Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2137 del 31/01/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 2137 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 18153-2008 proposto da:
FINTECNA – FINANZIARIA PER I SETTORI INDUSTRIALI E
DEI SERVIZI S.P.A., in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio
dell’avvocato BOCCIA FRANCO RAIMONDO, che la
2013
3486

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BOSIO
CESARE, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA

Data pubblicazione: 31/01/2014

SOCIALE

C.F.

80078750587

in

persona

del

suo

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in
proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.
Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S.,
C.F. 05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA,

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli
avvocati FABIANI GIUSEPPE, MARITATO LELIO, CORETTI
ANTONIETTA, LUIGI CALIULO;
– controricorrento ; nonchè contro

BANCA M.P.S. Concessionaria del Servizio Nazionale di
Riscossione per la Provincia di ROMA S.P.A. ora
EQUITALIA GERIT S.P.A.;
– intimata –

avverso la sentenza n. 577/2007 della CORTE D’APPELLO
di GENOVA, depositata il 10/07/2007 R.G.N. 240/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/12/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato GIANNI’ GAETANO per delega BOCCIA
FRANCO;
udito l’Avvocato MARITATO LELIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura

R.G. n. 18153/08
Ud. 4 dic. 2013

,

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

aprile – 10 luglio 2007, ha confermato la decisione di primo
grado che aveva respinto l’opposizione proposta da Fintecna
S.p.A. avverso la cartella esattoriale emessa dal Monte dei Paschi
di Siena – Concessionario del Servizio nazionale di riscossione
per la Provincia di Roma, per il pagamento, a favore dell’INPS,
della complessiva somma di E 3.494.079,43 a seguito di tre
verbali ispettivi che avevano accertato inadempienze contributive
a carico della predetta società.
Per quanto ancora rileva in questa sede la Corte di merito
ha ritenuto :
– che la cartella esattoriale aveva un contenuto tale da consentire
l’identificazione della pretesa avversaria, onde l’eccezione di
nullità, già rigettata in primo grado, era infondata;
– che peraltro tale vizio avrebbe dovuto essere fatto valere con il
rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 cod. proc.
civ.) e non già, ai sensi dell’art. 24 D. Lgs. n. 46 del 1999, con
l’opposizione avverso la pretesa di riscossione;
– che, con riguardo al verbale di accertamento del 9 luglio 1996,
era fondata la pretesa dell’INPS avente ad oggetto il recupero
della differenza tra quanto erogato dall’Istituto a titolo di CIGS in
relazione ai contratti a tempo pieno stipulati, secondo la società,
con taluni dipendenti e quanto avrebbe dovuto viceversa essere
erogato, trattandosi in realtà di contratti a tempo parziale. Ed
infatti, essendo stati tali contratti trasformati a tempo pieno in
coincidenza con la richiesta di integrazione salariale, questa non
poteva che essere corrisposta dall’Istituto con riferimento alla

La Corte d’Appello di Genova, con sentenza in data 27

2

retribuzione che i dipendenti percepivano nel periodo anteriore
alla CIGS;
– che, in ordine agli altri due verbali di accertamento, l’INPS
aveva pieno titolo ad avvalersi del giudicato intervenuto tra la
società e i lavoratori, che aveva affermato l’illegittimità della
collocazione in COS. Conseguentemente il rapporto di lavoro

l’obbligo retributivo del datore di lavoro con conseguente
assoggettamento a contribuzione dei relativi importi;
– che le conciliazioni intervenute, in pendenza di giudizio, tra il
datore di lavoro e taluni lavoratori, erano state definitivamente
travolte dal passaggio in giudicato delle sentenze intervenute
successivamente nello stesso giudizio, che avevano accertato
l’illegittimità della collocazione in CIGS. Anche in questo caso era
dovuta la contribuzione sulle retribuzioni accertate dalle
sentenze, a prescindere dalle transazioni;
Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso
Fintecna S.p.A. L’INPS resiste con controricorso. Il
concessionario del servizio di riscossione è rimasto intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è articolato in sei motivi, cui fanno seguito i
relativi quesiti di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ., non più in
vigore, ma applicabile ratione temporis.
2. Con il primo motivo è denunziata violazione e falsa
applicazione degli artt. 617 cod. proc. civ., 24 D. Lgs. n. 46 del
1999, in riferimento all’art. 24 Cost., 3 della legge n. 241/90.
Si deduce che la cartella esattoriale non contiene gli estremi
identificativi dei verbali ispettivi; che l’indeterminatezza del titolo
rende l’atto inidoneo allo scopo e, quindi, comporta un vizio che
non riguarda la mera regolarità formale del titolo, ma l’esistenza
stessa del diritto a procedere ad esecuzione forzata, con
conseguente applicabilità, ai fini del termine dell’opposizione,
dell’art. 24 del D. Lgs n. 46 del 1999 e non già dell’art. 617 cod.
proc. civ., come ritenuto dalla Corte di merito.

doveva considerarsi come non mai sospeso e quindi permaneva

3

3. Con il secondo motivo è denunziata violazione e falsa
applicazione degli artt. 4, 11, 32 D. Lgs. n. 46/99, 1, comma 2,
D.M. n. 321/99, 1 “DM 28/6/99”, 3 L. 241/90, 184 bis e/o 420,
c. 1 e 5, cod. proc. civ. nonché violazione “dell’istituto della
rimessione in termini”.
Si deduce che la Corte di merito ha ritenuto che la cartella
contributiva. Tale affermazione è errata in quanto, nel proporre
opposizione, la società Fintecna ha fatto riferimento a due soli
verbali ispettivi, non essendo riuscita ad individuare il terzo,
recante la data del 9 luglio 1996, se non a seguito della citazione
dello stesso nella memoria difensiva dell’INPS. Ciò avrebbe
dovuto indurre il giudice d’appello a rimettere in termini la
società “rispetto agli addebiti di cui al verbale di accertamento

9/ 7/ 1996″.
4.

I predetti due motivi che, in ragione della loro

connessione vanno trattati congiuntamente, non sono fondati.
Come risulta dalla sentenza impugnata, la società
ricorrente in primo grado ha lamentato che la cartella non
conteneva i requisiti previsti dal D.M. 3 settembre 1999 n. 321 e
che, pertanto, non consentendo l’identificazione della pretesa
contributiva, avrebbe dovuto essere dichiarata nulla.
Orbene, non può dubitarsi che la dedotta mancanza dei
dati identificativi della pretesa contributiva si risolva in un vizio
formale del titolo, onde correttamente la Corte di merito ha
ritenuto che, al fine di far valere la nullità della cartella, avrebbe
dovuto essere proposta opposizione nel termine perentorio
previsto dall’art. 617 cod. proc. civ.
La Corte anzidetta ha peraltro accertato, con valutazioni di
fatto non censurabili in questa sede, che la cartella conteneva
tutti gli elementi per la identificazione della pretesa contributiva,
posto che in essa erano indicati i periodi delle omissioni
contributive già resi noti in precedenza alla società con i tre
verbali ispettivi alla stessa notificati, onde l’opponente era ben in

opposta contenesse gli elementi per l’identificazione della pretesa

4

grado di svolgere opportunamente le proprie difese, ciò che
peraltro aveva fatto.
Ha quindi correttamente respinto la Corte territoriale
l’istanza di remissione in termini, rilevando che in ogni caso
eventuali vizi della cartella non escludevano – così come è
avvenuto – l’esame della fondatezza della pretesa creditoria

luogo ad un ordinario giudizio di cognizione su diritti ed obblighi
attinenti al rapporto previdenziale obbligatorio e, segnatamente,
al rapporto contributivo.
5. Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione
degli artt. 5 D.L. 726/84, convertito, con modificazioni, nella L.
983/84 in riferimento agli artt. 1 e 2 L. 223/91, 1 L. 464/72, 1
L. 164/75.
Si afferma che, per effetto della trasformazione consensuale
dei rapporti a tempo parziale in rapporti a tempo pieno,
l’integrazione salariale avrebbe dovuto essere commisurata alle
retribuzioni relative a tali ultimi rapporti. La sentenza
impugnata, che ha ritenuto che l’integrazione salariale avrebbe
dovuto essere erogata dall’INPS con riferimento ai contratti a
tempo parziale, era dunque errata.
6. Il motivo è inammissibile.
La Corte di merito, con riguardo al verbale di accertamento
del 9 luglio 1996, ha affermato che prima della richiesta e del
provvedimento di concessione della CIGS a zero ore, la società
intratteneva con i dipendenti rapporti di lavoro a tempo parziale.
Su tali basi, ha aggiunto, l’INPS ha corrisposto
l’integrazione salariale, a nulla rilevando che nel frattempo tali
rapporti fossero stati trasformati a tempo pieno, non essendo
opponibili all’Istituto le vicende che avevano comportato
mutamenti nel rapporto di lavoro in coincidenza con la stessa
collocazione in CIGS o addirittura successivamente ad essa.
Era dunque corretta, ad avviso del giudice d’appello, la
pretesa dell’Istituto avente ad oggetto il recupero della differenza

dell’Istituto, posto che l’opposizione alla cartella esattoriale dà

5

tra quanto erogato in relazione al contratto a tempo pieno e
quanto avrebbe dovuto essere erogato per il contratto a tempo
parziale.
La ricorrente, nell’impugnare tale statuizione, si limita a
ribadire che l’integrazione salariale avrebbe dovuto essere
corrisposta con riferimento ai rapporti a tempo pieno

trasformazioni dei rapporti già part time in full time e inizio del
trattamento di integrazione salariale straordinaria”, senza
tuttavia spiegare le ragioni di tale affermazione e, soprattutto,
senza dedurre i vizi in cui è incorsa la sentenza impugnata.
7. Con il quarto motivo è denunziata violazione e falsa
applicazione degli artt. 1 e 2 L. 223/91, 1 L. 464/72, 1 e 2 L.
164/75 e 2033 cod. civ.
Si sostiene che la restituzione delle maggiori somme
corrisposte in relazione ai rapporti a tempo pieno avrebbe dovuto
essere richiesta dall’INPS ai dipendenti, i quali avevano
beneficiato del trattamento indebito / e non già. alla società.
8. Il motivo è infondato.
E’ costante l’orientamento di questa Corte secondo cui, in
tema di cassa integrazione guadagni, ordinaria e straordinaria,
l’INPS è parte del rapporto previdenziale che si instaura per
effetto del provvedimento di concessione dell’integrazione
salariale, ancorchè, nella ipotesi normale, il datore di lavoro sia
tenuto ad anticipare la prestazione ai dipendenti, ottenendo
dall’Istituto il rimborso delle somme versate per conto dello
stesso in qualità di adiectus solutionis causae o incaricato ex

lege, somme che sono appunto corrisposte non già a titolo di
retribuzione ma di integrazione salariale (cfr., fra le altre, Cass.
22 febbraio 2003 n. 2760; Cass. 29 dicembre 1998 n. 12867;
Cass. 10 marzo 1998 n. 2635).
E’ stato altresì affermato che in tema di ammissione alla
cassa 41f integrazione guadagni il potere discrezionale della
pubblica amministrazione si esaurisce nell’apprezzamento dei

“indipendentemente dal fatto della coincidenza temporale tra

6

fatti previsti dalla legge per la concessione del beneficio e non
riguarda la estensione soggettiva del beneficio stesso, restando
quindi estranea al provvedimento amministrativo
l’individuazione dei singoli lavoratori aventi diritto alla
integrazione salariale (Cass. n. 2760/03 cit., Cass. sez. un. n.
89/07; Cass. sez. un. n. 1311/95).

avendo versato a titolo di integrazione salariale somme poi
rivelatesi non dovute perché relative ad un rapporto
erroneamente denunziato dal datore di lavoro (a tempo pieno,
anziché a tempo parziale), correttamente abbia richiesto la
ripetizione di tali importi allo stesso datore di lavoro, quale
responsabile di tali maggiori esborsi, salvo poi il diritto di rivalsa
di quest’ultimo nei confronti dei dipendenti.
9. Con il quinto motivo è denunziata violazione e falsa
applicazione degli artt. 1 e 5, c. 3, L. 223/91 e 2909 cod. civ.
Si afferma, in relazione ai verbali ispettivi del 14 dicembre
1998 e 6 aprile 1999, che la illegittimità della collocazione in
CIGS ed il diritto dei lavoratori alla percezione della piena
retribuzione per il relativo periodo, affermati con sentenze
passate in giudicato, non legittimavano l’INPS a ritenere
indebitamente erogato il trattamento di integrazione salariale ed
a chiedere la contribuzione sui corrispettivi dovuti ai lavoratori
in luogo della integrazione salariale.
Ed infatti, la Cassa integrazione era stata regolarmente
autorizzata; l’illegittimità della collocazione in CIGS era stata
dichiarata per violazione dei criteri di scelta; il rapporto
pubblicistico attinente alla Cassa integrazione doveva tenersi
distinto da quello privatistico riguardante i criteri di scelta; le
sentenze indicate nei verbali di accertamento riguardavano
esclusivamente il rapporto tra lavoratori ed azienda ed erano
volte ad ottenere il risarcimento dei danni, pari alla differenza tra
indennità di CIGS e retribuzione; l’INPS era estraneo a detti

In ragione di quanto precede, appare evidente come l’INPS,

7

giudizi e pertanto non poteva far valere l’efficacia riflessa del
giudicato intercorso tra altri soggetti.
10. Il motivo non è fondato.
Il giudicato, oltre ad avere una sua efficacia diretta nei
confronti delle parti, loro eredi ed aventi causa, è dotato anche di
un’efficacia riflessa, nel senso che la sentenza, come

nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo in cui è
stata emessa, allorquando questi siano titolari di un diritto
dipendente dalla situazione definita in quel processo o
comunque di un diritto subordinato a tale situazione.
Nella specie, l’INPS, in quanto titolare di diritti ed obblighi
dipendenti dalla situazione giuridica definita giudizialmente,
aveva pieno titolo ad avvalersi dei giudicati che avevano
dichiarato l’illegittimità della collocazione in CIGS dei lavoratori,
posto che tali giudicati avevano inciso direttamente sulla
avvenuta erogazione dell’integrazione salariale, non più dovuta
per effetto di dette sentenze, quale che fosse la causa
dell’illegittimità del provvedimento di concessione
dell’integrazione salariale.
Inoltre l’Istituto aveva titolo a richiedere la contribuzione
sulle retribuzioni che, per effetto dei giudicati, il datore di lavoro
era tenuto a corrispondere ai dipendenti, essendo l’obbligo
contributivo verso l’istituto previdenziale direttamente connesso
a tutto ciò che il lavoratore riceve o ha diritto di ricevere dal
datore di lavoro, indipendentemente dal fatto che gli obblighi
retributivi nei confronti dei prestatori di lavoro siano stati in
tutto o in parte soddisfatti (Cass. 13 aprile 1999 n. 3630; Cass. 9
maggio 2005 n. 9579).
Come affermato da questa Corte, ove il datore di lavoro
sospenda illegittimamente il rapporto e collochi i dipendenti in
cassa integrazione guadagni, questi hanno diritto ad ottenere la
retribuzione piena e non già il minore importo delle integrazioni
salariali; pertanto la somma liquidata a titolo di risarcimento del

affermazione oggettiva di verità, produce conseguenze giuridiche

8

danno in dipendenza della suddetta illegittimità costituisce
retribuzione imponibile ai fini contributivi (Cass. 23 agosto 2005
n. 17136).
11. Il sesto motivo, indicato quale “Mezzo subordinato”,
denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1965, 2113 e
2909 cod. civ., 410, 411 e 324 cod. proc. civ.

sentenza impugnata, le conciliazioni stipulate tra il datore di
lavoro e tredici lavoratori nel corso dei giudizi vertenti tra gli
stessi, non potevano essere travolte dalle sentenze
successivamente intervenute in tali giudizi, ma erano
pienamente opponibili all’INPS, in quanto estraneo ai giudizi
medesimi.
12. Anche tale motivo è infondato.
Come più volte affermato da questa Corte, nel caso in cui
tra le parti di un giudizio intervenga una transazione, senza
tuttavia che alcuna di esse deduca nel medesimo la
sopravvenuta composizione transattiva della controversia ed il
giudizio sia, quindi, definito con sentenza non impugnata e
passata in giudicato, la situazione accertata dalla sentenza
diviene intangibile e preclude ogni possibilità di rimettere in
discussione questa situazione in un successivo giudizio e di
apprezzare e rilevare il contenuto dell’accordo transattivo (Cass.
15 febbraio 2005 n. 3026; Cass. 14 febbraio 2012 n. 2155).
Anche qui l’Istituto aveva titolo a richiedere la
contribuzione sui corrispettivi che, per effetto dei giudicati, il
datore di lavoro era tenuto a corrispondere ai dipendenti, in virtù
della connessione esistente tra le retribuzioni e l’obbligo
contributivo.
13. Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato, previa
condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di
questo giudizio, come in dispositivo.
Nulla per le spese nei confronti del Monte dei Paschi di
Siena, rimasto intimato.

Si afferma che, diversamente da quanto sostenuto nella

9

P. Q . M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al
pagamento, a favore dell’INPS, delle spese del presente giudizio,
che liquida in 100,00 per esborsi ed 11.000,00 per compensi
professionali, oltre accessori di legge.
Nulla per le spese nei confronti del Monte dei Paschi di Siena.

Così deciso in Roma in data 4 dicembre 2013.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA