Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21371 del 13/08/2019

Cassazione civile sez. I, 13/08/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 13/08/2019), n.21371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6100/2018 proposto da:

E.W., elettivamente domiciliato in Roma Via Degli

Scipioni 265 presso lo studio dell’avvocato Domenico Liberatore che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Antonio Ottaviano;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 06/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/06/2019 dal cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. il Tribunale di Ancona, con decreto pubblicato il 6 gennaio 2018, respinge il ricorso proposto da E.W., cittadino nigeriano proveniente da (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente è privo di documenti di cui non giustifica la mancanza, il che è significativo ove si consideri che egli ha pianificato la fuga dal suo Paese;

b) le dichiarazioni del richiedente in merito alle motivazioni di tale fuga appaiono inidonee a giustificare un provvedimento di protezione in quanto riguardano vicende riferite in modo confuso e non credibili, come rilevato dalla Commissione territoriale;

c) pertanto, la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato non può essere accolta perchè non risulta che il ricorrente sia stato esposto al rischio concreto di persecuzioni e che quindi, per tale ragione, non possa o non voglia giustificatamente avvalersi della protezione del Paese di provenienza;

d) nel colloquio non è emersa la prova certa o attendibile di un collegamento della situazione individuale del richiedente con il rischio di essere vittima di violenze in caso di rimpatrio in “(OMISSIS)” da cui proviene, che non rientra fra gli Stati della Nigeria per i quali l’UNHCR ha sconsigliato il rimpatrio, non essendo ricompreso neppure tra gli Stati nigeriani ove è segnalato un elevato rischio di atti terroristici o rapimenti a danno di stranieri;

e) nel racconto del ricorrente non vi è cenno della violenza petrolifera e della violenza armata che si riscontra nel (OMISSIS) e che, in particolare, in (OMISSIS) ha indotto personalità politiche a fornire di armi i giovani per spingerli alla violenza;

f) mancano, quindi, le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria, in quanto non sembra sussistere il rischio per il ricorrente di subire la condanna alla pena di morte o trattamenti inumani o degradanti nel Paese di origine;

g) ne consegue che le incongruenze e la vaghezza della vicenda narrata portano senz’altro ad escludere che, in caso di rimpatrio, il ricorrente corra il rischio di subire un “danno grave”, del tipo indicato nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) (l’esposizione dello straniero al rischio di morte, tortura o altra forma di trattamento inumano o degradante), tra i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria;

h) con riferimento all’ipotesi indicata nella lett. c) medesimo art. 14 è da escludere l’esistenza di un conflitto armato interno – pur nell’ampia accezione indicata dalla giurisprudenza – che possa creare una situazione di indiscriminata violenza che possa coinvolgere il ricorrente;

i) infine, non sono stati neppure allegati dal ricorrente particolari motivi di carattere soggettivo ovvero condizioni di vulnerabilità per motivi personali o di salute che consentano di accordare la protezione umanitaria;

3. il ricorso di E.W. domanda la cassazione del suddetto decreto per tre motivi; il Ministero dell’Interno resta intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Sintesi dei motivi.

1. il ricorso è articolato in tre motivi;

2. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione: a) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 con riguardo alla valutazione di non credibilità della vicenda personale narrata dal richiedente; b) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) ovvero del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in ordine alla mancata concessione della protezione sussidiaria ovvero della protezione umanitaria, statuizioni che risultano anche prive di motivazione, non avendone il Tribunale esplicitato le ragioni logico-giuridiche sottostanti;

2.1. si rileva che il Tribunale non ha fatto applicazione delle garanzie procedurali previste in favore del ricorrente, avendo escluso – senza adeguata motivazione – la credibilità del racconto dell’interessato senza applicare i relativi parametri tipizzati dalle norme suindicate;

2.2. nè il Tribunale ha disposto l’audizione in sede giudiziale del richiedente per colmare eventuali lacune o chiarire riscontrate aporie, audizione che era stata chiesta nell’atto introduttivo del giudizio anche in considerazione della mancata videoregistrazione di quella effettuata dinanzi alla Commissione territoriale;

2.3. su queste basi il Tribunale ha omesso di verificare se, ai fini della protezione sussidiaria o umanitaria, in presenza di una minaccia di un danno grave ad opera di un soggetto “non statale” (nella specie rappresentate da “vendette private” analoghe a quelle che avevano determinato l’uccisione del padre del richiedente) la Nigeria fosse in grado di offrire un’adeguata protezione all’interessato;

3. con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione di molteplici disposizioni di legge, nonchè dell’art. 16 della direttiva Europea 2013/32 e del D.Lgs.n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere il Tribunale riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del richiedente derivante da una situazione di violenza indiscriminata come definita dalla sentenza della CGUE C-465-07 (riguardante i coniugi E.) che dilaga in tutta la Nigeria;

3.1. il ruolo attivo del giudice del merito comporta la necessità di acquisire informazioni attendibili sulla situazione del Paese di provenienza per metterle in relazione con le dichiarazioni rese dall’interessato alla Commissione territoriale e nel corso del giudizio, non potendo formare il proprio convincimento soltanto sulla credibilità soggettiva del richiedente e sull’adempimento dell’onere di provare una situazione di pericolo per la propria incolumità nel Paese di origine;

3.2. nella specie il Tribunale ha, in primo luogo, indicato come zona di provenienza il “(OMISSIS) invece che l'(OMISSIS)” e poi ha negato la protezione sussidiaria senza considerare che le fonti internazionali più accreditate pongono in evidenza che anche nell'(OMISSIS) si riscontrano una grave crisi e una diffusa violazione dei diritti umani, che peraltro caratterizzano l’intera Nigeria;

3.3. in analoghe situazioni altri giudici di merito hanno riconosciuto la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), mentre, nella specie, ciò non è accaduto in mancanza di un’indagine officiosa sull’effettivo contrasto alla violenza svolto dalle autorità nigeriane e senza considerare che a tal fine non rileva una eventuale incoerenza del quadro individuale di esposizione diretta al pericolo della propria incolumità essendo sufficiente che venga tratteggiata una situazione di violenza diffusa e indiscriminata non arginata dalle autorità statali;

3.4. di qui la violazione anche del principio di uguaglianza;

4. con il terzo motivo si denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5: a) omessa pronuncia sui motivi posti a fondamento della domanda, con conseguente violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, nonchè degli artt. 3 e 111 Cost.; b) violazione degli artt. 6 e 13 CEDU, dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali UE e dell’art. 46 della direttiva 2013/32/CE, per totale mancanza di motivazione sulla domanda diretta ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari;

4.1. si sottolinea, in particolare, che la mancanza della motivazione sul punto è tanto più grave per il fatto che, in assenza dell’esame della videoregistrazione della Commissione territoriale, il richiedente non è stato neppure ascoltato in udienza, nè sono stati escussi i testi indicati.

Esame delle censure.

5. Il primo motivo deve essere accolto con riguardo al profilo di censura con il quale si deduce che la valutazione di non credibilità della vicenda personale narrata dal richiedente nonchè la mancata concessione della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, risultano prive di specifica motivazione, non avendone il Tribunale esplicitato le ragioni logico-giuridiche sottostanti;

5.1. deve essere ricordato che, per costante giurisprudenza di questa Corte – pur dopo la modifica dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 17, che ha portato alla sostituzione della “concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione” con la “concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione” – è pacifico che un elemento indispensabile della sentenza (o di altro provvedimento decisorio come l’attuale decreto) sia la definizione del fatto da cui nasce il diritto preteso, che va comunque narrato, non in termini prolissi, ma nei suoi elementi rilevanti per la decisione, quali risultanti al termine dell’istruttoria, considerato che lo stesso legislatore, nel modificare l’art. 132 cit., ha espressamente stabilito un collegamento di tipo logico e funzionale tra l’indicazione dei fatti di causa e le ragioni poste dal giudice a fondamento della decisione (vedi per tutte: Cass. 11 novembre 2010, n. 22845; Cass. 10 dicembre 2015, n. 24940);

5.2. con indirizzi altrettanto fermi la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che, in tema di contenuto della sentenza (o del provvedimento di carattere decisorio), la concisa esposizione dei fatti rilevanti della causa non costituisce un elemento meramente formale, bensì un requisito da apprezzare esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (Cass. 20 gennaio 2015, n. 920; Cass. 22 giugno 2015, n. 12864);

5.3. la sentenza (o il provvedimento) sono nulli ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, se manchi del tutto l’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (Cass. 8 gennaio 2009, n. 161; Cass. 15 marzo 2002, n. 3828);

5.4. è stato altresì affermato che il canone della chiarezza e della sinteticità espositiva degli atti processuali (di parte e di ufficio) è uno dei pilastri su cui si basa il giusto processo, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 2, e in coerenza con l’art. 6 CEDU (arg. ex Cass. 4 luglio 2012, n. 11199; Cass. 30 aprile 2014, n. 9488);

5.5. infine, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Cass. SU 5 agosto 2016 n. 16599; Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053 e ancora, ex plurimis, Cass. civ. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007;n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009);

5.6. il decreto impugnato, in primo luogo, risulta del tutto privo della sintesi del racconto del richiedente e cioè della suddetta concisa definizione del fatto da cui nasce il diritto preteso – che, come si è detto, è un elemento che non può mancare in una sentenza così come in generale in un provvedimento decisorio essendo essenziale per la comprensione del ragionamento logico-giuridico che ha portato alla decisione – la cui assenza già rende, di per sè, viziato il provvedimento;

5.7. a ciò va aggiunto che la lunga motivazione del decreto peraltro risulta poco appagante in quanto contiene una serie di elementi – come la descrizione della normativa che disciplina le varie forme di protezione internazionale o umanitaria – che non sono essenziali, sicchè il loro inserimento non risulta certamente conforme al suddetto canone della sintesi cui il legislatore chiede al giudice di uniformarsi, attraverso il tratto conciso (art. 132 c.p.c.) e succinto (art. 118 disp. att. c.p.c.) e quindi il rispetto dei principi del giusto processo (Cass. 2 agosto 2012, n. 13886);

5.8. mentre, nelle poche parti che si riferiscono al caso di specie, la motivazione del decreto risulta del tutto apodittica e tale da non esplicitare le ragioni per le quali in concreto il compiuto accertamento di fatto ha portato ad escludere la credibilità del richiedente e al rigetto della sua domanda di protezione sussidiaria e umanitaria, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento effettuato dal Tribunale (vedi, per tutte: Cass. 7 aprile 2017, n. 9105);

Conclusioni.

6. per le suddette ragioni il primo motivo di ricorso deve essere accolto nei limiti indicati e questo comporta l’assorbimento di ogni altro profilo di censura;

7. il decreto impugnato essere, quindi, cassato, in relazione alla censura accolta, con rinvia la causa, e anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Ancona che, in diversa composizione, si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa il decreto impugnato e rinvia anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Ancona, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione prima civile, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2019

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