata dalla disciplina alternativa in materia di interruzione e sospensione (artt. 2941, 2945 e 2964 cod. civ.), che vede ammissibile solo l’impedimento della decadenza una volta per sempre (art. 2966 cod. civ.). L’utilità euristica della distinzione si rivela altresì nel corollario logico che non è ipotizzabile – per la contraddizione che noi consente – che il soggetto sia, nel contempo, inerte e no, fino alla scadenza del termine di preclusione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4.

Tanto più la coesistenza appare eccentrica al sistema, in quanto la previsione di un termine come causa di decadenza o di prescrizione rientra, come generalmente riconosciuto in dottrina, in un scelta discrezionale del legislatore, immune da condizionamenti di logica giuridica (non senza ingenerare, talvolta, dubbi esegetici: cfr. art. 2393 c.c., comma 4); e, mentre la prescrizione costituisce causa generale di estinzione, in virtù dell’art. 2934 cod. civ., la decadenza è prevista in norme complementari all’interno di singole fattispecie, insuscettibili di interpretazione analogica (art. 14 c.p.p.).

Pertanto, anche dalla verifica della coerenza sistematica e concettuale si evince, in ultima analisi, l’inammissibilità dei concorso simultaneo di termini di decadenza e di prescrizione correlati alla medesima attività richiesta.

Cosa diversa, naturalmente, è la possibile applicazione dei due istituti temporalmente sfalsata: ma solo nel senso che la prescrizione maturi una volta impedita la decadenza, e non viceversa (art. 2967 cod. civ.). Conferme del principio, nel panorama casistico giurisprudenziale, si riscontrano nella ritenuta applicazione della prescrizione decennale in tema di opposizione all’indennità di espropriazione in caso di mancato decorso del termine di decadenza per l’opposizione, L. 22 novembre 1971, n. 865, ex art. 19), causato dall’omesso deposito della relazione dell’apposita Commissione sulla misura definitiva dell’indennità. In questo caso, la decorrenza della prescrizione è appunto giustificata dal carattere alternativo, e non cumulativo, del termine di decadenza rispetto a quello prescrizionale (Cass., sez. 1, 10 settembre 2004, n. 18.237; Cass., sez. 1, 8 maggio 2001 n. 6367; Cass., sez. 1, 20 dicembre 2000, n. 16.026).

Ancora a titolo analogico si può ricordare, sul formante giurisprudenziale, l’interpretazione della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 79, comma 2 (cd. equo canone) e della L. 9 dicembre 1998, n. 431, affine art. 13, che sottopongono ad un termine di decadenza semestrale, decorrente dalla riconsegna dell’immobile, il diritto del conduttore ad ottenere il rimborso di quanto pagato in più del dovuto nel corso del rapporto locativo: interpretazione, che ricollega all’osservanza del termine di decadenza la ripetizione integrale di ogni eccedenza indebita, senza che ciò sia impedito dal decorso dei termini di prescrizione (Cass., sez. 3, 26 maggio 2004, n. 10.120).

Sottesa alle predette pronunce, pur nella diversità di materia, è il comune assunto – di buon senso, non meno che di diritto – che il riconoscimento legislativo della proponibilità dell’azione entro un termine di decadenza esclude la maturazione della prescrizione prima del prescritto dies ad quem: a pena d’irrilevanza – tamquam non esset – del termine stesso, pur solennemente enunciato con norma specifica ad hoc. In senso contrario, non si potrebbe addurre, esemplificativamente, la normativa in tema di garanzia da vizi redibitori prevista, in parte qua, negli artt. 1495 e 1667 cod. civile.

E’ agevole rilevare come le due cause di estinzione del diritto siano quivi ancorate a date e ad inattività diverse: per la decadenza, alla mancata denunzia dei vizi entro il termine legalmente previsto dalla scoperta (art. 1495 c.c., comma 1 e art. 1667 c.c., comma 2);

mentre, per la prescrizione, dalla consegna della cosa o dell’opera (art. 1495 c.c., comma 3 e art. 1667 c.c., comma 3). In tale contesto non collide, quindi, con l’alternatività dei due istituti, l’eventualità di una prescrizione maturata ancor prima del decorso del termine per la decadenza: come ad esempio, per un difetto scoperto e tempestivamente denunziato, ma oltre i termini, rispettivamente di uno o due anni, dalla consegna della cosa venduta o dell’opus realizzato.

Non senza aggiungere che appare visibilmente contrario alla ratio legis imporre l’onere di un’azione immediata, al primo maturarsi del ritardo irragionevole. Innanzitutto, per la difficoltà pratica di accertarne subito la datazione, tenuto conto che i termini ordinari (tre anni per il primo grado, due per l’appello, uno per il ricorso per cassazione, secondo i consolidati parametri giurisprudenziali) possono subire variazioni in rapporto alla specifica materia del contendere, alla complessità del caso o al comportamento delle parti: variabili tutte, meno agevolmente valutabili in uno stadio interinale, fuori di una visione d’insieme ex post. Per di più, l’incipiente ritardo potrebbe financo essere riassorbito, in prosieguo, per la necessità sopravvenuta di un ulteriore attività istruttoria che muti la valutazione in fieri, rendendo non più lesivo del principio di ragionevole durata l’effettivo iter processuale: eventualmente, per compensazione con la speditezza dei gradi successivi, ove si aderisca ad una concezione unitaria della durata ragionevole del processo (Cass., sez. 1^, 29 dicembre 2005 n. 28864; Cass., sez. 1^ 7 aprile 2004, n. 6856; Cass., sez. 1^, 27 agosto 2003 n. 12541).

Oltre a ciò, postulare l’operatività della prescrizione in corso di causa presupposta imporrebbe, fatalmente, il frazionamento della pretesa indennitaria: destinata alla rinnovazione in ipotesi di un ritardo più che decennale. Tanto più, se si acceda al principio di cristallizzazione dell’an e del quantum al momento della domanda di equa riparazione; con conseguente esclusione, dall’indennizzo, dell’ulteriore danno maturato fino alla decisione.

Siffatta inevitabile proliferazione di iniziative, per segmenti temporali, intesa non come facoltà rimessa alla discrezionalità potestativa della parte, bensì come onere in prevenzione della perdita del diritto, per prescrizione, oltre ad essere contraria al generale principio di economia processuale – e, al limite, integrare perfino un abuso del processo (Cass. sez. un. 15 novembre 2007, n. 23726; Cass., sez. 3, 11 giugno 2008, n. 15476) – avrebbe l’ulteriore effetto paradossale di indurre la parte alla nimia diligentia di agire quando ancora il ritardo sia pressochè trascurabile; e dia quindi luogo, plausibilmente, ad un indennizzo nummo uno, se non addirittura al rigetto della domanda per l’estrema modestia del pregiudizio.

La suesposta ricostruzione sistematica è del resto conforme alla disciplina della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che all’art. 35 (Condizioni di ricevibilità), primo comma, contempla unicamente l’identico termine semestrale di decadenza per la proposizione dell’azione (“La Corte non può essere adita se non dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne, qual è inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva”).

E’ vero che non è contestualmente prevista la possibilità di agire prima che sia sopravvenuta la decisione definitiva nel giudizio presupposto; ma, nel consentire tale facoltà l’ordinamento italiano, ha ampliato il diritto di azione del soggetto leso dal ritardo irragionevole – anticipandone il possibile esercizio ad una fase intermedia del processo presupposto – e non certo aggravato l’obbligo di diligenza: come rivelato dall’inequivoca congiunzione disgiuntiva “ovvero” contenuta nell’art. 4 cit., lessicalmente sintomatica di una scelta potestativa tra due opzioni, senza reciproco condizionamento.

Anche la norma transitoria di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 6, nel consentire entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge (prorogato poi al 18 aprile 2002 dal D.L. 12 ottobre 2001, n. 370) la prosecuzione dinanzi al giudice italiano dei processi di equa riparazione promossi davanti alla Corte europea e non ancora dichiarati ricevibili, ha posto l’unico requisito temporale della tempestività dei ricorsi originari (e cioè del rispetto dei solo termine, di natura decadenziale, previsto dal citato art. 35 della Convenzione): in tal modo, implicitamente escludendo che la prescrizione, non prevista dalla normativa europea, potesse invece acquisire efficacia estintiva dopo la translatio iudicii. Esclusione, del resto consentanea con il carattere derivato, seppur non ancillare, della tutela introdotta con la cd. legge Pinto, espressamente ancorata, ex art. 2, comma 1, ai presupposti della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ed alla giurisprudenza interpretativa della Corte di Strasburgo).

Entro questa cornice dogmatica, la pur condivisibile qualificazione meramente processuale della L. n. 89 del 2001, che ha solo assicurato la concreta tutela del preesistente diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. sez. unite 26 gennaio 2004, nn. 1339-1341), concorre ad escludere l’ibridazione del modello europeo tramite l’ingresso, ex novo, di una causa estintiva diversa dalla decadenza.

E’ dunque infondata l’eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero della Giustizia con i motivi in esame.

Il ricorso è infondato e va respinto, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità alle questioni trattate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

Condanna il Ministero della Giustizia alla rifusione delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 1.100,00, di cui Euro 1000,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori di legge, da distrarre in favore dell’avv. Antonio Aceto, antistatario.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2010

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA