Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21365 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/10/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 06/10/2020), n.21365

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16850-2019 proposto da:

D.T., in proprio e nella qualità di legale

rappresentante pro tempore della SICILY BY CAR SPA, elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA GESU’ 46, presso lo studio dell’avvocato

CALOGERO VALERIO SCIMEMI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MARCELLA LOMBARDO;

– ricorrenti –

contro

B.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIETRO

DELLA VALLE 1, presso lo studio dell’avvocato FERNANDO EPTRIVELLI,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2169/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

con sentenza resa in data 29/3/2019, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da D.T., in proprio e quale legale rappresentante della Sicily by Car s.p.a., per la condanna di B.S. al risarcimento dei danni asseritamente subiti dagli attori a seguito di una comunicazione informatica (e-mail) inviata dalla convenuta a taluni soggetti terzi, e contenente espressioni asseritamente ingiuriose e diffamatorie, in ogni caso lesive della reputazione e della dignità degli attori;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come la comunicazione contestata dagli originari attori non avesse integrato gli estremi di un fatto illecito, suscettibile di giustificare la condanna della B. al risarcimento del danno, avendo quest’ultima contenuto la propria comunicazione entro i limiti del legittimo esercizio del diritto di critica, nel rispetto dei criteri di verosimiglianza e di continenza, nè avendo, peraltro, gli attori comprovato il concreto ricorso di danni effettivi quali conseguenze dell’illecito ascritto alla controparte;

avverso la sentenza d’appello, D.T., in proprio e quale legale rappresentante della Sicily by Car s.p.a., propongono ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione;

B.S. resiste con controricorso;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., i ricorrenti hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il motivo d’impugnazione proposto, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione di legge e omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere il giudice d’appello erroneamente escluso il ricorso dei presupposti per il riconoscimento del carattere illecito della comunicazione diffamatoria diffusa dalla controparte, attesa l’insussistenza di nessuna delle cause di giustificazione legate al legittimo esercizio del diritto di critica nel caso di specie; e per avere la corte territoriale in ogni caso erroneamente escluso la dimostrazione, da parte degli attori, dei danni patrimoniali e non patrimoniali dagli stessi sofferti a seguito del fatto illecito della controparte, dovendo tali pregiudizi ritenersi necessariamente sussistenti in re ipsa;

la censura concernente la mancata dimostrazione, da parte degli attori, dei danni pretesamente subiti per effetto dell’illecito ascritto alla controparte, è inammissibile e (in quanto integrante la ragione più liquida della decisione) suscettibile di assorbire la rilevanza delle restanti censure;

osserva al riguardo il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in applicazione del principio processuale della ‘ragione più liquidà, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c. (v., da ultimo, Sez. 5, Ordinanza n. 363 del 09/01/2019, Rv. 652184 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 11458 del 11/05/2018, Rv. 648510 – 01);

ciò posto, varrà considerare come la censura avanzata dagli odierni ricorrenti, con riguardo alla mancata dimostrazione, da parte degli stessi, dei danni pretesamente subiti per effetto dell’illecito ascritto alla controparte, debba ritenersi inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, avendo gli odierni istanti rinnovato in questa sede l’affermazione della sussistenza in re ipsa dei danni conseguenti al fatto ingiurioso o diffamatorio della controparte, in contrasto con il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte;

sul punto, varrà evidenziare come, ai sensi del richiamato art. 360-bis c.p.c., n. 1, il ricorso è inammissibile quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;

in particolare, in tema di giudizio di legittimità, anche un solo precedente, se univoco, chiaro e condivisibile, integra l’orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di cui all’art. 360-bis c.p.c., n. 1, con conseguente dichiarazione di inammissibilità del relativo ricorso per cassazione che non ne contenga valide critiche (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4366 del 22/02/2018, Rv. 648036 – 02);

nel caso di specie, il giudice a quo ha affermato la mancata dimostrazione, da parte degli attori, di alcuna conseguenza dannosa dagli stessi sofferta seguito del fatto ascritto alla controparte, non avendo i pretesi danneggiati allegato il benchè minimo elemento di riscontro (di carattere eventualmente presuntivo) a sostegno dell’istanza risarcitoria avanzata;

tale affermazione è stata sostenuta dalla corte territoriale in sintonia con l’orientamento già fatto proprio dalla giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale il danno all’immagine e alla reputazione, inteso come ‘danno conseguenzà, non sussiste in re ipsa, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento; pertanto, la sua liquidazione dev’essere compiuta dal giudice, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, sulla base non di valutazioni astratte, bensì del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e dimostrato, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che siano fondate, però, su elementi indiziari diversi dal fatto in sè, ed assumendo quali parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima (Sez. 3, Ordinanza n. 4005 del 18/02/2020, Rv. 657006 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 31537 del 06/12/201, Rv. 651944 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7594 del 28/03/2018, Rv. 648443 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 25420 del 26/10/2017, Rv. 646634 – 04);

rispetto a tale consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, gli odierni ricorrenti hanno sostanzialmente omesso di confrontarsi in termini diretti, limitandosi ad esprimere unicamente il proprio dissenso attraverso il richiamo di precedenti giurisprudenziali non pertinenti e adeguatamente argomentati, e ribadendo, senza congrue giustificazioni in diritto, la propria pretesa di considerare sussistenti in re ipsa i danni sofferti a seguito dell’illecito attribuito alla controparte;

la definitiva attestazione della mancata dimostrazione, da parte degli originari attori, dei danni eventualmente subiti a seguito del preteso illecito ascritto alla controparte, consente di ritenere in ogni caso assorbita la rilevanza delle principali questioni sollevate dagli odierni ricorrenti, attraverso le censure avanzate in relazione al punto concernente la sussistenza concreta dei presupposti per il riconoscimento del carattere diffamatorio o ingiurioso delle comunicazioni contestate in questa sede;

sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

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