Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21372 del 24/10/2016

Cassazione civile sez. lav., 24/10/2016, (ud. 22/06/2016, dep. 24/10/2016), n.21372

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12731-2011 proposto da:

R.A.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, V. DI VILLA PEPOLI 4, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO

CARACUZZO, rappresentata e difesa dagli avvocati FABRIZIO ZARONE,

PASQUALE MAROTTA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI VALLE AGRICOLA P.I. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI 114-A,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPINA ZANNINI, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUIGI CIMINO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso sentenza n. 4841/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 23/06/2010 R.G.N. 2006/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/06/2016 dal Consigliere Dott. BLASUTTO DANIELA;

udito l’Avvocato ZARONE FABRIZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO GIANFRANCO, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 4841/2010, confermava la pronuncia del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che aveva respinto la domanda proposta da R.A. nei confronti del Comune di Valle Agricola intesa all’accertamento della illegittimità del provvedimento di revoca di incarico dirigenziale, adottato dal Comune il (OMISSIS).

1.1. La Corte territoriale svolgeva le seguenti considerazioni:

– la ricorrente, con nota del (OMISSIS), aveva richiesto un’integrazione di personale e l’assegnazione di almeno un’unità operativa, prospettando, in mancanza, l’esonero da ogni responsabilità connessa agli adempimenti non portati a termine;

– nella nota di riscontro del (OMISSIS) il Comune aveva fatto cenno all’avvenuta assegnazione, all’area di competenza dell’istante, di risorse idonee ad assorbire i carichi di lavoro; contestualmente era stato contestato alla R. di non sapere esprimere in maniera adeguata un adattamento alle funzioni di responsabilità attribuite, con elusione del pieno conseguimento degli obiettivi gestionali;

– il provvedimento impugnato, sorretto dal richiamo alla valutazione espressa nella predetta nota del (OMISSIS), recava le ragioni giustificative in merito al giudizio negativo circa le capacità organizzative dell’interessata;

– a fronte di ciò, la ricorrente ben avrebbe potuto articolare mezzi istruttori relativi alle circostanze oggetto del giudizio negativo, con specifico riguardo al comportamento e all’apporto operativo delle unità lavorative assegnatele e ai problemi organizzativi dell’area, al fine di comprovare l’ingiustificatezza della revoca dell’incarico, mentre correttamente il primo giudice non aveva ammesso la prova testimoniale di parte ricorrente, ritenuta tardiva perchè introdotta solo in sede di memoria difensiva in replica alla comparsa di costituzione del Comune;

1.2. La Corte di appello riteneva inammissibile, in quanto nuova ex art. 345 c.p.c., la censura relativa alla mancata osservanza delle garanzie procedimentali nell’adozione del provvedimento di revoca dell’incarico dirigenziale.

1.2. Per il resto, osservava la Corte territoriale:

– che le risultanze istruttorie, anche documentali, avevano dimostrato le inadempienze riguardanti la mancata trascrizione di atti sui registri anagrafici e di stato civile, l’incompleta trascrizione degli atti di nascita nei corrispondenti registri, nonchè i rilievi da parte dell’Ufficio Regionale della Campania relativi alla mancata costituzione dell’ufficio del Censimento e ad altre incombenze segnalate anche dalla Prefettura;

– – che la prova per testi esperita aveva corroborato gli assunti del Comune circa l’esistenza di un adeguato supporto organizzativo e la continuativa collaborazione prestata dal personale assegnato all’area;

– che non era emersa una situazione organizzativa ostativa all’espletamento dei compiti assegnati alla dirigente, cui doveva quindi imputarsi l’inadeguatezza rispetto al raggiungimento degli obiettivi assegnati, motivo di revoca dell’incarico ai sensi dell’art. 109 T.U. Enti locali.

2. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la R. con tre motivi. Resiste il Comune di Valle Agricola con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I tre motivi di ricorso sono tutti così rubricati: “violazione di legge in relazione agli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost., violazione del principio di diritto di cui alla sentenza della Suprema Corte di Cassazione, Sez. Lav. n. 18206 del 21.08.2006; falsa applicazione e conseguente violazione dell’art. 354 c.p.c.; violazione del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 21; violazione dell’art. 109 T.U.E.L. adottato con D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267; violazione dell’art. 9 CCNL Enti Locali del 31.3.1999. Insufficienza e illogicità della motivazione”. Segue l’illustrazione di doglianze che promiscuamente sono volte a contestare, in via del tutto generica rispetto alla puntuale motivazione adottata dalla Corte territoriale, la mancata ammissione della prova testimoniale, la circostanza dell’integrazione di risorse umane occorrenti a soddisfare l’esigenza prospettata dalla ricorrente, il mancato previo accertamento della inefficienza gestionale o delle inadempienze rispetto ai compiti apicali affidati alla ricorrente.

2. Il ricorso è inammissibile.

3. Va premesso che le Sezioni Unite della COrte hanno chiarito (sentenza n. 9100 del 6 maggio 2015) che, in materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati.

3.1. Già in precedenza questa Corte aveva affermato che l’inammissibilità non sussiste allorquando il ricorso per cassazione, pur presentando congiuntamente in rubrica più profili di censura, esibisca con sufficiente specificità i profili attinenti la ricostruzione del fatto e passi successivamente alla trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o alla applicazione della o delle norme appropriate alla fattispecie (Cass. n. 9793 del 2013).

4. Tuttavia, nel caso in esame tali condizioni non ricorrono, in quanto il ricorso risulta formulato mediante la mera sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, senza un’adeguata specificazione che consenta, nel contesto dell’illustrazione di ciascun motivo, di disarticolare l’unitarietà onde ricondurre specifiche questioni all’uno o all’altro profilo.

4.1. In particolare, il ricorso prospetta la violazione di norme di diritto sostanziale, di diritto processuale e vizi di motivazione mediante un’esposizione che mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse.

5. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 22 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2016

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