Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21373 del 15/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 15/10/2011, (ud. 17/06/2011, dep. 15/10/2011), n.21373

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso R.G. n. 15334/10 proposto da:

P.R. (c.f. (OMISSIS)) e P.A.

M. (c.f. (OMISSIS)), quali eredi di P.M., e

C.G. (c.f. (OMISSIS)), C.S.

R. (c.f. (OMISSIS)), C.L. (c.f.

(OMISSIS)), CH.Ga. (c.f. (OMISSIS)),

C.P. (c.f. (OMISSIS)), quali eredi di P.

E., elettivamente domiciliati in Roma, via Piramide Cestia, n. 1,

presso lo studio dell’avv. C. Macrì, rappresentati e difesi dagli

avv.ti Porru D. e G. Meloni giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AZIENDA REGIONALE PER L’EDILIZIA ABITATIVA A.R.E.A., subentrata nei

rapporti giuridici del soppresso Istituto autonomo case popolari

elettivamente domiciliato in Roma, in persona del direttore generale

viale Mazzini, n. 134, presso lo studio dell’avv. C. Sadurny, che lo

rappresenta e difende insieme con l’avv. G. Cudoni giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 119/2010 della Corte d’appello di Cagliari,

sez. distaccata di Sassari, depositata il 19.2.2010;

vista la relazione scritta della causa svolta dal Consigliere Dott.

Felice Manna;

udito l’avv. A. Serra (delegato dell’avv. D. Pomi), difensore dei

ricorrenti, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1^ – Il consigliere relatore nominato ai sensi dell’art. 377 c.p.c. ha depositato la seguente relazione ex art. 380-bis c.p.c.:

“1. – L’IACP di Sassari, dichiaratosi soccombente in un pregresso procedimento possessorio, agiva in rivendica di un fondo posto in Sassari (distinto nel N.C.T. dal f. 72, mapp. 429) nei confronti di M. ed P.E., deducendo che nel 1937 il terreno, con relativo fabbricato rurale, era stato assegnato con una procedura di diritto pubblico (in esito ad un atto di riqualificazione urbana e di dotazione finanziaria dell’alloro governo centrale) al padre di questi ultimi, Pi.Ga., coltivatore diretto con numerosa prole, affinchè lo coltivasse per il sostentamento proprio e della sua famiglia.

1 convenuti resistevano proponendo domanda riconvenzionale di usucapione della proprietà dell’immobile, siccome posseduto sin dal 1937 dai loro genitori, Pi.Ga. e M.A..

1.1. – Il Tribunale di Sassari rigettava entrambe le domande, ritenendole non assistite da prova sufficiente.

Tale pronuncia era parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, che con sentenza del 19.2.2010 accoglieva la domanda principale, ritenendo a) provato che sin dal 1926, epoca di impianto del N.C.T., il fondo era intestato al comune di Sassari, il quale l’aveva venduto con atto pubblico del 1962 all’INCIS, cui era succeduto l’IACP, cui, ancora, in corso di causa era succeduta l’AREA – Azienda regionale edilizia abitativa, in favore della quale era pronunciata la decisione; e b) non dimostrato, per contro, che il dante causa dei convenuti avesse iniziato a possedere l’immobile, essendo stato egli beneficiario di un atto di assegnazione attributivo la sola detenzione e non risultando alcun successivo atto di interversio possessionis.

2. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono P.R. e A.M., quali eredi di P.M., e G., S.R., L., Ga. e C.P., quali eredi di P.E., proponendo quattro mezzi di annullamento.

2.1. – Resiste con controricorso l’AREA. 3. – Con i primi due motivi d’impugnazione i ricorrenti deducono l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in ordine a fatti controversi e decisivi; con il terzo denunciano la violazione dell’art. 581 c.p.c. ante lege n. 151 del 1975 (per contestare un passaggio della motivazione che aveva valorizzato, in senso contrario al possesso dedotto dai convenuti, un atto posto in essere da M.A., che i ricorrenti sostengono non essere stata erede di Pi.Ga.); e con il quarto lamentano la violazione o falsa applicazione dell’art. 1141 c.c., per aver la Corte d’appello gravato la parte convenuta dell’onere di provare il proprio possesso, lì dove, invece, sarebbe stato l’ente attore a dover dimostrare che l’atto di assegnazione del 1937 aveva immesso Pi.Ga. nel solo godimento dell’immobile, senza trasferirgli la proprietà.

4. – Quest ‘ultimo motivo, il cui esame appare prioritario per le ragioni che seguono, è fondato.

4.1. – Dalla narrativa della sentenza impugnata risulta che lo stesso IACP ha dato atto di essere risultato soccombente in un giudizio possessorio precedentemente instaurato nei confronti dei convenuti.

Ne deriva che, sebbene nella presente causa detto ente abbia continuato a contestare che i P. e i loro danti causa avessero mai iniziato a possedere l’immobile conteso, sostenendo essersi trattato di sola detenzione, il precedente possessorio evocato contra se dalla stessa parte attrice, in una con la presunzione di possesso posta dall’art. 1141 c.c., comma 1 impone di qualificare l’azione proposta come rivendica, ai sensi dell’art. 948 c.c..

4.1.1. – E’ costantemente affermato da questa Corte che il rigore della regola secondo cui chi agisce in rivendicazione deve provare la sussistenza del proprio diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene anche attraverso i propri danti causa, fino a risalire ad un acquisto a titolo originario o dimostrando il compimento dell’usucapione, non riceve attenuazione per il fatto che la controparte proponga domanda riconvenzionale ovvero eccezione di usucapione, in quanto chi è convenuto nel giudizio di rivendicazione non ha l’onere di fornire alcuna prova, potendo avvalersi del principio possideo quia possideo, anche nel caso in cui opponga un proprio diritto di dominio sulla cosa rivendicata, dal momento che tale difesa non implica alcuna rinuncia alla più vantaggiosa) posizione di possessore (cfr. fra le tante, Cass. n. 11555/07, 5472/01, 4748/96).

4.2. – La sentenza impugnata mostra di non aver applicato tale consolidato orientamento, avendo deciso la controversia sulla base della sola prova dell’appartenenza del terreno al comune di Sassari, dante causa dell’IACP, alla data di impianto del N.C.T. (anno 1926) – circostanza che non prova l’acquisto a titolo originario – e dell’osservazione che, per contro, i convenuti non avevano dimostrato la natura possessoria del potere di fatto esercitato sul bene dai loro autori.

5. – Per quanto sopra, si propone la decisione del ricorso con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5”.

2^ – Esaminati congiuntamente i motivi d’impugnazione, per la loro stretta consequenzialità logico-giuridica, il Collegio non condivide la relazione.

Premesso che nella presente controversia il giudicato possessorio tra le parti non ha efficacia cogente, non formando oggetto dei motivi d’impugnazione, e che, pertanto,da esso non è desumibile alcuna conseguenza sul riparto degli oneri probatori, va osservato che sebbene il rigore dell’onere probatorio gravante sull’attore in rivendica non sia, di regola, attenuato dalla proposizione da parte del convenuto di una domanda o di un’eccezione riconvenzionale di usucapione, questa Corte ha tuttavia chiarito che la mancata contestazione da parte del convenuto stesso dell’originaria appartenenza del bene rivendicato al comune autore o ad alcuno dei danti causa dell’attore, comporta che il rivendicante possa, in tal caso, limitarsi alla dimostrazione di come il bene in contestazione abbia formato oggetto di un proprio, valido titolo di acquisto.

Infatti, l’opposizione di un acquisto per usucapione il cui dies a quo sia successivo a quello del titolo d’acquisto del rivendicante, comporta che – attenendo il thema disputandum all’appartenenza attuale del bene al convenuto in forza dell’invocata usucapione e non già all’acquisto di esso da parte dell’attore – l’onere probatorio del rivendicante possa legittimamente ritenersi assolto per effetto del fallimento dell’avversa prova della prescrizione acquisitiva, con la dimostrazione della validità del titolo in base al quale quel bene gli era stato trasmesso dal precedente titolare (così, Cass. nn. 13186/02, 7529/06 e 20037/10).

Nello specifico, la Corte territoriale ha rilevato – con accertamento di fatto in parte qua non investito da censura sulla congruità e logicità dell’iter motivazionale che lo sorregge – che sin dal 1926, epoca di impianto del N.C.T., il fondo era intestato al comune di Sassari, il quale l’aveva venduto con atto pubblico del 1962 all’INCIS, cui era succeduto l’IACP (del quale l’odierna parte controricorrente è successore). Dunque, non essendo nè controverso, nè più controvertibile che in epoca (1926) anteriore al momento in cui (1937) i P. cominciarono a godere del fondo, quest’ultimo appartenesse al comune di Sassari, autore mediato dell’A.R.E.A., correttamente i giudici d’appello hanno tratto da ciò la conseguenza che il comune avesse il possesso del bene e che l’avesse mantenuto nonostante l’assegnazione del terreno ai P., essendone costoro soltanto detentori, quali beneficiari di un atto di assegnazione che li obbligava alla coltivazione; e che, pertanto, indipendentemente dalla prova di un acquisto a titolo derivativo, doveva ritenersi compiuto in favore del comune stesso l’acquisto per usucapione ultraventennale.

La Corte sassarese ha, altresì, rilevato che l’unico atto d’interversione del possesso da parte dei predetti detentori è stato posto in essere in epoca successiva e prossima al 1968, per cui, avendo l’IACP instaurato il presente giudizio nel 1984, altrettanto correttamente i giudici d’appello hanno concluso che non era maturato il ventennio per l’usucapione della proprietà da parte dei P..

3^ – In conclusione il ricorso è infondato e va respinto.

4^ – Le spese del presente procedimento di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza dei ricorrenti, in solido fra loro.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese che liquida in Euro 2,200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 17 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2011

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