Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21372 del 15/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 15/09/2017, (ud. 27/06/2017, dep.15/09/2017),  n. 21372

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 14828 del ruolo generale dell’anno

2016, proposto da:

COOPERATIVA EDILIZIA “ETRURIA 88”, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore M.A. rappresentato e

difeso dall’avvocato Ilaria Di Punzio (C.F.: DPN LRI 74M68 M082D);

– ricorrente –

nei confronti di:

P.A., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso

dall’avvocato Pasquale Iannuccilli (C.F.: NNC PQL 43R26 I234C);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma n.

6693/2015, pubblicata in data 2 dicembre 2015;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 27 giugno 2017 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società cooperativa Edilizia Etruria 88 ha agito in giudizio nei confronti del socio P.A. e di A.W.M. per ottenere l’accertamento dell’illegittimità del comportamento del primo, che aveva sub-locato al secondo l’immobile assegnatogli ai sensi della L. 17 febbraio 1992, n. 179, art. 8 la risoluzione di detto contratto di sublocazione ed il rilascio dell’immobile, occupato da A.W.M..

Il Tribunale di Roma ha accolto la sola domanda di accertamento dell’illegittimità della condotta del P., mentre ha dichiarato il difetto di legittimazione dell’attrice in relazione alla domanda di risoluzione del contratto stipulato con A.W.M. dallo stesso P..

Su appello di quest’ultimo, la Corte di Appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, ha invece rigettato anche l’unica domanda accolta in primo grado.

Ricorre la società cooperativa Edilizia Etruria 88, sulla base di un unico motivo.

Resiste con controricorso il P..

Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., in quanto ritenuto destinato ad essere dichiarato inammissibile.

La società ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione della L. 17 febbraio 1992, n. 179, art. 20 in relazione alla L. 8 agosto 1977, n. 513, art. 26e al T.U. 28 aprile 1936, n. 1165, art. 111, comma 1, art. 12, comma 229”.

Il ricorso è inammissibile.

Secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, la originaria domanda della cooperativa aveva ad oggetto l’accertamento di illegittimità del comportamento del socio P., per violazione della L. 17 febbraio 1992, n. 179, art. 20 (“Norme per l’edilizia residenziale pubblica”).

La domanda era stata accolta dal tribunale, che aveva ritenuto illegittima la locazione dell’immobile senza l’autorizzazione della cooperativa e della Regione, richiesta dal suddetto art. 20 per le locazioni e le alienazioni stipulate nei primi cinque anni dall’assegnazione o dall’acquisto dell’alloggio.

La sentenza di primo grado è stata riformata in appello, essendo stata esclusa la necessità di tali autorizzazioni, in quanto la locazione era stata stipulata oltre cinque anni dopo l’assegnazione dell’alloggio al socio, in assenza di ulteriori vincoli statutari.

La corte di appello ha anche chiarito che la fattispecie doveva ritenersi regolata proprio dalla citata L. n. 179 del 1992 (che prevede disposizioni valide anche per le cooperative a proprietà indivisa), e non, come sostenuto per la prima volta in grado di appello dalla società attrice, dalla L. 8 agosto 1977, n. 513 (che riguarda la sola edilizia residenziale pubblica), ed ha altresì precisato che il rapporto tra la cooperativa ed il Pasca-rella, secondo l’accertamento operato dal tribunale in primo grado con pronunzia non specificamente impugnata, non poteva considerarsi una locazione, trattandosi invece di una assegnazione volta al futuro acquisto della proprietà.

Nel ricorso si sostiene unicamente che l’immobile in questione sarebbe immobile di “edilizia popolare e non agevolata”, per essere stata la cooperativa finanziata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e non dalla Regione, e che dunque alla fattispecie sarebbe applicabile (non la L. n. 179 del 1992, richiamata in primo grado, e neanche la L. n. 513 del 1997, come dedotto in secondo grado, ma) il T.U. 28 aprile 1938 n. 1165, del quale si riportano alcune disposizioni, unitamente al richiamo di una serie di pronunzie giurisprudenziali ad esso relative (pronunzie aventi ad oggetto i rapporti tra soci e cooperativa per quanto attiene all’assegnazione ed al trasferimento della proprietà dell’alloggio, ed al suo diritto di mero godimento sullo stesso prima del perfezionamento del contratto di mutuo individuale).

Si tratta – come eccepito dal controricorrente – di una questione del tutto nuova e che presuppone accertamenti di fatto, come tale inammissibile in sede di legittimità, non essendo stata oggetto del giudizio di merito.

Il ricorso difetta, inoltre, del necessario requisito di specificità (ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, 4 e 6).

In primo luogo non è in alcun modo richiamato il contenuto degli atti del giudizio di merito, dai quali possa eventualmente evincersi se la questione della normativa applicabile era stata già posta, ed in quali termini.

Nè risulta d’altra parte avanzata alcuna specifica censura con riguardo all’affermazione della sentenza impugnata secondo la quale sulla natura del rapporto tra socio e cooperativa (di assegnazione finalizzata al futuro acquisto della proprietà, e non di locazione) si sarebbe formato il giudicato.

In realtà, non può non rilevarsi che alla stessa affermazione dell’applicabilità del T.U. n. 1165 del 1938 non fanno seguito nel ricorso specifiche argomentazioni volte a chiarire quali conseguenze – e sulla base di quali principi giuridici – ne deriverebbero nella fattispecie concreta, e mancano altresì specifiche conclusioni critiche in relazione alle questioni di diritto affrontate e risolte dai giudici di merito in senso sfavorevole alla ricorrente.

2. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna la società ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 agosto 2017

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