Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21379 del 15/09/2017

Cassazione civile, sez. VI, 15/09/2017, (ud. 06/07/2017, dep.15/09/2017),  n. 21379

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19687-2016 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE

104, presso la Sig.ra ANTONIA DE ANGELIS, rappresentato e difeso

dagli avvocati GIANMARCO TAVOLACCI, MARGHERITA FALQUI;

– ricorrente –

contro

ITALFONDIARIO SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLA

FALCONIERI, 100, presso lo studio dell’avvocato PAOLA FIECCHI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE MACCIOTTA;

– controricorrente –

e contro

INTESA SAN PAOLO SPA, in persona del Presidente, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI 76, presso lo studio

dell’avvocato TOMMASO SPINELLI GIORDANO, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIUSEPPE MACCIOTTA;

– controricorrente –

e contro

SOCIETA’ PER LA GESTIONE DI ATTIVITA’ – S.G.A. SPA, in persona del

legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E.

FERMI 80, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PESCE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ERNESTO SPARANO;

– controricorrente –

e contro

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo

studio dell’avvocato GIANDOMENICO CATALANO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LORELLA FRASCONA’;

– resistente –

e contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, LELIO

MARITATO, CARLA D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA SCIPLINO,

EMANUELE DE ROSE;

– resistente –

e contro

SARDA LEASING SPA, SERIGRAF DI S.V. E C. SAS, IFIS,

EQUITALIA SPA, D.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 404/2016 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 20/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/07/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA

BARRECA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con la decisione impugnata la Corte di Appello di Cagliari si è pronunciata sull’appello proposto da B.S. avverso la sentenza del Tribunale di Cagliari che aveva rigettato l’opposizione avanzata dal B. per fare dichiarare la nullità di diversi pignoramenti trascritti nei suoi confronti (avendo il primo giudice ritenuto infondato il motivo di opposizione col quale il B. aveva sostenuto che gli atti di pignoramento non consentivano l’individuazione della reale natura e consistenza dei beni assoggettati a vincolo);

la Corte d’appello ha rigettato il gravame in riferimento ad alcuni dei pignoramenti fatti oggetto di opposizione e l’ha dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse in relazione ad altri; ha condannato l’appellante al pagamento delle spese in favore degli appellati;

B.S. propone ricorso affidato a nove motivi, alcuni dei quali articolati in più censure;

Italfondiario S.p.A., Intesa San Paolo S.p.A., Società per la Gestione di Attività – S.G.A. S.p.A., I.N.P.S. e I.N.A.I.L. resistono con distinti controricorsi;

gli altri intimati non si difendono;

ricorrendo uno dei casi previsti dall’art. 375, comma 1, su proposta del relatore della sezione sesta, il presidente ha fissato con decreto l’adunanza della Corte, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

il decreto è stato notificato come per legge;

parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

per come si evince dal ricorso, con l’atto di opposizione depositato nelle procedure esecutive immobiliari riunite, pendenti nei suoi confronti, il debitore esecutato B. ha dedotto “nullità assoluta dei pignoramenti del 1985, 1987 e del 1994 relativamente agli immobili censiti al foglio (OMISSIS)”, per violazione del combinato disposto degli artt. 555 e 2826 c.c.;

si evince altresì dal ricorso che, con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di merito, il B. ha concluso, oltre che per la dichiarazione di estinzione del processo esecutivo per mancato deposito della documentazione ipo-catastale, per l’accertamento e la dichiarazione di nullità dei pignoramenti;

ancora, risulta che, con la sentenza di primo grado, è stato escluso che i pignoramenti fossero nulli per incertezza assoluta dei beni che ne erano oggetto, in quanto il giudice ha ritenuto identificabili i beni pignorati sulla base delle vicende desumibili dai certificati storico-catastali; è stato altresì affermato dal Tribunale che “ogni ulteriore vizio dell’atto di pignoramento dal quale non possa derivare l’assoluta inidoneità funzionale del pignoramento avrebbe dovuto essere fatto valere entro il termine di decadenza previsto dall’art. 617 c.p.c.”; conseguentemente, l’opposizione è stata rigettata;

il Tribunale non ha qualificato il vizio addotto dall’opponente per sostenere la nullità dei pignoramenti come riconducibile al disposto dell’art. 617 c.p.c.;

gli argomenti spesi dal ricorrente nella memoria depositata, volti a sostenere il contrario non colgono infatti nel segno: il contenuto della sentenza di primo grado (la cui lettura è consentita a questa Corte perchè è in discussione un error in procedendo) è tale che in nessun punto della motivazione si riscontra la qualificazione esplicita o implicita della opposizione come opposizione all’esecuzione; non vi è alcuna parte della sentenza dedicata a risolvere espressamente la questione della qualificazione dell’opposizione; vi è soltanto il passaggio di chiusura sopra testualmente riportato che non appare affatto sufficiente a farne desumere la qualificazione (implicita) di opposizione all’esecuzione perchè esso si limiti a contrapporre gli altri vizi dedotti dall’opponente al vizio di nullità del pignoramento, al solo scopo di affermare che, mentre per gli altri è valido il termine di venti giorni dell’art. 617 c.p.c., questo termine non varrebbe (come appresso si dirà), per il vizio che determini l’incertezza assoluta in merito al bene pignorato, che si assuma perciò non vendibile;

a tutto voler concedere si tratterebbe comunque di indicazione del tutto generica o ambigua (come quella ricavabile dall’indicazione dell'”oggetto” del giudizio, contenuta nell’epigrafe della sentenza) che, così come la qualificazione mancante, ne avrebbe imposto la delibazione d’ufficio da parte del giudice dell’appello, onde verificare l’ammissibilità dell’impugnazione (cfr., tra le altre, anche, in motivazione, Cass. ord. n. 13758/14, citata in memoria);

infatti, si sarebbe dovuto applicare il principio per il quale l’identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere fatta in base al principio dell’apparenza, e cioè con riferimento esclusivo alla qualificazione dell’azione proposta effettuata dal giudice “a quo”, sia essa corretta o meno, e a prescindere dalla qualificazione che ne abbiano dato le parti; tuttavia, occorre altresì verificare se il giudice “a quo” abbia inteso effettivamente qualificare l’azione proposta, o se abbia compiuto, con riferimento ad essa, un’affermazione meramente generica. In tal caso, ove si ritenga che il potere di qualificazione non sia stato esercitato dal giudice “a quo”, esso può essere legittimamente esercitato dal giudice “ad quem”, e ciò non solo ai fini del merito, ma anche dell’ammissibilità stessa dell’impugnazione (così Cass. n. 26919/09 ed altre successive, tra cui Cass. ord. n. 13758/14 cit. e le altre ivi richiamate);

la Corte d’appello di Cagliari, a sua volta, non si è occupata affatto della qualificazione dell’opposizione ai fini dell’ammissibilità dell’appello e nulla ha statuito su tale punto (sicchè è da escludere che su questo si sia formato giudicato interno);

il brano della sentenza (pag. 10) estrapolato nella memoria del ricorrente (pag. 2) acquista infatti nell’economia della motivazione tutt’altro significato, essendo volto a sottolineare -ancora una volta – che solo la nullità “assoluta ed insanabile” dei pignoramenti ne comportava la rilevabilità anche oltre il termine dell’art. 617 c.p.c., per l’inidoneità funzionale dell’atto;

così decidendo, la Corte si è espressa sì sull’eccezione di “decadenza” sollevata dagli appellati, ma solo in riferimento all’operatività o meno del termine – di decadenza appunto -, fissato dall’art. 617 c.p.c. (che, come si dirà, è questione del tutto diversa da quella della qualificazione dell’opposizione come opposizione all’esecuzione);

a tutto voler concedere (e considerando l’incipit del brano di sentenza riportato in memoria, nel quale è detto di “opposizione all’esecuzione”), ancora una volta si è in presenza di un’ambiguità del giudice a quo in punto di qualificazione, che impone a questa Corte di verificare d’ufficio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., u.c., previa qualificazione dell’opposizione del B., se l’appello fosse ammissibile;

la verifica d’ufficio si rende necessaria, in quanto, in caso di inammissibilità del gravame, sarebbe passata in giudicato la sentenza di primo grado;

riguardo al disposto dell’art. 382 c.p.c., u.c. è infatti principio di diritto presente nella giurisprudenza di questa Corte, che si intende qui ribadire, quello per il quale la Corte di cassazione può rilevare d’ufficio una causa di inammissibilità dell’appello, che il giudice del merito non abbia provveduto a riscontrare, cassando senza rinvio la sentenza di secondo grado (così Cass. n. 24047/09, in un caso in cui il giudice di appello, investito erroneamente di censure relative alla sentenza pronunciata su opposizione agli atti esecutivi, aveva omesso di dichiarare inammissibili i motivi di gravame relativi alle dette censure; cfr., in senso conforme, tra le altre, anche Cass. n. 15405/10, n. 25209/14 e n. 674/16);

riguardo alla qualificazione dell’azione, si rileva che il vizio dedotto dall’opponente, attenendo alla validità dell’atto di pignoramento, è deducibile con opposizione agli atti esecutivi, dovendo essere così qualificata qualsivoglia ragione di opposizione che riguardi la regolarità formale degli atti esecutivi;

l’atto di pignoramento è, appunto, un atto esecutivo e la deduzione con la quale si assuma che lo stesso è nullo per mancata od incompleta identificazione del bene pignorato attiene alla sua regolarità formale; quindi, la deduzione di questo vizio non concerne il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata (nella cui contestazione si sostanzia invece l’opposizione all’esecuzione);

pertanto, sebbene si ritenga che la mancata od incompleta identificazione del bene pignorato, ove ne comporti l’incertezza assoluta, renda del tutto inidoneo allo scopo l’atto di pignoramento, la conseguenza è soltanto che la relativa deduzione non è soggetta al termine di venti giorni di cui al citato art. 617 c.p.c.decorrente dalla data della notificazione dell’atto, potendo il vizio essere rilevato con le modalità e nei limiti di cui appresso – fino a che non risulti che la vendita sia stata comunque possibile;

trova applicazione il principio espresso già da Cass. S.U. n. 11178/95 secondo cui “il processo esecutivo si presenta strutturato non già come una sequenza continua di atti ordinati ad un unico provvedimento finale – secondo lo schema proprio del processo di cognizione – bensì come una successione di sub procedimenti, cioè in una serie autonoma di atti ordinati a distinti provvedimenti successivi. Tale autonomia di ciascuna fase rispetto a quella precedente comporta che le situazioni invalidanti, che si producano nella fase che è conclusa dalla ordinanza di autorizzazione della vendita, sono suscettibili di rilievo nel corso ulteriore del processo – mediante opposizione agli atti esecutivi proponibile anche dopo che detta ordinanza è stata pronunciata o d’ufficio dal giudice dell’esecuzione, in deroga all’espresso dettato dell’art. 569 c.p.c. – solo in quanto impediscano che il processo consegua il risultato che ne costituisce lo scopo, e cioè l’espropriazione del bene pignorato come mezzo per la soddisfazione dei creditori, mentre ogni altra situazione invalidante, di per sè non preclusiva del conseguimento dello scopo del processo, deve essere eccepita con opposizione agli atti esecutivi nei termini di decadenza disposti dal menzionato art. 569 c.p.c.)”;

il regime processuale che consegue all’applicazione di questo principio non muta certo la natura dell’opposizione che resta un’opposizione agli atti esecutivi regolata dagli artt. 617 e 618 c.p.c.;

ciò che fa eccezione è soltanto la decorrenza del termine per proporre l’opposizione: questa è, infatti, proponibile avverso ogni atto successivo dell’esecuzione, in quanto il vizio è tale che non ammette sanatoria perchè, in ipotesi, impedisce di pervenire alla vendita del bene, cioè all’esito fisiologico del processo esecutivo (cfr. Cass. n. 20814/09);

con la precisazione, peraltro, che l’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) si risolve in una contestazione relativa a singoli atti che la legge considera indipendenti, alla quale, pertanto, è estranea la regola della propagazione delle nullità processuali indicata dall’art. 159 c.p.c., operando tale principio anche per le cd. nullità insanabili quale è quella qui in discorso – che debbono essere fatte valere nel termine di decadenza per l’opposizione con riferimento al singolo atto esecutivo che perciò si assume viziato, atteso che la finalità del processo esecutivo di giungere ad una sollecita chiusura della fase espropriativa non tollera che esso possa trovarsi in una situazione di perenne incertezza (così a ultimo, Cass. n. 14449/16);

il vizio di nullità assoluta pignoramento attiene ad un atto del processo, e non al diritto di azione, sicchè anche quando si assuma che esso rende assolutamente incerto il bene pignorato (e quindi l’atto inidoneo a far pervenire il processo esecutivo al suo scopo con l’espropriazione del bene), il giudizio di opposizione nel quale si dibatte di tale vizio è soggetto alla disciplina dell’opposizione agli atti esecutivi, fatta eccezione per la preclusione derivante dalla decorrenza del termine dell’art. 617 c.p.c. (da intendersi operante nei limiti fissati dalla sentenza a S.U. n. 11178/95, come sopra interpretata);

orbene, l’appello avverso la sentenza pronunciata in seguito ad opposizione agli atti esecutivi è inammissibile ex art. 618 c.p.c., e tale avrebbe dovuto essere dichiarato nel caso di specie;

decidendo sul ricorso, va perciò dichiarato che l’appello non avrebbe potuto essere proposto e la sentenza d’appello va cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., u.c., dandosi desto atto del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado;

le spese del giudizio di appello e del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si pongono a carico di Sergio B. liquidate come da sentenza di appello per il giudizio di secondo grado (trattandosi di importi, sotto specificati, conformi a diritto) e come da dispositivo per il giudizio di cassazione; per quest’ultimo soltanto nei confronti dei resistenti che hanno notificato controricorso, specificati in dispositivo;

ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte, decidendo sul ricorso, dichiara, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., u.c., che l’appello non avrebbe potuto essere proposto; cassa la sentenza impugnata; condanna B.S. al pagamento delle spese del giudizio di appello in favore di Banca CIS spa, di Italfondiario spa nella sua qualità di mandataria del Castello Finance, e di Società per la gestione di attività S.G.A., nella sua qualità di mandataria di Intesa San Paolo Group Services SCPA, liquidate per ciascuno in Euro 8.066,00 per compensi, oltre IVA, CPA e spese generali nella misura del 15%;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida nell’importo di Euro 4.000,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, per ciascuno dei seguenti controricorrenti:

– ITALFONDIARIO S.P.A.

– INTESA SAN PAOLO S.P.A.

– SOCIETA’ PER LA GESTIONE DI ATTIVITA’ – S.G.A. S.P.A.;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione sesta civile – 3 della Corte suprema di cassazione, il 6 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2017

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