Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21369 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/10/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 06/10/2020), n.21369

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21521-2019 proposto da:

T.S., T.P.A., B.L., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANGELO D’ADDESIO;

– ricorrenti –

contro

M.G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIROLAMO

DA CARPI 6, presso lo studio dell’avvocato RENATO SILVESTRI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIULIA ARINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 207/2018 del TRIBUNALE di VERCELLI, depositata

il 03/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

con ordinanza resa in data 10/5/2019, la Corte d’Appello di Torino ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., l’appello proposto da T.S., T.P.A. e B.L., avverso la decisione con la quale il Tribunale di Vercelli, in accoglimento della domanda proposta da M.G.M., ha dichiarato la nullità, per simulazione assoluta, dell’atto con il quale T.S. aveva ceduto ai propri genitori, T.P.A. e B.L., la nuda proprietà di un proprio bene immobile;

a fondamento della decisione assunta, il Tribunale di Vercelli ha rilevato come, sulla base degli elementi istruttori complessivamente acquisiti nel corso del giudizio, fosse rimasta dimostrata, tanto l’esistenza di ragioni creditorie del M. nei confronti di T.S., quanto la natura meramente simulata dell’atto con il quale quest’ultimo aveva ceduto la nuda proprietà di un bene immobile proprio allo specifico scopo di renderlo insensibile ad ogni iniziativa esecutiva dei propri creditori;

avverso la sentenza di primo grado, T.S., T.P.A. e B.L., propongono ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi d’impugnazione;

M.G.M. resiste con controricorso;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il controricorrente ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1988 e 2696 c.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il giudice a quo erroneamente ritenuto comprovata la sussistenza di una ragione di credito del M. nei confronti di T.S., sulla base di un’errata lettura degli elementi di prova acquisiti al giudizio;

con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 183 c.p.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere il giudice di primo grado erroneamente omesso di rilevare la mutatio libelli in cui era incorso il M. nell’invocare l’accertamento di un proprio credito nei confronti del T. in ragione di una responsabilità di natura contrattuale di quest’ultimo, dopo aver viceversa indicato una propria ragione di credito di natura extracontrattuale con l’atto di citazione introduttivo del giudizio;

con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 246 c.p.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere i giudici di merito erroneamente escluso l’incapacità a testimoniare, ex art. 246 c.p.c., della teste C.R., tempestivamente eccepita nel corso del giudizio, atteso il concreto interesse di detta teste a intervenire in giudizio a sostegno di una ragione di credito dalla stessa vantato nei confronti del T.;

con il quarto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1416 e 2901 c.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere i giudici di merito erroneamente ritenuto sussistente una ragione di credito del M. nei confronti del T. idonea a legittimarne la proposizione dell’azione di simulazione;

con il quinto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2696 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere i giudici di merito erroneamente ritenuto simulato l’atto di cessione della nuda proprietà compiuto dal T. in favore dei propri genitori, sulla base di un’errata interpretazione degli elementi istruttori acquisiti al giudizio, con particolare riguardo al valore rappresentativo attribuito dal giudice a quo alla consulenza di parte depositata dall’originario attore e alla documentazione concernente l’effettività del pagamento del prezzo per l’acquisto della nuda proprietà da parte degli aventi causa dal T.;

preliminarmente, dev’essere rilevata l’inammissibilità del ricorso;

osserva al riguardo il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3, si applicano le disposizioni di cui agli artt. 329 e 346, del medesimo codice, sicchè la parte deve fornire l’indicazione che la questione sollevata in sede di legittimità era stata devoluta, sia pure nella forma propria dei motivi di appello, al giudice del gravame, dichiarato inammissibile ex art. 348-bis c.p.c., (cfr. ex plurimis, Sez. 6 3, Ordinanza n. 2784 del 12/02/2015, Rv. 634388 – 01);

nel caso di specie, non avendo i ricorrenti indicato come e dove le questioni poste con i motivi avanzati in questa sede fossero state prospettate dinanzi al giudice a quo – avendo totalmente trascurato di procedere all’esposizione dei motivi di appello – l’odierno ricorso dev’essere dichiarato inammissibile;

sul punto, è appena il caso di rilevare come questa stessa Corte abbia in altra occasione evidenziato la circostanza che l’onere di indicare i motivi di appello e la motivazione dell’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado proposto ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3, non si pone in contrasto con il CEDU, art. 6, in quanto esso è imposto in modo chiaro e prevedibile (risultando da un indirizzo giurisprudenziale di legittimità ormai consolidato), non è eccessivo per il ricorrente e risulta, infine, funzionale al ruolo nomofilattico della Suprema Corte, essendo volto alla verifica in ordine alla mancata formazione di un giudicato interno (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26936 del 23/12/2016, Rv. 642322 – 02);

alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

 

 

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