Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21361 del 18/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 21361 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA

sul ricorso 6459-2011 proposto da:
AGRESTI DOMENICO GRSDNC55M071677N, domiciliato in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato FERRARI PIETRO, giusta delega in atti;
– ricorrenti 2013
2481

contro

LUCARELLI S.R.L. 00321470478, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, PIAZZA G. MAZZINI 27, presso lo studio
dell’avvocato NICOLAIS LUCIO, che la rappresenta e

Data pubblicazione: 18/09/2013

difende unitamente all’avvocato DEL RE ANDREA, giusta
delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 82/2011 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 03/02/2011 R.G.N. 513/2009;

udienza del 11/07/2013 dal Consigliere Dott. FABRIZIA
GARRI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Gperale Dott. GIULIO ROMANO che
riette del ricorso.

ha concluso

per il

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo
La Corte d’Appello di Firenze ha respinto il ricorso proposto da Domenico Agresti ed ha confermato la
sentenza del Tribunale di Pistoia che aveva accertato la legittimità del licenziamento intimatogli dalla
Lucarelli s.r.l. in data 25.9.2006 avendo ritenuto provato, in esito all’esame delle emergenze istruttorie
il rifiuto del dipendente di intervenire, a seguito di richiesta formulata dalla centrale operativa, su un
allarme scattato poco prima della fine del suo turno di lavoro così violando anche il disposto dell’art. 75
del ceni che obbliga il personale smontante o già smontato a effettuare il servizio nel ricorso di

Aggiunge ancora la Corte che tale conclusione sarebbe ulteriormente confermata dalla esistenza di
numerose e rilevanti sanzioni disciplinari inflitte nel biennio anteriore al licenziamento ed anche
precedenti tutte idonee a confermare la gravità della contestata infrazione alla luce dell’ormai
reiteratamente compromesso rapporto di fiducia.
Per la cassazione della sentenza ricorre l’Agresti che articola sei motivi.
Resiste con controricorso la Lucarelli.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso è censurata la sentenza impugnata per avere la Corte territoriale, in
violazione e falsa applicazione dell’art. 210 c.p.c., omesso di trarre le dovute conclusioni in seguito al
mancato adempimento, da parte della società resistente, all’ordine di esibizione di documentazione
ritenuta dal Collegio necessaria ai fini della decisione.
Sottolinea il ricorrente che, nonostante con ordinanza fosse stata disposta l’esibizione dei tabulati delle
comunicazioni radio e telefoniche intercorsi tra le 5,45 e le 6,15 tra la centrale operativa e gli agenti
Agresti e Perrera, ciascuno in servizio sul territorio di propria competenza, la società aveva depositato
solo un brogliaccio, neppure firmato, inidoneo a costituire prova attendibile della verità delle
trascrizioni ivi riportate.
Con il secondo motivo, poi, viene denunciata l’omessa e contraddittoria motivazione in relazione alla
erronea valutazione da parte della corte fiorentina delle dichiarazioni rese dai testi Calistri e Perrera
ritenute dal giudice d’appello tra loro concordanti e, viceversa, totalmente discordanti, in relazione alla
circostanza che al Perrera fosse stato richiesto di intervenire sull’allarme ricevuto dalla centrale prima
del rientro a fine turno dell’Agresti, che era competente per la zona, e non, invece, all’atto dell’ arrivo di
quest’ultimo alla centrale.
Il terzo motivo di ricorso ha ad oggetto la violazione e falsa applicazione degli artt. 2104 e 2108 c.c.,
dell’art. 5 della 1. n. 533/1999 e dell’art. 13 del d.lgs. n. 66 del 2003 oltre che la violazione e falsa
applicazione dell’art. 71 c.c.n.l. per gli addetti alla vigilanza.
Sostiene il ricorrente che la richiesta datoriale di protrarre l’orario di lavoro oltre le otto ore notturne
avrebbe violato l’art. 5 della 1. n. 533/1999 e l’art. 13 del d.lgs. n. 66 del 2003 e dunque la richiesta di
intervento sull’allarme, formulata a soli dieci minuti dalla scadenza dell’orario giornaliero, era arbitraria e
poteva essere legittimamente disattesa dal lavoratore.

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F.Garri

condizioni oggettive che lo richiedano e ravvisando nella condotta quella insubordinazione che
giustifica, a norma dell’art. 127 del ccril citato, la risoluzione del rapporto.

Con il quarto motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2107 e 2108 c.c. e
dell’art. 75 del c.c.n.l. per gli addetti alla vigilanza.

Con le ultime censure, infine, si denuncia che la sentenza in violazione dell’art. 360 n. 6 c.p.c. (rectius n.
5) avrebbe omesso di motivare in ordine alla prova dell’esistenza di precedenti infrazioni disciplinari
che avrebbero connotato di particolare gravità la condotta sanzionata posto che la gravità di detti
precedenti era stata espressamente contestata dal lavoratore. Inoltre, evidenzia che, le infrazioni
antecedenti il biennio dalla commissione del fatto contestato, a norma dell’art. 7 1. n. 300/1970, non
potevano essere legittimamente prese in considerazione.
Ti primo motivo è infondato.
Va premesso che ai sensi dell’art. 421 c.p.c., non solo il potere officioso di ordinare l’esibizione di
documenti è discrezionale, di tal ché il suo esercizio non comporta alcun vincolo per il giudice ma,
ugualmente è discrezionale anche il potere di desumere argomenti di prova dall’inosservanza dell’ordine
di esibizione sebbene, in questo caso, la discrezionalità sia correlata alla natura dell’argomento di prova
e tale correlazione comporti che per l’eventuale valutabilità del rifiuto di esibizione di documenti come
ammissione del fatto è necessario che vi siano elementi di prova concorrente (cfr. Cass. 27.8.2004 n.
17076 e 10.7.1998 n. 6769).
Nel caso in esame, a parte il fatto che la società datrice ha ampiamente giustificato le ragioni
dell’impossibilità di ottemperare all’ordine impartitole per non essere più reperibili presso il gestore di
telefonia l’elenco delle comunicazioni intervenute tra la centrale e gli operatori essendo trascorso da
tempo il termine per la conservazione obbligatoria dei tabulati, non vi sono altri elementi che
concorrano a confortare la tesi del ricorrente.
Correttamente, dunque, la corte territoriale ha ritenuto giustificato l’inadempimento all’ordine di
esibizione essendone state chiarite le ragioni dell’impossibilità.
Ne consegue che correttamente il giudice di appello ha fondato le sue valutazioni, esenti da vizi logici e
da contraddizioni sulle acquisizioni testimoniali rapportate ai “rapporti computerizzati” depositati agli
atti ed alla relazione di servizio redatta dall’addetto alla centrale operativa, anch’essa depositata.
In definitiva, e condivisibilmente, non è stato ritenuto sussistente inadempimento a fronte di un
concreto sforzo di adempiere.
Quanto alla dedotta contraddittorietà della motivazione si osserva che con la censura si pretende da
parte della Corte un nuovo, ed inammissibile, esame delle risultanze probatorie acquisite al processo
senza spiegare in che maniera una diversa valutazione delle prove testimoniali potrebbe
necessariamente condurre ad una decisione della controversia.
Va ribadito che qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa o contraddittoria
valutazione di prove testimoniali, ha l’onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per
cassazione ma, al fine di consentire il vaglio di decisività, è altresì tenuto a specificare i punti ritenuti
decisivi, risolvendosi, altrimenti, il dedotto vizio di motivazione in una inammissibile richiesta di
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F.Garri

Sostiene il ricorrente che l’interpretazione data dalla Corte d’Appello alle citate norme configgerebbe
con il diritto del lavoratore a godere con modalità programmabile e prevedibile, del dovuto tempo
libero, o più correttamente riposo. Inoltre evidenzia l’erroneità del richiamo operato all’art. 75 del =l
poiché la norma citata nulla prevederebbe circa la possibilità di superare l’orario di otto ore di lavoro
notturno.

riesame del contenuto delle deposizioni testimoniali e di verifica dell’esistenza di fatti decisivi sui quali
la motivazione è mancata ovvero è stata insufficiente o illogica (cfr. tra le tante Cass. 12.3.2009 n. 6023).

Per quanto concerne poi la pretesa violazione delle disposizioni di legge e di contratto che regolano
l’orario di lavoro del personale addetto ai turni di notte, ed in particolare di quello di vigilanza, oggetto
delle ulteriori censure si osserva che, se a norma dell’art. 4 comma 1 del d.lgs. n. 532 del 1999 “L’orario
di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore nelle ventiquattro ore”, è fatta salva,
tuttavia, “l’individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, che prevedano un orario di
lavoro plurisettimanale, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il
suddetto limite.” Tale disposizione è ribadita dall’ art. 13 del d.lgs. n. 66 del 2003 ed ha trovato piena
attuazione nella contrattazione collettiva di settore (art. 71 del c.c.n.l. del personale degli Istituti di
vigilanza privata ratione temporis applicabile) nel quale, stante il ruolo ricoperto dalla Vigilanza Privata
quale attività ausiliaria di prevenzione, sicurezza per la tutela del patrimonio pubblico e privato, con le
conseguenti necessità di assicurare servizi caratterizzati da straordinarietà non programmabili al fine di
evitare pericoli e/o danni ai beni da vigilare, è stato convenuto che in base all’art. 3 d. lg. n. 66/2003 ai
fini contrattuali l’orario di lavoro è fissato in 40 ore settimanali e, tuttavia, si è precisato che “tenuto
conto delle obiettive necessità di organizzare i turni di lavoro in maniera da garantire la continuità nei
servizi di tutela del patrimonio pubblico e privato affidato agli Istituti di Vigilanza, in attuazione a
quanto previsto dall’art. 4 del D.lgs. 66/2003 la durata massima dell’orario di lavoro, comprese le ore di
straordinario, non potrà superare le 48 ore ogni periodo di sette giorni, calcolate come media, riferita ad
un periodo di mesi 12, decorrenti dal 1° gennaio di ogni anno di applicazione del presente contratto,
fermo restando quanto previsto dal punto a) del presente articolo sull’orario settimanale e dagli art. 76 e
77 primo comma. Per il personale assunto durante l’anno il periodo di riferimento sarà riparametrato in
relazione ai mesi di effettivo servizio. (…)” e che “…il lavoratore del turno smontante non può lasciare
il posto di lavoro senza prima aver avuto la sostituzione, del lavoratore del turno montante, che dovrà
avvenire entro due ore e mezza dal termine del normale orario giornaliero (…)”.
Si tratta di una modalità di flessibilizzazione dell’orario che, ragionevolmente, consente il corretto
avvicendamento nel servizio assicurando la presenza di personale per fare fronte a esigenze impreviste,
e non rientranti nella normale organizzazione del lavoro, quale può essere concretamente qualificata la
necessità di provvedere ad un intervento in prossimità della fine del turno di servizio con, solo
eventuale, travalicamento del termine di otto ore.
Con riguardo infine alla omessa di motivazione circa la prova dell’esistenza di precedenti infrazioni
disciplinari che avrebbero connotato di particolare gravità la condotta sanzionata, fatti mai contestati al
lavoratore, oltre che alla pretesa violazione dell’art. 7 1. n. 300/1970 si osserva che, per tale ultimo
profilo la censura è sintetica ai limiti della petizione di principio, ed in ogni caso le doglianze non
possono comunque trovare accoglimento ove si consideri che la corte territoriale, solo per rafforzare la
già completa motivazione in base alla quale ha ritenuto che il fatto contestato integrasse una ipotesi di
insubordinazione censurabile con il licenziamento, ha fatto riferimento ad allegati pregressi
comportamenti ugualmente espressione di una condotta configgente con i doveri di correttezza e
buona fede nell’esecuzione del rapporto, ma non li ha considerati tra i fatti da valutare perché posti a
base del licenziamento, di tal che la motivazione della sentenza, anche a prescindere dalle osservazioni
formulate sui comportamenti pregressi, risulta esaustiva e convincente e non avalla alcun mutamento
della contestazione dell’addebito disciplinare.

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F.Garri

Tanto premesso si osserva che nel caso di specie il ricorrente ha sì riprodotto il testo delle
testimonianze e dei relativi capitoli di prova inserendo nel ricorso fotocopia dei verbali di causa e della
memoria contenente i capitoli di prova, ma non ha chiarito quali, in tale contesto siano le circostanze
decisive acclarate e non adeguatamente valutate.

Peraltro si rammenta che il principio dell’immutabilità della contestazione dell’addebito disciplinare
mosso al lavoratore ai sensi dell’art. 7 dello statuto lavoratori se preclude al datore di lavoro di licenziare
per altri motivi, diversi da quelli contestati, non vieta tuttavia di prendere in considerazione fatti che,
pur non contestati, e che si collocano a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, costituiscano
elementi di contorno confermativi della significatività di altri addebiti posti a base del licenziamento, ciò
al fine di una valutazione della complessiva gravità, sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del
lavoratore e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio
dell’imprenditore. (cfr. Cass. 14.10.2009 n. 21795 e 19.1.2011 n. 1145).

PQM
LA CORTE
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in € 3000,00 per compensi
professionali ed in € 50,00 per esborsi, oltre accessori dovuti per legge.
Così deciso in Roma 1’11 luglio 2013

Il consigliere estensore

In conclusione il ricorso deve essere respinto e le spese, regolate secondo il criterio della soccombenza,
vanno poste a suo carico e sono liquidate in dispositivo.

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