Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21368 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/10/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 06/10/2020), n.21368

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19278-2019 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO

27, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ALESSANDRO MAGNI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIANCARLO CIPOLLA;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, già D.M. SRL, in persona del Curatore

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TIRSO 26, presso

lo studio dell’avvocato ROBERTO SCETTI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato UMBERTO BALLABIO;

– controricorrente –

contro

F.C., S.M.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1300/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 25/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

con sentenza resa in data 25/3/2019, la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta dal Fallimento della (OMISSIS) s.r.l., ha dichiarato inopponibili, ai sensi dell’art. 2901 c.c., nei confronti del fallimento attore, gli atti con i quali S.F. (indicata come debitrice a titolo risarcitorio del fallimento) aveva ceduto taluni immobili propri in favore dei genitori, S.M.S. e F.C.;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come gli elementi istruttori complessivamente acquisiti al giudizio avessero confermato la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi per l’accoglimento dell’azione revocatoria proposta;

avverso la sentenza d’appello, S.F. propone ricorso per cassazione sulla base di un unico articolato motivo d’impugnazione;

il Fallimento della (OMISSIS) s.r.l. resiste con controricorso;

nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., le parti non hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con l’unico motivo proposto, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 113,115 e 277 c.p.c., e art. 2901 c.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto sussistente il ricorso di un credito effettivo del fallimento attore nei confronti dell’odierna istante (idoneo a legittimarne la proposizione dell’azione revocatoria), nonchè dei requisiti dell’eventus damni e dei presupposti di carattere soggettivo indispensabili ai fini dell’accoglimento dell’actio pauliana;

il motivo è – nell’intero complesso dei suoi profili – inammissibile;

in primo luogo, osserva il Collegio come la corte territoriale, nel riconoscere la sussistenza del presupposto del credito in capo all’originaria società attrice, si sia correttamente allineata al consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale l’art. 2901 c.c., ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, da ciò derivando che anche il credito “eventuale”, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore (cfr., ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 1893 del 09/02/2012, Rv. 621220 – 01);

ciò posto, la dedotta prerogativa, vantata dal fallimento attore, di esser creditore a titolo risarcitorio nei confronti della S. (in ragione dell’allegata cattiva gestione, da parte di quest’ultima, dell’amministrazione della società fallita), vale in ogni caso a ritenere integrato l’estremo creditorio (sia pure litigioso) descritto quale presupposto per l’esercizio dell’azione revocatoria;

anche con riguardo all’individuazione del ricorso del requisito dell’eventus damni, il giudice a quo risulta essersi correttamente allineato ai consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità, avendo sottolineato come il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria ordinaria (c.d. eventus damni) ricorre, non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che, dimostrate da parte del creditore tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti dell’actio pauliana, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (cfr., da ultimo, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16221 del 18/06/2019, Rv. 654318 – 01): dimostrazione, nella specie, correttamente rilevata, dal giudice a quo, come del tutto mancata;

ciò posto, le censure esaminate devono ritenersi inammissibili in relazione all’art. 360-bis c.p.c., n. 1;

al riguardo, varrà evidenziare come, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, il ricorso è inammissibile quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;

in particolare, in tema di giudizio di legittimità, anche un solo precedente, se univoco, chiaro e condivisibile, integra l’orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di cui all’art. 360-bis c.p.c., n. 1, con conseguente dichiarazione di inammissibilità del relativo ricorso per cassazione che non ne contenga valide critiche (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4366 del 22/02/2018, Rv. 648036 – 02);

nel caso di specie, rispetto ai richiamati consolidati arresti della giurisprudenza di legittimità, l’odierna ricorrente ha sostanzialmente omesso di confrontarsi in termini diretti, limitandosi ad esprimere unicamente il proprio dissenso attraverso l’articolazione di argomentazioni da ritenersi non decisive o pertinenti;

quanto, infine, alle censure concernenti la mancata dimostrazione dei requisiti soggettivi indispensabili ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria (premessa la sicura anteriorità del credito risarcitorio vantato dal fallimento attore rispetto al compimento degli atti impugnati, attesa l’evidente precedenza temporale della gestione amministrativa dannosa e del fallimento della società gestita, rispetto alla successiva adozione delle dismissioni contestate), osserva il Collegio come, con le censure in esame, la ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate – alleghi un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), non potendo dirsi coinvolta, nella prospettazione critica della ricorrente, alcuna eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso;

infatti, osserva il Collegio come la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito (secondo il meccanismo presuntivo di cui all’art. 2729 c.c.), non può in alcun modo considerarsi priva, icta oculi, di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento ricostruttivo che i giudici del merito hanno ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza, con la conseguente oggettiva inidoneità della censura in esame a dedurre la violazione dell’art. 2729 c.c. nei termini analiticamente indicati da Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018 (v. in motivazione sub par. 4 e segg.);

pertanto, nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;

tale operazione critica appare con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna della ricorrente al rimborso, in favore del fallimento controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

 

 

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