Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21376 del 13/08/2019

Cassazione civile sez. I, 13/08/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 13/08/2019), n.21376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18381/2018 proposto da:

B.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Iacopo Casini Ropa, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, domiciliato per legge in Roma Via dei

Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 04/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/06/2019 dal Cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Ancona, con decreto pubblicato il 4 maggio 2018, respinge il ricorso proposto da B.M., cittadino del Bangladesh, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il ricorrente non ha allegato di essere affiliato politicamente o di aver preso parte ad attività di associazioni per i diritti civili;

b) neppure il richiedente è da annoverare tra le categorie di persone esposte a violenze, torture o altre forme di trattamento inumano;

c) in ogni caso i fatti riferiti dall’interessato, in assenza di atti persecutori diretti e personali, portano al rigetto della domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato;

d) mancano anche le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria, in quanto per i profili di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), le dichiarazioni del richiedente sulle motivazioni che ne avrebbero determinato l’espatrio appaiono solo in parte credibili, pure con riguardo alla propria omosessualità (non riferita al momento dell’arrivo in Italia) e alle conseguenti emarginazioni e percosse nel villaggio di appartenenza;

e) quanto all’ipotesi di cui del citato art. 14, lett. c), dalle fonti consultate risulta che il Bangladesh non è segnalato per alcun tipo di instabilità politica e il racconto dell’interessato appare generico e comunque nella parte in cui è credibile richiama un unico episodio di percosse subite a causa della propria omosessualità che lo avrebbe indotto a lasciare il proprio Paese, mentre in precedenza la convivenza era serena;

f) inoltre la repressione (con severe sanzioni penali) dell’omosessualità riguarda gli attivisti e coloro che pubblicamente difendono i diritti civili, visto che la situazione di emarginazione o persecuzione riguarda solo pochi casi circoscritti, inoltre l’UNHCR ha di recente inviato al governo del Paese specifiche indicazioni per sensibilizzarlo sul tema dell’identità di genere;

g) anche con riguardo all’esame della domanda di permesso di soggiorno per motivi umanitari non si può prescindere dalla vicenda riferita dal ricorrente che risulta priva di elementi concreti circa l’orientamento sessuale dichiarato, del quale quindi è dato dubitare;

h) peraltro, neppure sono è emersa la sussistenza di problematiche soggettive o di condizioni di vulnerabilità suscettibili di valutazione per accordare la protezione umanitaria;

3. il ricorso di B.M. domanda la cassazione del suddetto decreto per due motivi; il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Sintesi dei motivi.

1. il ricorso è articolato in due motivi;

2. con il primo motivo si denunciano: a) violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; b) insufficienza e contraddittorietà della motivazione; c) omesso esame di un fatto decisivo, sostenendosi che il Tribunale ha respinto la domanda di protezione sussidiaria con una motivazione generica e, di fatto, inesistente nella quale da un lato non si è tenuto conto del fatto che il richiedente fin dalla richiesta di protezione internazionale ha dato conto della propria omosessualità e, d’altra parte, si è ritenuto generico il racconto perchè mancante del nome del partner (mai richiestogli) senza considerare che l’interessato non aveva dichiarato di avere instaurato una stabile relazione omosessuale ma solo di avere avuto rapporti sessuali con uomini a partire dal 2011;

2.1. si aggiunge che il Tribunale non ha adeguatamente valutato la grave situazione di discriminazioni e violazione dei diritti umani perpetrati in Bangladesh soprattutto nei confronti degli omosessuali, con la previsione di severe sanzioni penali;

2.3. inoltre neppure è stato considerato che la situazione del Paese si caratterizza per una pervicace e duratura instabilità politico-istituzionale;

3. con il secondo motivo si denunciano: a) violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5; b) insufficienza e contraddittorietà della motivazione; c) omesso esame di un fatto decisivo, rilevandosi che il Tribunale ha respinto la domanda di protezione umanitaria senza applicare la relativa disciplina (e, in particolare, senza valutare gli elementi propri della vicenda personale del ricorrente e la sua vita personale e familiare in Italia), ma facendo riferimento ad astratti presupposti e quindi senza motivazione;

Esame delle censure.

4. i motivi di censura – da esaminare insieme perchè intimamente connessi – non sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte;

5. le contestate decisioni di rigetto della protezione sussidiaria (primo motivo) e di quella umanitaria (secondo motivo) hanno il loro fulcro nella statuizione del Tribunale secondo cui la vicenda riferita dal ricorrente è risultata priva di elementi concreti circa l’omosessualità dichiarata ed quindi è risultata poco credibile;

5.1. in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) nei giudizi in materia di protezione internazionale la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c);

b) tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (vedi, per tutte: Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340);

c) laddove i fatti allegati a sostegno della domanda siano stati ritenuti poco credibili o non credibili, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (fra le tante: Cass. 20 dicembre 2018, n. 33096);

5.2. nel presente ricorso la suindicata statuizione – che rappresenta la ratio decidendi principale del decreto impugnato – non risulta censurata in conformità con i suindicati principi in quanto ci si limita a fare generici riferimenti all’omosessualità del ricorrente senza specifico riguardo alla valutazione di scarsa credibilità espressa sul punto dal Tribunale, così violando l’art. 360 c.p.c., n. 5;

5.3. inoltre, le censure sono formulate senza il dovuto rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali (e non) è tenuto ad assolvere il duplice onere di indicare nel ricorso specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito (trascrivendone il contenuto essenziale), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, secondo quanto rispettivamente previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso), nel rispetto del relativo scopo, che è quello di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726; Cass. 14 settembre 2012, n. 15477; Cass. 8 aprile 2013, n. 8569; Cass. 16 febbraio 2016, n. 2937);

Conclusioni.

6. per tali assorbenti rilievi il ricorso deve essere respinto;

7. le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atti della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate Euro 2100,00 (duemilacento/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019

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